Cosa c’è di sbagliato nella staffetta tra giovani e vecchi

Nelle ultime settimane si è parlato molto della “staffetta”, l’idea che per combattere la disoccupazione giovanile sia utile liberare i posti di lavoro occupati dalle persone più anziane. Il governo sta lavorando a qualcosa di simile: un progetto per consentire ai più anziani di lavorare in part-time e permettere alle aziende di assumere giovani con le risorse liberate.

L’idea però è più vecchia di questa settimana ed è stata usata spesso da politici e sindacalisti per attaccare la riforma Fornero. Per il principio della staffetta, se si sposta in avanti l’età pensionabile, come ha fatto la riforma Fornero, si toglie automaticamente lavoro ai più giovani, perché si mantengono i più anziani al loro posto.

La staffetta è stata criticata da diversi economisti: in particolare Tito Boeri e Vincenzo Galasso, sulla Voce.info e Andrea Moro, sul blog Noise from Amerika. I dati che hanno usato nei loro articoli sembrano piuttosto incontrovertibili e ci sembra opportuno – anche se non si tratta di un vero e proprio fact-checking – riportare anche qui, e riassumere in un linguaggio potabile a tutti, le loro argomentazioni.

La prima cosa da fare se vogliamo scoprire se la staffetta funziona o meno è andare a vedere un po’ di dati. In particolare dovremmo indagare se esiste un qualche tipo di correlazione tra il numero di anziani e il numero di giovani che lavorano o che non lavorano. Se nei paesi dove molti anziani lavorano la disoccupazione giovanile è alta, allora è probabile che la teoria della staffetta sia corretta.

Come si può misurare un fenomeno del genere? Bisogna considerare due tipi di dati diversi: l’occupazione delle persone a ridosso dell’età pensionabile (55-64 anni) e il tasso di disoccupazione dei giovani – è quello che fanno Boeri e Galasso. Oppure si può confrontare il tasso di occupazione degli anziani con quello dei giovani – è quello che fa Moro. Tasso di disoccupazione e di occupazione sono due misurazioni diverse. Il primo misura quante sono le persone che cercano attivamente lavoro senza trovarlo, misurato sul totale di chi un lavoro ce l’ha già. Il secondo misura invece quante persone lavorano sul totale della popolazione preso in esame.

Ecco cosa mostrano le tabelle elaborate nei due articoli (non spaventatevi: sotto c’è la spiegazione).

Galassi e Boeri

Moro

In entrambi i grafici potete vedere, in basso, il tasso di occupazione della popolazione tra i 55 e i 64 anni (solo uomini nel caso del grafico di Moro). A sinistra nel primo grafico c’è il tasso di disoccupazione giovanile, nel secondo il tasso di occupazione giovanile. Ogni puntino rappresenta un paese, posizionato nel punto dove la linea del suo tasso di occupazione degli anziani si incrocia con il tasso di disoccupazione (od occupazione) dei giovani.

Prendiamo il grafico di Moro, il secondo. Se la teoria della staffetta fosse corretta, allora in quei paesi dove ci sono molti anziani che lavorano dovrebbero esserci pochi pochi giovani occupati. I pallini che rappresentano i paesi dovrebbero essere disposti in una sorta di “corrente” discendente che va da in alto a sinistra (alta occupazione giovanile, bassa occupazione degli anziani), verso il basso e verso destra (alta occupazione degli anziani, bassa occupazione dei giovani).

Come potete vedere i pallini sono rappresentati in maniera esattamente opposta. Nei paesi dove pochi anziani lavorano, anche i giovani sono poco occupati. Al contrario, dove gli anziani hanno un’occupazione alta, anche i giovani risultano molto occupati. I pallini, e quella linea che li “sintetizza”, procedono da sinistra e in basso, verso destra e in alto.

In questi casi si dice che esiste una correlazione positiva tra le due variabili: più anziani lavorano, più giovani lavorano. Attenzione: correlazione non vuol dire causalità. Non è detto che ci siano più giovani lavoratori perché ci sono più anziani che lavorano, ma i due dati sembrano andare di pari passo, probabilmente spinti da altre variabili che non abbiamo preso in considerazione.

Perché le cose vanno in questa maniera, così fastidiosamente controintuitiva – cioè che va contro il buon senso comune e l’intuito immediato? Ci sono una serie di motivi che influiscono tutti a loro modo. Ad esempio, è difficile che la posizione abbandonata da un lavoratore con 30 anni di esperienza possa essere riempita nello stesso modo da un giovane appena assunto. Se l’azienda ha bisogno di quel tipo particolare di competenza, probabilmente cercherà un altro lavoratore più o meno anziano, con un tipo di esperienza simile a quella di chi è andato in pensione.

Un altro motivo, forse ancora più fondamentale, è che mandare molta gente in pensione e mandarcela in anticipo ha un costo. Questo costo può essere pagato dallo stato o più probabilmente viene riversato sulla contribuzione: ai lavoratori nuovi assunti e alle loro aziende si chiede di aumentare la quota di stipendio che viene versata per finanziare le pensioni (appunto). Questo causa un aumento del costo del lavoro e quindi rischia di stroncare qualunque incentivo a compiere nuove assunzioni.

Davide De Luca

Giornalista. Ho scritto per l’Arena di Verona e per l’Agence Europe di Bruxelles. Ho collaborato ad alcuni libri d’inchiesta su CL e la finanza cattolica. Mi piacciono i numeri e l’economia e cerco di spiegarli in modo semplice. Su Twitter sono @DM_Deluca