Dylan prima del diluvio

Before the Flood (1974; doppio album dal vivo con la Band).

(Il disco precedente: Planet Waves
Non perdetevi il disco successivo!)


Stenditi STELLA sul mio BEL LETTO D’OTTONE!
Stenditi STELLA sul mio BEL LETTO D’OTTONE
Qualsiasi colore tu ABBIA IN MENNNNTE
Te lo mostrerò e lo vedrai SPLEEEENDERE.
Stenditi STELLA sul mio BEL LETTO D’OTTONE!

Mettiamola così: una sera, dopo che lo avete aspettato a lungo, vostro marito torna a casa brandendo un inspiegabile mazzo di rose – simile a quello che vi comprò cento primavere fa – e invece di spiegarvi cosa sta succedendo comincia a darvelo in testa, il mazzo di rose, senza farvi male perché per fortuna il fiorista ha tolto le spine, ma è comunque una scena che vi sareste risparmiati. Che cos’è successo? Perché sei così arrabbiato? È qualcosa che ho detto?

Perché ASPETTARE CHE IL MONDO COMINCI? PRENDITI QUESTO DOLCE, E MANGIATELO PURE! 

È in assoluto il primo disco di Bob Dylan senza la faccia di Bob Dylan in copertina, né fotografata né dipinta.

È in assoluto il primo disco di Bob Dylan senza la faccia di Bob Dylan in copertina, né fotografata né dipinta.

È solo un modo di dire, forse un po’ maldestro per una canzone d’amore (l’equivalente di “moglie piena e botte ubriaca”), ma adesso altro che canzone d’amore. Sembra che voglia aprirti la bocca con la forza, Dylan, e cacciartelo giù in gola finché soffochi, quel dolce. Davanti a un pubblico pagante, un popolo che lo attende da anni, una folla che ha tutti i diritti del mondo di assistere a un bel concerto del suo idolo, quest’ultimo sceglie la sua canzone più dolce e la scanna senza pietà – perché? Che t’ha fatto? Sappiamo che non t’ha mai convinto davvero; che l’hai usata, a volte, proprio per prendere le distanze. Sappiamo che è uno di quei fortuiti risultati di laboratorio che riescono una volta su mille, e sono irriproducibili dal vivo. Ma è un buon motivo per farla a pezzi come un marito impazzito?

La sola cosa di cui parlava la gente era l’energia. Energia qui, energia là. Il miglior complimento era una cosa tipo, “Wow, un sacco di energia, amico”. Era diventata una cosa assurda. Più grande la cosa diventava, più forte suonava, più energia ci si aspettava che avesse (Intervista del 1985 con Cameron Crowe).

Before the Flood è il primo disco ufficiale dal vivo di Dylan. Procedendo in ordine cronologico ne abbiamo già ascoltati parecchi, ma Before the Flood è uscito per primo (il secondo e ultimo disco inciso per l’Asylum, dopo Planet Waves). In precedenza l’unico sistema per capire come suonasse Dylan dal vivo erano i bootleg, quel diluvio di incisioni abusive che riempivano scaffali dei negozi di dischi e a lui non fruttavano un soldo. A voi piace andare ai concerti? Quando ero bambino pensavo che mi sarebbe piaciuto. Quelli grossi, negli stadi, quelli coi biglietti sold out tre mesi prima; quelli di cui gli amici cominciano a parlarti tre mesi prima, e dieci anni dopo (se vai a controllare su facebook) ne stanno ancora parlando. Quelle feste pazzesche in cui tutti saltano e cantano i cori. Da bambino non vedevo l’ora di andarci, a quei concerti: ascoltavo Under a Blood Red Sky, ascoltavo Made In Japan, Banana Republic, ero convinto che mi sarei divertito tantissimo. Finché nella mia piccola città, nel giro di pochi mesi, arrivarono gli U2 e… Bob Dylan. E io riuscii ad andare a entrambi: anche se ero troppo piccolo, l’occasione era troppo grande.

