Communisti così

Quando eravamo all’università c’era un mio amico che si diceva di destra, e la principale espressione del suo essere di destra era abbordare delle ragazze di sinistra (allora prevalenti) con argomenti di destra, un vecchio sistema di corteggiamento provocatorio che ha da sempre una sua categoria di fiduciosi interpreti (ieri sul Foglio c’era una conversazione sul populismo come modo di affermazione di sé dei maschi, con spunti interessanti).

Tra i suoi argomenti polemici, quel nostro amico aveva una domanda declinata allora in modi diversi, e che negli anni successivi divenne “se sei di sinistra, perché hai il telefonino?” (sempre lui, era anche solito rispondere sempre a qualunque critica con “E te?”, precorrendo così il tempo di “E allora, il PD?“: in questo, pensare che poi abbia vinto lui mi rende appena meno estranee e intollerabili le odierne vittorie degli egoismi bruti).
La domanda (“se sei di sinistra perché hai le Timberland? Se sei di sinistra perché vai in Versilia?”) riusciva abbastanza nel suo intento di prolungare la conversazione con le ragazze (con quali risultati successivi, poi, non so dire), ma tra di noi gliel’avevamo smontata abbastanza rapidamente.

Essere di sinistra, gli spiegavamo, significava volere di più per tutti, non di meno. L’idea che la sinistra fosse quella dei “comunisti” e degli espropriatori della proprietà privata suonava vecchia e rifiutata già allora. Nessuno di noi di sinistra pensava a togliere ricchezza ai ricchi, ma a darne agli altri (è interessante invece come quell’approccio allora veterocomunista e pauperista sia tornato per via grillina e leghista: le accuse attuali contro chi ha presunte o reali sicurezze economiche sono il vero postcomunismo). C’è quella scena del dottor Zivago, in cui la casa di famiglia è occupata e depredata dai comunisti.

In questi giorni tutto sta tornando. Se esistesse (non esiste, e i suoi propalatori sono falsificatori consapevoli o utili idioti) l’attico a Manhattan di Saviano, solo il suo essere a Manhattan e non in Italia lo proteggerebbe dall’occupazione e dal sequestro, come se a risolvere i problemi di povertà del paese dovesse essere Saviano. Va molto l’esproprio proletario.

Cosa sia essere di sinistra è una questione truffaldina: la domanda è usata quasi sempre solo per ragioni polemiche e strumentali, ed è inutile, come tutte le formulazioni che riducono temi complessi a singole parole. Chissenefrega di cosa sia definibile di sinistra e della fessa frase “di’ qualcosa di sinistra”: sono approcci che servono solo a chi ha bisogno di slogan e appartenenze, e poca voglia di capire, approfondire e affrontare i problemi. La “sinistra” (lo dice uno che si ritiene di sinistra, ma che rispetta che si ritengano tali molte persone con pensieri e opinioni diverse: se no starebbe fresca, la sinistra) non è un valore condiviso delle nostre società: lo sono la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, il rispetto, la premura per il prossimo, e ancora. In base a queste cose si predica e si giudica la bontà delle scelte.

Ma siccome gli stolti moderni eredi del mio amico (quelli del Rolez, di Capalbio, del termine “radical chic” di cui non afferrano neanche il significato che indica opinioni “radicali”, non moderate, come indica Luca Bottura) continuano a nascondersi dietro al doppiopesismo per cui le persone che si pensano “di sinistra” dovrebbero essere sottoposte a repressioni maggiori delle altre (non essere libere di spendere per sé i soldi che guadagnano col proprio lavoro), scriverò cosa pensavo fosse essere di sinistra allora e cosa ne penso ora: ovvero auspicare che tutti possano soddisfare i loro desideri e lavorare perché ci si avvicini – col realismo necessario – ogni giorno di più a questo obiettivo, coerentemente con il rispetto delle libertà e i diritti individuali e col rispetto delle leggi. E auspicare che questo auspicio si diffonda.

Niente di questo ha a che fare coi Rolex (io li trovo brutti, e di tutti i clichés di queste stupide accuse riesco a rivendicare solo una bisnonna della valle accanto a quella di Cortina, ma Cortina è più roba di Vanzina, e appunto chissenefrega), e anzi tutto questo sancisce il diritto di ognuno a perseguire i piaceri che vuole e che merita. Senza falsi egualitarismi che pretendano che nelle gare arrivino tutti alla pari: l’uguaglianza è partire alla pari.
Voi direte, “ma sei scemo, stai spiegando davvero che il Rolex non è un problema?”. Forse sono scemo, forse al mio amico allora manco rispondevamo, forse è il caso che stacchi da Twitter una settimanella.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).