I dati sul turismo italiano non se li fila nessuno

Siamo ormai all’inizio dell’autunno 2016 e solo ora l’Istituto Italiano di Statistica ha pubblicato in maniera definitiva i dati 2015 dei flussi turistici in Italia. Tutto normale, succede sempre così. D’altronde, quando si parla di turismo a livello politico e amministrativo, quasi mai in Italia lo si fa con i numeri veri alla mano. Lo si fa con le stime, con le previsioni, con le rilevazioni. E quando si prendono decisioni, spesso non si ricorre a nessuno delle tre. Nel turismo si va a naso, evidentemente hanno tutti del gran fiuto. I dati possono restare in un file o, peggio, sulla carta, completamente ignorati. Eppure, i dati dell’ISTAT sono gli unici ufficiali, raccolti in maniera omogenea sul territorio nazionale, che i decisori politici o economici dovrebbero considerare per tracciare le linee di uno sviluppo turistico strategico. Prima ancora di parlare di big data, che ora sono tanto di moda.

Ma per capire perché vale la pena di considerarli forse è bene capire da chi provengono, come vengono raccolti e che uso se ne può fare. Gli arrivi, le presenze, la permanenza media, gli indici di utilizzo dei posti letto provengono direttamente dalle strutture ricettive ufficiali (e quindi sono fuori moltissime di quelle che – non registrate – operano sotto il cappello della sharing economy): gli alberghi, i B&B, gli agriturismi, i residence, le case vacanze e simili inseriscono i loro dati con cadenza mensile nel portale della loro regione, le province/aree vaste (se delegate) controllano la correttezza degli inserimenti e li confermano definitivamente alla regione una volta l’anno, entro il primo bimestre dell’anno successivo a quello di riferimento. Le Regioni, a loro volta, impiegano un altro paio di mesi per convalidarli e trasmetterli all’ISTAT; quindi, i dati 2015 sono stati “chiusi” dalle Regioni non prima di aprile/maggio 2016. È bene non dimenticare però che le Regioni hanno la facoltà di organizzare in maniera autonoma tutto il flusso di lavoro, quindi l’iter descritto potrebbe discostarsi un poco da una regione all’altra e, a giudicare da questa circolare dell’ISTAT del febbraio scorso, qualche scaramuccia con le Regioni c’è stata.

L’ISTAT di norma consolida e pubblica non prima di giugno o luglio i dati in modalità provvisoria e in via definitiva per settembre. Tutti i dati sono di sua proprietà e sottoposti alle norme che regolano il segreto statistico. Fino alla pubblicazione ufficiale e definitiva, non possono essere diffusi da altri e comunque non possono esserlo se non nelle medesime modalità utilizzate dall’ISTAT, se non previa sua espressa autorizzazione. Se a questo punto siete curiosi di dare un’occhiata a questi dati, li trovate qui selezionando “Turismo” nella categoria “Servizi”.

Questi tempi però sono troppo lunghi per chi, ad esempio, vorrebbe capire come è andato davvero Expo 2015 a Milano e programmare le azioni a seguire. Inoltre, l’ISTAT non pubblica i flussi turistici con un livello di dettaglio provinciale, lo fa solo sulla consistenza delle strutture ricettive; è facile comprendere che avere il dato aggregato dell’intera Lombardia serve a poco per le destinazioni trainanti come Milano con le sue fiere e i laghi di Como e di Garda e per le città d’arte o le destinazioni minori: per tutte loro l’analisi dei flussi con le provenienze Italia/estero e il tasso di occupazione delle strutture sono invece essenziali per sviluppare per bene politiche di crescita e di marketing territoriale locale. I dati raccolti (non solo quelli turistici ma anche quelli delle rilevazioni ambientali o della mobilità, ad esempio) dovrebbero essere considerati dalla pubblica amministrazione un patrimonio immateriale da mettere a cespite e non una mera un’incombenza da espletare, così come le associazioni di settore dovrebbero pretendere di decidere sulla base di statistiche focalizzate sui singoli territori.

Detto in parole povere, questi dati non se li fila nessuno ed è evidente che l’importanza di analizzare i flussi turistici in Italia è del tutto sottostimata; d’altronde, se guardiamo al comparto degli eventi, grandi o piccoli che siano, è ancora peggio perché non abbiamo indici di performance sulle visite a mostre, musei e festival che invece, se abbinati a quelli del turismo, costituirebbero la base statistica per delineare le strategie e quindi azioni in grado di essere sì veri attrattori culturali e turistici e non solo espressione di un mero tornaconto politico/elettorale.

Emanuela Marchiafava

Media Analyst e consulente per le imprese, già assessore della Provincia di Pavia, si occupa di turismo, politica e diritti.