E poi basta. Non sono più andato a un concerto di massa in vita mia (quasi). Perché ho scoperto che non mi diverto così tanto, dopotutto. C’è molta gente, spesso fa caldo, il gruppo è comunque molto lontano e persino la musica si sente troppo forte, distorta, a volte m’infastidisce. Non è così importante, si può amare la musica anche senza amare i concerti di massa. Io perlomeno posso. Bob Dylan no. Lui non poteva sottrarsi più ormai.

“Ho odiato ogni momento di quel tour” (Da un’intervista del 1978).

Se c'è anche solo una vaghissima ragione di infilare foto di Muhammad Ali in un articolo, io ne approfitto, scusate.

Se c’è anche solo una vaghissima ragione di infilare foto di Muhammad Ali in un articolo, io ne approfitto, scusate.

Prima o poi sarebbe dovuto tornare in mezzo alla gente. Ci mise otto anni ad accettare la cosa, e dovette pure rompere con Mamma Columbia, ma era destino. Dylan si era stancato di strimpellare ai festival folk già nella primavera del 1965. A quel punto si era dato al rock, ma l’avventura elettrica era durata poco più di un anno e una quarantina di concerti tra USA, Europa e Australia. Breve come un amore di gioventù, troppo veloce per capire cosa stesse davvero succedendo. Dylan e gli Hawks erano andati in giro per il mondo ad incendiare teatri e palazzetti, e non sapevano nemmeno se la gente fischiasse la svolta elettrica o la resa del suono (il dibattito è ancora aperto). Dopo pochi mesi Levon Helm, socio fondatore degli Hawks, aveva gettato la spugna. In capo a un anno persino Dylan ne aveva avuto abbastanza. Troppo baccano, troppa rabbia, troppi rischi, troppa fatica (troppe pasticche per gestirla). Nello stesso anno avevano smesso anche i Beatles e gli Stones – questi ultimi più per volontà di Scotland Yard che per scelta manageriale. A metà anni Sessanta i gruppi rock più popolari non riuscivano più a suonare dal vivo. Era un problema soprattutto logistico. Non solo la sicurezza era un incubo – Beatles e Dylan attiravano anche gli psicopatici e avevano più di un motivo per temere la propria incolumità – ma anche l’acustica era tutta da ripensare.

Sinceramente, non riesco a pensare a un pezzo di su qualsiasi argomento che non si possa migliorare con un paio di foto di Muhammad Ali.

Sinceramente non riesco a pensare a un pezzo su qualsiasi argomento che non si possa migliorare con un paio di foto di Muhammad Ali.

Otto anni dopo, la situazione era radicalmente cambiata. Amplificatori più potenti, servizi d’ordine professionali, mixer performanti – e soprattutto, ora Dylan poteva riempire il Madison Square Garden all’indomani del match tra Muhammed Ali e Joe Frazier, anche se il biglietto per Dylan era più caro (e meno facile da trovare). Come Ali, Dylan aveva un titolo mondiale da riconquistare, un tempo perduto da ritrovare. Gran parte del pubblico che ora si svenava per vederlo si era perso il tour del 1966, quella brevissima Età dell’Oro documentata dai bootleg più illustri. Avevano aspettato tanto, avevano pagato un botto e ora reclamavano il loro pezzo di Bob Dylan elettrico. Salvo che a Dylan, ovviamente, la cosa non andava a genio.

Hai mai visto un mattatoio quando portano una mandria di bestiame? La radunano lì in un’area, la pacificano e li scannano… begli affari, un sacco di soldi, tanta energia. Mi fa sempre venire in mente questa cosa. Il complimento più grande che ci fecero in quel tour era “incredibile energia, amico”, mi faceva venir voglia di vomitare (1985).

