Dieci ragioni per cui voglio bene a Woody Allen

La prima volta è stata due anni fa, a Cannes. Un vecchino. Mezzo sordo, un po’ rallentato, con gli occhi spenti. Mi fece una tristezza infinita. Pensai: ecco, ce lo siamo giocato. Anche perché il film che presentava quell’anno – Vicky Cristina Barcelona – era un delle cose più ignobili mai viste (correggo: la cosa più ignobile è che Penelope Cruz ci abbia vinto un Oscar con quella parte lì, ma vabbè). Era il 2008 e lo incontravo per la prima volta, dando un senso a questo mestiere di giornalista, fatto per l’80% di incontri con sfigati che si credono geni incompresi e per il 20% di geni veri che hanno l’aspetto di persone a cui non chiederesti neanche un’indicazione stradale, figurarsi l’autografo.

Comunque, quello che ricordo dell’intervista è che fu piacevole, ma non memorabile. Non archiviabile come delusione, ma quasi. Pazienza. La seconda e ultima volta è stata a maggio di quest’anno, sempre a Cannes. Il film si intitolava You’ll meet a tall, dark stranger (in Italia esce dopodomani con il titolo Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni). Ricordo che tirai un sospiro di sollievo: è un buon film, si ride, è girato bene, gli attori sono tutti bravi, c’è un Anthony Hopkins strepitoso. E già questa sarebbe una bella notizia. Quella ancora più bella è che rispetto a due anni fa lui stava meglio, decisamente meglio. Sembrava ringiovanito. Durante l’intervista faceva battute (“cosa penso della morte? Be’ sono assolutamente contrario”), raccontava aneddoti,  rideva, si toccava gli occhiali come gli abbiamo visto fare centinaia di volte nei film. Era, insomma, lui. Mi commossi e quando alla fine della chiacchierata mi strinse la mano pensai: sì, io a questo omino qui voglio proprio bene. Ma proprio tanto.  E siccome domani è il suo compleanno (sono 75) e siccome vanno così di moda gli elenchi e lui di elenchi se ne intende (il viso di Tracy, quelle incredibili pere e mele dipinte da Cézanne… ), ecco qui di seguito i dieci motivi per i quali qui si vuole e si vorrà sempre bene a Woody Allen:

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Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.