“Command”, l’ultimo war game

Esiste un luogo comune abbastanza diffuso che vede nei videogiochi un’espressione evidente dell’accelerazione dei linguaggi e delle esperienze individuali dei “nostri tempi”. Questi “nostri tempi” A) non si sa bene cosa siano, e B) sembrano accelerare da sempre. Ma non fa niente. Prendiamo il luogo comune per buono. È vero che i ragazzi in questi ultimi anni tendono a giocare molto a Fortnite o ad Apex Legends: arene di combattimento dove si partecipa in tanti, tutti contro tutti, e chi sopravvive ha vinto. Ma quello che proprio non è vero è che tutti i videogiochi puntino alla velocità e all’accelerazione. Red Dead Redemption 2, uno dei titoli più ricchi e di successo del momento, è tutt’altro che febbrile: gran parte del lunghissimo tempo di gioco si svolge nel ritmo placido delle cavalcate nel West.

Ma non è solo questo. Se continuiamo a spostarci indietro sull’asse della velocità e della frenesia, c’è di più, o meglio di meno. Fin dagli albori dei videogiochi, esistono titoli che amano esplorare i territori della lentezza più viscerale: simulazioni di qualsiasi cosa, dalla coltivazione della soia (Farming Simulator) al trasporto su gomma (Truck Driving Simulator) al volo civile (X-Plane), frequentate da appassionati della calma, del puntiglio, della noia apparente. Giocare a questi giochi dà una soddisfazione più legata alla familiarità che ai risultati, fatta più di ostinazione che di ambizione.

Tra questi giochi lenti, che riproducono la profondità di processi complessi e pieni di variabili, spiccano le simulazioni strategiche militari. Sia chiaro che non parliamo di giochi di combattimento in terza o in prima persona ambientati in scenari di battaglia come Call of Duty. Call of Duty si può osservare da spettatore con una certa soddisfazione. Osservare una sessione di gioco di un simulatore strategico militare, se non si è un iniziato, è come cercare di interpretare un’ecografia senza essere radiologi.
Il mondo dei videogiochi nella sua forma più primordiale è stato sempre caratterizzato da tre azioni base: correre, saltare e sparare. L’atto dello sparare a qualcosa è stato in questi primi decenni del linguaggio una delle azioni più tipiche disponibili. D’altronde anche nel cinema commerciale non c’è carenza di film dove si spara, per fortuna anche lì in misura molto superiore di quanto succeda nelle nostre vite. Ma lo sparo in questo senso è spesso simile al tiro con l’arco, al tiro al piattello: è una questione tecnica, di tempismo, di manualità e bersagli. Nelle simulazioni militari invece sparare non è che una delle moltissime azioni disponibili, uno dei momenti di una serie interminabile di processi da svolgere con la calma e la meticolosità non delle trincee, ma dei saloni con le mappe dispiegate sui tavoli dove i generali decidono le sorti degli eserciti (per stare ai riferimenti del cinema di guerra).

Chi ha una almeno trentacinque anni ricorderà War Games, dove Matthew Broderick interpretava forse il primo grande nerd della storia del cinema, in un film che trattava il tema della guerra fredda e della minaccia nucleare. War Games fu uno dei primi tentativi di spostare al cinema quel tipo di attività da tastiera che fa di qualsiasi film di hacker una sfida del regista contro la noia (perfino Michael Mann nel suo Blackhat ha faticato a dare un senso alle sequenze in cui qualcuno digita linee di codice davanti a un monitor).

Dal film “War Games”.

Le simulazioni di guerra nel mondo reale sono ancora più noiose di quelle cinematografiche, e lente fino all’incomprensibilità: si spingono in un territorio che confina da una parte con dei programmi da ufficio, come software gestionali o database; dall’altra sono vicinissime ai giochi di guerra da tavolo, ma col vantaggio della dimensione potenzialmente infinita della mappa, e con una complessità che non si può eguagliare con delle miniature. Parecchi anni fa mi capitò di essere coinvolto da un conoscente per fare una partita a Harpoon: ci si muoveva tra cartine e menù, si giocava alla guerra dei sommergibili e niente di quello che succedeva era minimamente spettacolare. Harpoon, che era uno standard presso gli appassionati, negli anni Zero lasciò il posto al suo successore Command. Dopo alcune altre vicissitudini, nel 2014 è uscito Command: Modern Air / Naval Operations, il nuovo standard di simulazioni belliche militari.