Nessuno si aspettava un Dylan tanto “energico” (tanto incazzato). Nemmeno la Band, durante le prove, se n’era resa conto. Dietro le quinte Dylan cantava tranquillo, rilassato, come dopo la cura nella Cantina. Ma sul palco, davanti al pubblico, qualcosa cambiò dal primo istante. Dylan aveva scelto di cominciare con una delle sue tipiche dichiarazioni di disamore, Most Likely You Go Your Way, ma in corso d’opera ne approfittò per muovere guerra a ogni verso della stessa canzone. Sembrava che volesse stritolarla.

Dici che mi ami e che pensi a me, ma lo SAI potresti SBAGLIARTI!!! Dici che mi vuoi stringere ma, LO SAI, non sei COSÌ FORTE!!!

Ci pensi che dopodomani qui suona Bob Dylan e il biglietto costa più del nostro?

Ma ogni tanto ci pensi che dopodomani qui suona Bob Dylan e il biglietto costa più del nostro?

Ma cosa c’è che non va, insomma? Hai litigato con qualcuno? Tua moglie? Odi il pubblico così tanto, perché ti costringe a recitare un personaggio in cui ti sei calato per qualche mese e in cui non ti riconosci più da anni? Ti annoi? Dove vorresti essere, piuttosto che qui? Ti domandi se d’ora in poi sarà per sempre così, in giro per il mondo con le stesse canzoni, le stesse parole, per anni anni e anni? O forse è solo il sound system? In effetti Dylan canta come se non riuscisse a sentirsi in spia: spinge le corde vocali come a sovrastare un baccano che nel missaggio non risulta, ma chissà che razza di suono doveva arrivargli là davanti. Lui stesso racconterà più tardi che il tour era stato funestato da misteriosi problemi tecnici – problemi che non impedivano alla Band di suonare impeccabile (senti come con due cori e un po’ d’organo hanno già capito come trasformare Knockin’ On Heaven’s Door in un classico da stadio). Vien da pensare male – Dylan è quel classico tipo che si lamenta oscuramente per anni prima di scoprire che basta chiedere educatamente al tecnico: mi alzi un po’ la voce in spia? Tutto solo là davanti, in compagnia di musicisti che si conoscono da una vita e che potrebbero suonare a occhi chiusi, Dylan annega in un bicchiere d’acqua tossica che vede soltanto lui. Non sono IO, BABE! No no no non sono IO BABE! Non sono io quello che stai cercANDO BABEEEEE!!! Non è mai stato l’idolo delle feste, ma qui sta veramente urlando a tutti di stargli lontano. Perché sta succedendo qualcosa e non sai cos’è, VERO? MR JOOOONES! Forse è un caso, ma per la prima tranche ha scelto alcune tra le canzoni più beffarde e insocievoli del suo repertorio.

Levon Helm

Dylan e la Band qualche anno prima (1968? Tributo a Woody Guthrie?)

Appena esce dal palco, tutto il chiasso e lo scandalo, tutta l'”energia” come per miracolo si riassorbe, si stabilizza. Levon Helm intona Up on Cripple Creek ed è perfetto, non sbaglia un colpo ma sai che non potrebbe sbagliarlo nemmeno volendo, è solo un altro bel concerto della Band – forse un po’ noioso, ma non è colpa loro. È che dopo aver ospitato quel pazzo furioso per sei brani, dopo averlo guardato fare a pezzi il suo repertorio sacro con tutta la furia che solo a lui è consentita, anche il miglior country rock in circolazione non può che suonare ingessato. A distanza di quarant’anni, forse la cosa che stupisce più di Before the Flood è la quantità di spazio occupato da canzoni che Dylan non canta, non suona, e nemmeno ha scritto: testimonianza di quella manciata d’anni in cui la Band aveva brillato di luce propria. Cripple Creek, Old Dixie, The Weight, non sono invecchiate peggio delle canzoni di Dylan. Ma improvvisamente tutto diventa più tranquillo, più affidabile, un po’ meno interessante. Solo il falsetto tremulo di Manuel in I Shall Be Released ci fa intuire che anche dietro quei cinque professionisti si possano nascondere cinque ex ragazzini terrorizzati.

Nel profondo del cuore un ragazzo solo soffriva così tanto per quello che aveva combinato.
Diedero a quel pastorello gloria e successo – da quel giorno non è più stato lo stesso.
Guarda l’uomo col panico da palcoscenico, se ne sta lì per fare quel che può.
È intrappolato dalla luce della ribalta – ma quando tutto finisce, vorrebbe ricominciare da capo.
(Stage Fright, di Robbie Robertson).

Ci sarebbero voluti ancora alcuni mesi

Ci sarebbero voluti ancora alcuni mesi

Il terzo lato è dedicato al set acustico: Dylan rimane solo sul palco con tre vecchi cavalli di battaglia. Dà subito la sensazione di trovarsi più a suo agio. Anche Don’t Think Twice e Just Like a Woman vengono stravolte, ma con meno cattiveria. Sono due canzoni che Dylan si porta con sé da talmente tanto tempo che non potrebbe più suonarle ‘giuste’ neanche se volesse – è come se avesse continuato a rimasticarle in pubblico e in privato per dieci anni. Dalla versione di The Freewheelin’ a quella del concerto al Philharmonic Hall, fino alla versione del ’74, Don’t Think Twice non riesce a stare ferma un attimo, come Dylan. È come la lingua viva, continuamente rimasticata dai parlanti allo scopo di mantenere i significati riducendo lo sforzo. Just Like a Woman è tornata in due quarti, com’era probabilmente prima delle session nashvilliane di Blonde On Blonde (esiste un brano altrettanto famoso che abbia oscillato così tanto tra 2/4, 3/4 e 4/4?) Ma è un tempo incerto, claudicante: Dylan ha fretta di arrivare al dunque ma non può evitare di suggerire, ogni tanto, quella terza battuta mancante.

Watergate

L’hotel Watergate nei primi anni ’70 (Ok, non c’entra praticamente nulla, ma le foto di scena costano, googlatevele da soli).

Che il problema sia tutto qui? Forse la vera ansia di Dylan è dover sottostare al quattro quarti, alla ferrea legge ribadita là dietro dall’illustre giudice Levon Helm. Quel rock che per i suoi coetanei è libertà, per lui è una disciplina faticosa. Quando parte con It’s Alright Ma, ti stupisci a tifare per lui. È un brano così difficile, veloce, un testo così complicato, ce la farà? Non ti sei mai chiesto se Helm riuscirà a tenere il tempo mentre intona l’acuto del ritornello, o se Roberton non steccherà l’assolo. Ma con Dylan è diverso, ancora dopo tanti anni ogni concerto è sempre l’ora del debuttante. It’s Alright in realtà va forte come un treno – è incredibile quanta confusione riesca a fare da solo questo folksinger teoricamente arrugginito. Per un attimo il tempo sembra davvero riavvolgersi – il pubblico trattiene il fiato in attesa che canti quei due versi che il caso Watergate ha trasformato in una profezia: anche il presidente degli Stati Uniti a volte deve mostrarsi nudo! Dylan non si sottrae, ma capisci che si sente un po’ troppo nudo anche lui.

Prima degli smartphone la gente accendeva i cellulari, prima ancora gli accendini, prima ancora i fiammiferi, e pare che sia tutto cominciato con questo tour di Dylan e la Band.

Prima degli smartphone la gente accendeva i cellulari, prima ancora gli accendini, prima ancora i fiammiferi, e pare che sia tutto cominciato con questo tour di Dylan e la Band. È LA STESSA FOTO DI PRIMA, CERTO, A VOI NON LA SI FA, COMPLIMENTI.

