Camusso, Renzi e la storia dei poteri forti

Susanna Camusso, sostenendo come ha fatto nell’intervista rilasciata ieri a Roberto Mania di Repubblica, che Matteo Renzi siede a Palazzo Chigi perché sono stati Marchionne e chissà quali altri fantomatici poteri forti – espressione che in realtà usa l’intervistatore, non Camusso – a volerlo lì proprio non riesce a capirlo che fa un’affermazione che semplicemente non sta in piedi? Proprio non ce la fa ad andare oltre i soliti, usurati luoghi comuni? Oltre le deduzioni tanto più schematiche quanto più improbabili?

Partendo da un lancio d’agenzia del 2 ottobre scorso che riporta che l’amministratore delegato di Fiat-Chrisler avrebbe detto che «l’abbiamo messo lì per quella ragione», la leader della Cgil deduce che, non essendo stata smentita dal Presidente del Consiglio, questo spiegherebbe «l’attenzione del governo nei confronti dei grandi soggetti portatori di interessi particolari», e che inoltre il governo copierebbe «le proposte delle grandi imprese di Confindustria».

A parte il fatto che se c’è stata un’associazione di categoria che per prima ha cercato non solo di attaccare il governo ma anche, maldestramente, di provare a minarne la credibilità è stata Confindustria. Non bisogna dimenticare, infatti, cosa accadde a marzo, quando Renzi andò in Germania per incontrare il Cancelliere Merkel e se ne ritornò molto soddisfatto dell’esito dei colloqui. Non fece in tempo a definirli positivi e incoraggianti che il presidente di Confindustria Squinzi, anche lui tra gli invitati della delegazione di Berlino, ci tenne a puntualizzare: «Devo sfatare il clima idilliaco descritto per l’incontro di lunedì tra Merkel e Renzi. Io ero alla cena e lei è stata molto austera nei nostri confronti, non è che ci abbia accolto a baci e abbracci». Salvo poi fare rapidamente marcia indietro quando Renzi gli rispose piccato: «Beato Squinzi che quando va ai convegni ha tempo da perdere con polemiche inutili». Da allora è Squinzi che “insegue” Renzi, non il contrario.

Ma al di là di questa precisazione “storica”, se c’è una persona che finalmente sta mandando su tutte le furie i cosiddetti poteri forti è proprio Matteo Renzi. Per esempio: evitando di frequentarne i luoghi simbolo (Forum Ambrosetti a Cernobbio); stigmatizzando il capitalismo di relazione e i salotti buoni della finanza (dov’è così a suo agio, per dirne uno, Giovanni Bazoli, il potentissimo presidente da oltre trent’anni di quello che oggi è diventato il gruppo bancario Intesa-SanPaolo); andando a battere cassa, finalmente, anche presso le potentissime fondazioni bancarie, considerate da Tito Boeri e Luigi Guiso, uno dei due veri poteri forti italiani (l’altro sono le lobby delle concessioni autostradali). Ecco cosa infatti scrivevano i due economisti il 29 settembre su Repubblica:

«Una potente lobby che blocca il nostro Paese è rappresentata dalle fondazioni bancarie, vero e proprio cavallo di Troia della politica nel nostro sistema bancario e finanziario. Continuano a tenere sotto controllo le banche con quote importanti e nominando consiglieri di amministrazione: il 50% delle fondazioni ha quote superiori al 5% nelle banche conferitarie, il 31% detiene più di un quinto delle quote, il 15% addirittura più del 50%. Le due banche più grandi, Intesa-Sanpaolo e Unicredit, sono dominate dalle fondazioni. Ridurre l’ingerenza della politica nelle banche, impedire che si passi dalla politica alle banche per tornare alla politica come se si stesse salendo su un tram (è il caso di Sergio Chiamparino, prima sindaco di Torino e poi presidente delle Compagnia di Sanpaolo da cui si dimise per diventare governatore della regione Piemonte, ndr) o che un legislatore di fondazioni entri con disinvoltura in un consiglio (è il caso di Roberto Pinza, autore con Ciampi della legge di regolazione del settore D.lgs 153/99 e oggi presidente della Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì, ndr) è fondamentale».

Ebbene, con i provvedimenti annunciati nella legge di stabilità, il prelievo fiscale sulle fondazioni bancarie è stato stimato dovrebbe passare dai 170 milioni di euro del 2013 a 340 milioni nel 2014, e 360 milioni nel 2015. Il nervosismo che serpeggia all’Acri, l’associazione che raggruppa le fondazioni bancarie che in un comunicato, per voce del suo presidente Giuseppe Guzzetti (presidente anche della Fondazione Cariplo), ha manifestato tutto il suo disappunto per la misura (che, stando alle fondazioni, metterebbe in difficoltà il mondo del sociale), la dice lunga su quanto davvero Renzi abbia colto nel segno.
Per cui l’affermazione che Renzi possa sedere a Palazzo Chigi per via di chissà quale volontà di Marchionne o di famigerati poteri forti si qualifica per quello che è: un’affermazione palesemente infondata.

Italo Calvino a un certo punto del racconto La collana della regina, accenna a «uno di quei tipi che credono di avere un fondamento in cose e idee e invece non hanno altra ragione di vita che i mutevoli intricati rapporti umani con il prossimo. Messi di fronte alla vasta natura o al mondo sicuro degli oggetti o all’ordine delle cose pensate si smarriscono e riprendono fiducia solo quando possono fiutare le mosse di un possibile avversario o amico». Ieri, la sortita della Camusso contro Matteo Renzi, mi ha fatto pensare a uno di quei tipi.

Francesco Maggio

Economista e giornalista, già ricercatore a Nomisma e a lungo collaboratore de Il Sole24Ore, da molti anni si occupa dei rapporti tra etica, economia e società civile. Tra i suoi libri: I soldi buoni, Nonprofit (con G.P. Barbetta), Economia inceppata, La bella economia, Bluff economy. Email: f.maggio.fm@gmail.com