L’editore di Command: Modern Air / Naval Operations (o Command MANO) è Slitherine, con sede a Epsom, nel Surrey, una ventina di chilometri a sud-est di Londra. Slitherine produce e distribuisce circa 200 simulazioni militari sotto diversi marchi acquisiti nel tempo, alcune anche da tavolo. La cosa curiosa è che un pezzo di Slitherine, il marketing, è italiano. Il direttore marketing Marco Minoli (già in Eidos ed Electronic Arts) mi confessa sorridendo: «Li vendo, ma non ci gioco». Invece il pr Paolo Paglianti in passato ha affrontato i due fondatori di Slitherine, quando tutti e tre rappresentavano le rispettive nazioni ai campionati del mondo di wargame da tavolo.

Command MANO ha cinque anni, ma è in vendita ancora a prezzo pieno, circa 80€. Impermeabile alle mode, il titolo ha un suo mercato stabile di appassionati e un suo modello economico interessante. L’espansione di un gioco del genere è costituita in sostanza da scenari di guerra da studiare e gestire ricoprendo il ruolo delle varie parti in causa, cercando di spingere gli eventi in una o nell’altra direzione. Commando MANO offre grandi espansioni che sono abbastanza classiche, costano 19€ e assicurano mesi di gioco. E poi ci sono delle espansioni più piccole dette Command LIVE (“play history as it happens”) che sono la rappresentazione fantasiosa dello sviluppo di una tensione reale dei giorni nostri. A introdurre queste piccole espansioni che costano qualche euro ci sono dei video che mimano l’edizione speciale di un telegiornale. La Brexit? C’è. E la complicata situazione venezuelana? Da mesi gli utenti di Command MANO se ne stanno occupando. Ma c’è anche la tensione tra Russia e Crimea, ci sono le Isole Spratly, la Corea del Nord e molto altro.

La ragione per cui questo gioco è interessante, anche se non siete parte di quel milione circa di impallinati che lo usano regolarmente, sta nel fatto che i militari fino a qualche anno fa usavano un software avanzatissimo per sviluppare la strategie e studiare gli scenari per le esercitazioni: Microsoft PowerPoint. Per ragioni di sicurezza e per via della natura intrinsecamente lenta, vecchia e polverosa di tutte le forze armate, si usava un software che già in genere tende a espandersi a macchia d’olio in tutti i contesti aziendali. L’odio nei confronti di PowerPoint è un classico della relazione tra tecnici e dirigenti, tra giovani e vecchi di qualsiasi azienda minimamente strutturata. Tutto, anche quello che nessuno presenterà mai pubblicamente, viene richiesto nel formato di PowerPoint. L’idea di non leggere un testo, ma di scorrere rapidamente di slide in slide è forse troppo allettante. Non si capisce.

Fatto sta che in tutti i contesti che avevano bisogno di mappe e gestione di mezzi militari, identificazione di obiettivi eccetera, i militari andavano sereni coi i loro lucidi. Tutto finché qualcuno non si è accorto che tutta quella fatica era inutile, e ha contattato Matrix Games, acquisita da Slitherine nel 2010, per mettere alla prova Command MANO come software per imbastire simulazioni militari in contesto professionale. È nato così Command Professional Edition, filiazione del gioco commerciale ampliata per diventare, appunto, pro.

Come per ogni altra cosa che riguardi il mondo militare, anche per Command PE non abbiamo informazioni troppo dettagliate per ragioni di riservatezza, se non che è in uso presso diversi corpi e agenzie nazionali (US Navy, US Air Force, Luftwaffe) così come gruppi privati nel comparto bellico (Lockheed Martin e BAE Systems). Con ogni probabilità altri paesi e altri gruppi industriali, sempre con un allineamento geopolitico atlantico, lo adotteranno in futuro.

L’unico altro caso che si ricordi di videogiochi usati in contesti professionali è quello delle simulazioni sportive che alcuni piloti utilizzano per familiarizzare con le piste prima di affrontarle dal vero. Ma qui siamo a un altro livello. Questa è una rivincita dei nerd in senso letterale. Command è nato e si è sviluppato come gioco per appassionati, tenuto in vita e sviluppato da persone che fino a poco tempo fa non si erano nemmeno mai viste di persona, e utilizzato da un popolo di fissati incompresi. Oggi ha dato origine a una sua versione professionale che ci inquieta un po’, visto l’ambito di utilizzo. Ma se i militari devono esistere, è rassicurante sapere che non si esercitano più usando le maledette slide di PowerPoint.

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.