Daniela, Garnero e Santanché

Io sono un cretino, molti di voi sono dei cretini, lei invece non è cretina, lei è Daniela Santanché: «La Fornero deve diventare mia sorella, il governo di Monti va sostenuto fino in fondo, chi non cambia idea è un cretino, e io ho cambiato idea». Era il 7 febbraio scorso e lei non era cretina. Neanche adesso è cretina, e infatti ha cambiato idea: «È il momento di decidere se stare con la nostra gente o con Monti, con il Popolo della Libertà o col governo della polizia fiscale». Neanche in novembre era cretina, e infatti aveva un’altra idea e sedeva sul palco del teatro Manzoni per invocare le urne e per dire no all’esproprio della democrazia.

Lei non è cretina, i cretini sono quelli che scrivono e che leggono articoli come questo, sono quelli che compilano rudimentali collezioni di incoerenze basate su dichiarazioni rilasciate in periodi diversi: su Monti, su Berlusconi, sul fascismo, su La Russa, sul Billionaire, su qualsiasi cosa. Noi giornalisti – noi cretini – abbiamo fatto milioni di articoli del genere, e facciamo pena, perché ci comportiamo come se di queste incoerenze importasse ancora qualcosa a qualcuno: non abbiamo capito – lei sì, perché non è cretina – che le parole ormai stanno a zero, che è ben altro a formare la pubblica opinione, che le parole ormai sono troppe, che tutti dicono tutto e che nessuno ricorda nulla, le parole sono un corredo dell’immagine tv, sono slogan e battute che sconfiggono i contenuti.

La Santanché è una che cambia sempre idea, appunto: forse perché di idea non ne ha nessuna? O perché sui tacchi a spillo si gira meglio? O perché le hanno messo in cranio che sarà la candidata premier, la nuova Marine Le Pen? Sciocchezze, anticaglie: è solo che non è cretina, l’ha detto anche lei, ha capito da un pezzo che non importa che cosa diceva o sosteneva: importa che cosa dice ora, in questo preciso momento, importa che cosa dice che farà adesso. Non importa se c’è un cattivo saldo tra il detto e il ridetto, tra il detto e il fatto, tra quanto promesso e quanto mantenuto, non importa se tutto questo parrebbe il lascito di una vecchia cultura democristiana: sono seghe mentali, e mentre noi ci maceriamo lei è già oltre, ne ha già sparata un’altra.

La spiegazione sta nel fatto che lei esiste – e continua a esistere, plastica e splendente – mentre noi ci avvitiamo nelle nostre vite da scrivani coi nostri compitini. Lei continua a esistere – lei come tanti altri, va da sé – e quindi ha ragione. Daniela Santanché criticò Berlusconi per la sua battuta sulle precarie che debbano sposare un ricco: lei che, a 21 anni, sposò un ricco chirurgo e per 15 anni si occupò della contabilità delle sue cliniche. Daniela Santanché rivendica sempre l’indipendenza e l’identità femminile: lei che di cognome farebbe Garnero e da divorziata ottenne un decreto per adottare il cognome del marito. Daniela Santanché diede di traditore a Gianfranco Fini (in precedenza l’aveva fatto anche con La Russa, l’uomo che se l’è inventata politicamente) ma in precedenza aveva decantato la «grande presidenza» di Fini» e la sua «capacità oratoria eccezionale, capacità senza pari di capire la politica». Daniela Santanché se la prese ancora con lui, con Fini, quando andò in Israele e quando affermò che il fascismo era il male assoluto, ma in precedenza aveva detto che «le sue uscite sugli immigrati, oppure su Israele, appartengono a una destra moderna e non populista». Daniela Santanché passò alla Destra di Storace e allora cominciò a dire che Berlusconi «non ha rispetto per le donne, lo dimostra la sua vita», del resto «ci vede solo orizzontali» e «ha sempre utilizzato le donne come il predellino della sua Mercedes», al punto che «è ossessionato da me, ma tanto non gliela do». Poco tempo prima aveva detto che «Berlusconi è un genio, è sempre carino, attento, umanamente straordinario, si ricorda di tutte le persone e sa fare squadra, uomini così ne nascono pochi»; posizione, questa, poi riscoperta quando la Destra non brillò alla elezioni e quando cioè la Santanché, con una meravigliosa disinvoltura sconosciuta a noi cretini, tornò a Canossa e divenne sottosegretario in quota Berlusconi.

E perché? Perché non è cretina, noi invece sì. Noi ci consoliamo con poco, elogiando virtù da imbecilli – da cretini – e riconoscendoci in qualche nostra vecchia frase, o perlomeno – a differenza sua – nelle vecchie fotografie.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera