Critica liberale al governo Renzi

C’è un giochino, da parte del renzismo più talebano (posto che ve ne sia di moderato, al momento non risulta ma non si sa mai) a dare patenti di bertinottismo e di sinistra residuale e passatista a tutti coloro che hanno qualcosa (qualsiasi essa sia) da ridire sulle magnifiche sorti e progressive.

Ora, che una riforma del lavoro trovi l’opposizione dei sindacati è effettivamente parte di un copione già visto (non necessariamente errato, però), ma che si cerchi di far passare per contratto unico a tutele crescenti un contratto che non solo non è unico, e non solo non vede crescere le tutele al livello di quelle di chi già le possiede, ma non piace nemmeno a chi quel contratto lo ha ideato, beh, vorrà pur dire qualcosa: e a me non pare che Tito Boeri sia nato, a dispetto del nome, in Jugoslavia, o che si sia formato in Corea del Nord.

Persino Panorama, un giornale del gruppo Berlusconi e quindi direi non tacciabile di nostalgie comuniste, pochi giorni fa arrivava a rimpiangere il Bersani ministro, lui sì autore di liberalizzazioni – la famose lenzuolate – al cui confronto questo è un governo corporativo e tutto arroccato sulla difesa delle rendite.

Insomma, la caricatura del cavallo cosacco che si abbevera alla fontana di Trevi la respingiamo al mittente, la verità semmai è che ci sono ormai moltissimi motivi per cui un sincero liberale trova poco di condivisibile in questo governo: nessun provvedimento a tutela della concorrenza (si veda ad esempio il clamoroso articolo 5 dello Sblocca Italia, che blocca le concessioni autostradali a chi le ha già, procrastinandole contro ogni logica liberale), contro i monopoli, le rendite e i conflitti di interesse – che sono ancora tutti lì, in sicurezza, nella cassaforte del Nazareno insieme al famoso patto – e anzi un’ostentazione di un’idea di economia relazionale, fatta di rapporti personali tra amici di amici, con i poteri forti che si finge di contrastare, ma che poi si incontrano a ogni occasione, tra reciproci salamelecchi e devoti scambi di cortesia.

Così per le nomine, dove i cacciatori di teste stilano per conto del governo lunghi e dettagliati elenchi, e poi arriva la politica, superandoli di slancio.

Così per la gestione del potere, in cui tutti sanno che poi alla fine decide solo uno, coinvolgendo al più uno staff molto ristretto, all’insegna di una sempre più stretta sovrapposizione tra partito e Stato (anzi, tra staff e Stato, e scusate per il gioco di parole).

Così per il fastidio nei confronti dei controlli e dell’equilibrio dei poteri: con la riforma costituzionale è tutto sbilanciato a favore della maggioranza, senza alcuna garanzia e senza alcun bilanciamento? Che ce ne importa.

Così per i diritti civili, a parte le annunciatissime riforme che riguardano le unioni omosessuali (di cui si specifica immediatamente che cosa non conterranno), pensando all’omofobia (ferma da un anno in Senato), all’eterologa, al testamento biologico (con tanto di appello dedicato da parte di Napolitano, unico ‘richiamo’ che sia caduto nel vuoto, perché agli altri si risponde prontamente scattando subito sull’attenti).

Tutte cose liberalissime, di cui la maggioranza che sostiene l’esecutivo non si occupa e non intende farlo, per mille ragioni, che tutti attribuiscono agli altri per allontanarle da se stessi (a proposito di #noalibi…).

Così per il divorzio breve, che si è puntualmente bloccato al Senato, e che in questo momento è tutt’al più previsto come divorzio facile: mi si dirà, colpa degli alleati, però, permettetemi, non li ho scelti certo io. E c’è qualcuno che ha deciso di proseguire la legislatura a braccetto con i conservatori fino al 2018. A proposito di alibi, ancora una volta.

Così per la legalizzazione delle droghe leggere, perché al massimo depenalizziamo qualcosina, ma non troppo, non bisogna esagerare. Così per mille altre questioni che raccontano di un paese in cui cambia pochissimo, anche per colpa dei cambiatori di professione.

Una cosa inguardabile non solo da sinistra, ma anche dal punto di vista dei mercati, e non a caso molti indicatori dicono che si sta passando dall’osservazione attenta delle nostre dinamiche all’aperto scetticismo, in un’escalation che non promette nulla di buono.

Certo, questo governo è campione nella forma minore e notissima di quel ‘liberalismo’ (le virgolette immaginatele gigantesche) del ventennio appena trascorso (non è finito, però), che si esprime nella deregulation sempre e comunque, nell’attacco a tutto ciò che fa pensare a una regola, nella convinzione che privatizzare sia comunque e sempre meglio di mantenere un servizio pubblico, come si può vedere nel mostruoso Sblocca Italia, una summa ideologica ricchissima di spunti e di conferme, e in altre ‘riforme’ che tutti propagandano senza considerare la loro perfetta inefficacia.

Il capolavoro è anche politico, visto che dopotutto il nostro era il partito nuovo che avrebbe dovuto fare la sintesi tra diverse culture, e tra queste anche quelle liberale, riformista e socialdemocratica: e lo spostamento del Pd di nuovo corso in questo senso non è solo sull’asse sinistra-destra, ma addirittura necessita di una terza dimensione. Forse sta decollando verso lontani sistemi solari, chissà.

Pippo Civati

Pippo Civati è il fondatore e direttore della casa editrice People. È stato deputato eletto col Partito Democratico e ha creato il movimento Possibile. Il suo nuovo libro è L'ignoranza non ha mai aiutato nessuno (People).