Riparte la Band (ancora!) Altri tre pezzi, tra cui un’ottima The Weight (esiste una versione di The Weight meno che ottima? O sai suonarla bene o nemmeno ci provi). L’ultima facciata contiene i bis. Ma nel frattempo è successo qualcosa: la tensione si è sciolta, il marito folle si è calmato e ha messo i fiori in un vaso. La Band parte con quella che sarà la prima di un’infinita serie di versioni live di All Along the Watchtower, ed è subito chiaro che più che alla versione di John Wesley Harding, Dylan sta pensando a Jimi Hendrix. È merito di quest’ultimo se All Along sarà, negli anni a venire, la canzone più suonata e quella meno stravolta: già nel ’74 Dylan la sentiva più hendrixiana che sua. Highway 61 è il momento migliore di tutto il set: sarà che il blues è sempre un territorio più rassicurante, sarà che il cantante ha tutto lo spazio per declamare ogni suo verso come fosse l’ultimo, ma sembra che solista e orchestra abbiano finalmente trovato la quadra. Anche Like a Rolling Stone è più simile all’originale rispetto all’esperimento dell’Isola di Wight, ma Dylan sta cominciando a perdere la voce. Segue la prima, dimenticabile Blowin’ In the Wind elettrica, anticipazione di tante bolsaggini che arriveranno nei tour a venire. Dylan potrebbe inserire il pilota automatico, ma non smette di mettere enfasi in ogni verso. Alla fine dice soltanto Grazie e Buona notte. Non dev’essere stato facile.

All_Along_the_WatchtowerCredo che ci siano due modi di ascoltare Before the Flood, diciamo con o senza alcool. Se ti trovi magari a una festa e stai bevendo da un po’, e per uno curiosissimo inghippo del destino sul piatto sta girando Before the Flood, improvvisamente puoi capire cosa intendeva Robert Christgau quando diceva “questo è il più folle e potente rock and roll mai registrato“; o Greil Marcus quando decantava l’abilità di Robertson: “o ogni altro chitarrista al mondo ha le mani palmate, o lui ha dodici dita“! Se invece lo ascolti da sobrio quel che senti prima di tutto è la fatica. La fatica di stare su un palco, di suonare a tempo con altri cinque professionisti che hanno imparato a non tradirla, la fatica, mentre a te costa sangue e sudore anche solo finire ogni verso di ogni canzone – e alcune canzoni hanno cento versi. La fatica di essere al centro dell’attenzione, di essere la stella dello show, il sacerdote di una liturgia che da tempo, sospetti, ha perso il suo significato. Dietro di te c’è un batterista implacabile, non sgarra una battuta, e tu sei già in ritardo. Davanti a te, confusi oltre la nebbia e l’abbaglio dei fari, un diluvio di persone che hanno pagato per ascoltarti, ma potrebbero anche scegliere di farti a pezzi, forse ne avrebbero il diritto. Insomma la vita della rockstar è questa. Non è così male. Quando si spegnerà la luce, avrai di nuovo voglia di ricominciare. Che fatica però.

(Gli altri pezzi: 1962: Bob Dylan, Live at the Gaslight 19621963: The Freewheelin’ Bob DylanBrandeis University 1963Live at Carnegie Hall 19631964: The Times They Are A-Changin’The Witmark Demos, Another Side of Bob DylanConcert at Philharmonic Hall1965: Bringing It All Back HomeNo Direction HomeHighway 61 Revisited1966: The Cutting Edge 1965-1966, Blonde On Blonde, Live 1966 “The Royal Albert Hall Concert”, The Real Royal Albert Hall 1966 Concert, 1967: The Basement Tapes, John Wesley Harding, 1969: Nashville Skyline, 1970: Self Portrait, Dylan, New Morning, Another Self Portrait, 1971: Greatest Hits II, 1973: Pat Garrett and Billy the Kid, 1974: Planet Waves, Before the Flood, 1975: Blood on the Tracks…)

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.