Di che parliamo quando parliamo di wi-fi?

In un articolo su Il Sole 24 ore di ieri Sara Monaci racconta gli ultimi sviluppi del progetto wi-fi comunale a Milano:

La novità vera è che però il wifi a Milano non sarà totalmente gratuito, come avviene in alcuni centri storici di altre città italiane (tra cui Roma, Bologna, Padova, Bergamo). A Milano il wi-fi verrà pagato a fasce orarie, o perzone. Allo studio ci sono varie possibilità, e le più accreditate sono una prima parte di connessione (per esempio la prima ora) gratis e poi il pagamento: wi-fi libero durante la notte (ad esempio dopo le 20): aree ristrette a totale connessione gratuita, come ad esempio il centro storico, per spingere i giovani a frequentarlo anche la sera e renderlo di nuovo vivo. Per il comune di Milano una cosa è comunque certa: la totale gratuità non sarà possibile per via dell’ampia diffusione che l’amministrazione vuole garantire, e anche per il fatto che soldi non ce ne sono. In campagna elettorale si parlava di un investimento pubblico di 5 milioni ma ora Palazzo Marino si vede costretto a realizzare il progetto a costo zero, dato che in questa fase non potrebbe permettersi alcuna spesa aggiuntiva.

Che dire? Una volta sfrondati i progetti di Pisapia e Zingaretti (dal cui progetto wi-fi per la Provincia di Roma il progetto milanese prende ispirazione) dall’inevitabile carico elettoralistico che portano con sè, la prima domanda da porsi dovrebbe essere: di che cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di un diritto naturale che si vuole finalmente riconoscere ai cittadini, oppure ci stiamo riferendo ad un normale servizio accessorio di cui le amministrazioni intendono farsi carico? In altre parole, le persone che si trovano a passare nell’area metropolitana di Milano avranno diritto a collegarsi (gratuitamente come diceva Pisapia in campagna elettorale) a Internet attraverso l’infrastruttura offerta dal Comune poiché tutto ciò discende dall’imprescindibile diritto alla connessione o invece potranno, più prosaicamente, usufruire di un servizio (magari anche a pagamento) esattamente come si utilizza l’autobus, una fontanella pubblica o la biblioteca di quartiere? E ancora: chi è il destinatario del wi-fi gratuito comunale? Tutti quanti, come si confà ad un diritto, o solo i residenti che ne sostengono le spese?

In entrambi i casi è più che evidente che l’idea stessa di diritto naturale (ma anche l’ipotesi di fornitura diretta di servizio) finisce prima o dopo per collidere con l’ambiente economico delle TLC. Quello che le amministrazioni creano, con un occhio al consenso politico ed un altro alla propria investitura a soggetti in grado di interpretare la modernità, è da molti punti di vista un semplice doppione, magari con strutture tecnologiche differenti, rispetto all’offerta commerciale dati delle compagnie telefoniche. Detto in altre parole il Comune di Milano spende (o meglio spenderebbe) una parte (magari anche piccola) dei soldi dei suoi cittadini, per abbonarli a servizi che hanno un costo non tanto di implementazione ma anche (soprattutto) di esercizio. Perché i diritti potranno non costare nulla, ma il loro esercizio sì. In molti di questi casi le amministrazioni, che ovviamente non hanno strutture o competenze specifiche, diventano semplici intermediari di servizi di TLC comprati dalle telco per i propri cittadini e poi raccontati come gratuiti.

Questo ruolo di mediazione mantiene (sarebbe meglio dire manterrebbe) un valore politico che – dal mio punto di vista – si sostanzia in due contesti: quando esiste una barriera economica in ingresso (vale a dire quando si intende fornire accesso a chi non può permetterselo) o quando esistono ragioni di copertura, là dove le telco scelgono di non fornire il servizio, nelle cosiddette aree a fallimento di mercato. La prima di queste condizioni, nel caso in questione, è piuttosto dubbia (il costo del traffico dati, a differenza di qualche anno fa, è ormai alla portata di quasi tutte le tasche) la seconda, certamente, nel caso dell’area metropolitana di Milano, non sussiste.

Questo non significa che le amministrazioni non possano immaginare in nessun caso servizi di accesso alla Rete ma alla retorica del tutto gratis per tutti fino ad oggi imperante non sarebbe male sostituire contesti meno grossolani ed una analisi del rapporto costi benefici che vada oltre la solita demagogia e che, soprattutto, tenga conto del contesto preesistente. Per esempio si potrebbe cominciare a cablare i parchi, forse le zone ad alto impatto turistico, certamente le biblioteche, magari non sarebbe male dedicare una parte dei soldi alla alfabetizzazione, ma immaginare un accesso wi-fi comunale con migliaia di hotspot che raggiungono la periferia per far sì che i milanesi escano di casa per collegarsi ad Internet, dalla strada, in una serata nebbiosa e raccontare che questo possa essere il volano per uno sviluppo della rete significa semplicemente abitare nel paese delle favole.

Nessuna grande città europea ha una rete civica cittadina, i molti progetti partiti in USA negli anni scorsi sono tutti più o meno falliti. Ora non è che si debba per forza fare tesoro delle esperienze altrui e non escludo che fra dieci anni tutte le capitali mondiali avranno la loro bella rete wi-fi, ma allo stato, in questo paese, mi pare abbastanza pacifico che l’accesso alla rete si favorisce e si incentiva in maniere differenti da questa. Non è nemmeno necessario andare troppo lontano. La stessa Lombardia ha recentemente approvato una collaborazione fra amministrazione pubblica e telco che, con investimenti ripartiti per complessivi circa 100 milioni di euro eliminerà il digital divide geografico entro la fine del 2012.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020