Cambia molto anche per il PD

Prima di valutare le conseguenze, stiamo per un momento alla notizia principale, quella che colpisce i media di tutto il mondo: Berlusconi stavolta lascia davvero. Salta per sempre un tappo, alla politica italiana e al destino del centrodestra. L’ombra del fondatore di Forza Italia si allungherà ancora sui suoi successori, ma dietro al comunicato di ieri sera si avverte una scelta personale profonda, l’ansia di liberarsi da una situazione soffocante e senza uscita.
Come nel 2007 col predellino, Berlusconi spiazza soprattutto i suoi: un conto è prevedere che il capo lasci, un conto è ciò che succede un’ora dopo che ha lasciato.

Come avvenne col varo del Pdl, si cerca di rincorrere il Pd su un terreno che i cittadini gradiscono. Funzionerà? Difficile. Per quanto i democratici stiano soffrendo sulle regole e sulla rivalità Bersani-Renzi, per il Pdl la materia è molto più ostica, misteriosa, pericolosa. Tutta da verificare la forza, l’autonomia dei candidati (Alfano in primis, l’unico citato nel comunicato), le dinamiche che si apriranno fra loro, la disponibilità di quell’elettorato a questa pratica di sovranità.

Il Pd però deve stare attento. Se il quadro politico si muove gli equilibri che lo vedono favorito possono cambiare. Appunto, nel 2008 andò così. Il pericolo che Casini possa proiettarsi nel campo del Pdl pare scongiurato, ma non dimentichiamo quei dieci milioni di elettori che tuttora non rispondono ai sondaggi: se torneranno a esprimersi, magari apprezzando le novità a destra, le percentuali cambieranno. L’esigenza per il Pd di aprirsi agli italiani con le primarie, e non chiudersi, vale oggi molto più di ieri.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.