Buon pop a tutti

In Italia è esploso il pop. O meglio, è esploso un modo di raccontare pubblicamente l’Italia e noi stessi che passa dal pop (qualsiasi cosa voglia dire “pop”). Confesso di aver dato anch’io un (minuscolo) contributo alla pop Italia. In pieno festeggiamento per i 150 anni dell’unità d’Italia, evitando i disfattismi di chi l’Italia proprio non la mandava giù e i sussulti patriottici di chi s’era appena desto, scrissi un pamphlet sul nostro paese il cui primo capitolo s’intitolava “Groucho, passami la pistola”. Complice anche l’irruzione del pop nella politica – che è in fondo la presa di coscienza dell’importanza di immagini, suoni, colori, linguaggi, miti, determinati dall’industria culturale e che fanno parte a pieno titolo della nostra vita individuale e collettiva – anche il decantatissimo passaggio generazionale assume necessariamente delle curvature pop e forse la generazione dei quarantenni è la prima a rispecchiarsici collettivamente senza dover giustificare il passaggio tra un alto e un basso della cultura. Non ci sono nè apocalittici nè integrati. Al traino di questo fenomeno e soprattutto delle sue implicazioni politiche – in principio era Civati (con Carzaniga), che rifletteva sull’Amore ai tempi di facebook, poi sono arrivate le Leopolde di Renzi che hanno dato al pop il ruolo politico che gli pertiene (e se la destra fosse in crisi perché non abbastanza pop? Non abbastanza in sintonia con una generazione che nata nella televisione l’ha politicamente disinnescata e neutralizzata?) – sono ora in libreria due libri molto leggeri, per così dire, che stanno però spopolando e che raccontano la svolta generazionale attraverso il nodo pop, da Sandokan alle cinture del Charro. Uno è quello di Andrea Scanzi, che ha un titolo paradossale, Non è tempo per noi, laddove è invece proprio il nostro tempo, e un sottotitolo Quarantenni: una generazione in panchina di cui non resta traccia nel libro, che è più che altro una lista di ricordi appunto pop di cui si fa fatica a trovare il costrutto. Una specie di Anima mia di Fazio, ma alla spicciolata, e con un piacere per la scrittura twittata che è difficile seguire per troppe pagine. L’altro è il libro di Aldo Cazzullo, Basta piangere!che segue la stessa dimensione amarcord, ma con un ottimismo un po’ candido e a volte un po’ moralista. Finisce con l’invito a non usare più l’espressione impersonale e distanziante “in questo paese…”, ma almeno “in questo nostro paese…”. Feci anni fa in questo post l’identica proposta e quindi sono molto d’accordo. Superpop e molto ben scritto è anche il libro sull’Italia di Claudio Giunta Sterminata domenica. Saggi sul paese che amo, in cui il presente è visto anche attraverso i riferimenti a un passato prossimo fatto di Fantozzi e Radio DJ. Del resto il pop, come autoriflessione, è pervasivo. Nessuno crede davvero alla polemica sul Fabio Volo scrittore – a quanto pare bravo – e la Lettura del Corriere della Sera parla (giustamente) dei broccoletti di Fabio Volo, mentre la Domenica del Sole 24 Ore fa addirittura esperimenti di twitsofia. Se Diogene fosse vivo, avrebbe certamente un account di twitter. D’altra parte anche la filosofia, disciplina concettuosa per eccellenza, per alcuni può essere anche pop. Da qualche tempo esiste in Italia un bel Festival di Popsophia. La direttrice, Lucrezia Ercoli, dirige anche una collana di critica popfilosofica. Dico la verità, io, umile medievista, non ho ancora del tutto capito come si definisca la popfilosofia, e il saggio di Umberto Curi, studioso serissimo, che apre la collana non mi ha convinto sul fatto che Platone fosse pop, ma in futuro mi farò trovare più pronto. Forse ha ragione Emanuele Coccia: il bene è nelle cose. Lo spiega in un libretto da pochissimo uscito in Francia e che appena uscirà in Italia sarà criticatissimo, perché per una volta tratta delle cose e della merce senza considerarle dal punto di vista marxista dello sfruttamento e della produzione, ma solo da quello della fruizione e di come arricchiscano la nostra esperienza. Insomma c’è di che riflettere, ma anche da vivere, da guardare, da ascoltare, da parlare, da cercare di capire un mondo che cambia sempre, che svolta sempre. Buon pop a tutti.

Gianluca Briguglia

Gianluca Briguglia è professore di Storia delle dottrine politiche all'Università di Venezia Ca' Foscari. È stato direttore della Facoltà di Filosofia dell'Università di Strasburgo, dove ha insegnato Filosofia medievale e ha fatto ricerca e ha insegnato all'Università e all'Accademia delle Scienze di Vienna, all'EHESS di Parigi, alla LMU di Monaco. Il suo ultimo libro: Il pensiero politico medievale.