Bersani e Renzi, uniti dalle primarie

Nel gruppo dirigente nazionale del Pd si alzano barricate contro le primarie fra Bersani, Renzi, Vendola e Tabacci. Si muovono obiezioni di forma e di sostanza. Una sopra di tutte: che se dovesse passare una riforma elettorale dell’unico tipo apparentemente possibile (il famoso proporzionale col premio di maggioranza al partito), le primarie di coalizione non avrebbero senso e anche quelle di partito sarebbero largamente superflue.
Non è un argomento campato per aria, a patto che chi lo propone sia conseguente. Perché la vittima principale di questo scenario non sarebbe Matteo Renzi, bensì il segretario Bersani.

La polemica infatti svela l’insidia di quel sistema per il Pd, e smonta l’intera l’impostazione democratica per cui il bagno elettorale dovrebbe consacrare il diritto del partito a tornare in prima persona al governo del paese. Con quella proporzionale infatti niente primarie, ma anche nessun automatismo (neppure politico) fra leader del partito di maggioranza relativa e incarico per la formazione del governo. È però evidente che l’investitura popolare da parte dell’intero centrosinistra darebbe al vincitore una priorità assoluta rispetto a qualsiasi concorrente per la guida della coalizione di governo da formare dopo le elezioni.
Io sono convinto che Bersani, giustamente e orgogliosamente candidato, contempli serenamente la possibilità che, dovendo fare alleanze post-voto, il prossimo premier possa essere un altro. Ma qui subentra un punto politico interno alla maggioranza bersaniana.

Infatti oltre a Renzi sembra essere proprio il segretario l’unico vero affezionato all’idea di contarsi fra il popolo di centrosinistra. Perché? Forse per lo stesso motivo, rovesciato, per cui il suo gruppo dirigente eviterebbe volentieri la conta: per il grosso rimescolamento interno, con annesso ricambio, che farebbe seguito a una vittoria di Bersani affiancata da un buon risultato di Renzi.
Per indole personale, per convinzione politica e per opportunità in un momento di generale richiesta di rottamazione, Bersani vuole cambiare facce, coi suoi tempi e i suoi modi che certo sono diversi da quelli di Renzi per non dire di Grillo. E allora queste primarie un po’ improprie e un po’ rischiose servono al vertice dell’establishment democratico, per provare a essere un po’ meno establishment.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.