Apple e Samsung perdono sull’equo compenso, e noi paghiamo

Ogni volta che compriamo un qualsiasi dispositivo capace di contenere musica o video paghiamo una maggiorazione di prezzo per indennizzare i titolari dei diritti d’autore del mancato versamento dell’equo compenso per le copie private.
Il 2 marzo il Tar del Lazio ha deciso che tale balzello è una “prestazione patrimoniale imposta” (dunque una specie di tassa) assolutamente legittima.

Non è roba da pochi euro: per un iPod shuffle da 2 Gb la Apple è tenuta a versare 5,15 €; per un IPod Classic da 160 Gb, 16,10 €. Ovviamente a pagare siamo tutti noi che subiamo l’aumento dei prezzi.
Introdotto in Italia sin dagli anni ’90 per i supporti registrabili (per i produttori discografici già le mitiche audiocassette rappresentavano una calamità tecnologica che avrebbe distrutto il mercato musicale mondiale) il prelievo per l’equo compenso fu esteso poi agli apparecchi atti a registrare. Oggi che di fatto i supporti son spariti e tutto circola sulle reti duplicandosi in continuazione, paghiamo compensi per presunti diritti d’autore su tutti i nostri dispositivi elettronici, anche se non dovessimo duplicare una sola opera protetta. E paghiamo non solo sulle apparecchiature destinate alla registrazione (o meglio all’archiviazione), ma anche sui dispositivi digitali destinati alla sola riproduzione (che tecnicamente duplicano) e quelli “polifunzionali”: i decoder, le consolle di videogiochi, e ovviamente anche sui telefonini, i tablet e potenzialmente sulle nuove Smart TV dotate di memoria interna.

A ricorrer al tribunale amministrativo competente erano stati nel 2010 diversi produttori e distributori di devices, tra cui Apple e Samsung, chiedendo l’annullamento del decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 30 dicembre 2009 che stabiliva modalità e tariffe.

Al di là delle argomentazioni tecniche esposte dai ricorrenti (tutte respinte), l’equo compenso incassato con il prelievo forzoso sulla vendita di tutti i dispositivi tecnologici atti all’archiviazione mi è sempre parso uno dei sintomi inequivocabili dell’inaccettabile sbilanciamento della legge sul diritto d’autore a favore della voracità dei titolari dei diritti connessi.

E’ infatti necessario aver ben chiaro che l’imposizione di cui stiamo parlando è un indennizzo che non ha nulla a che fare con la pirateria ed i danni da questa derivanti.

Il “compenso” infatti non è previsto per il download illegale o per la duplicazione abusiva -per questi casi i titolari vorrebbero la galera, non una semplice tassa- ma è previsto per la c.d. copia privata, ovvero la facoltà legalmente riconosciuta a chi legittimamente possiede un esemplare dell’opera di duplicarla per la propria esclusiva fruizione personale e senza alcun fine commerciale.
Per questa minimale limitazione alla loro “proprietà esclusiva” è previsto un compenso per autori e produttori .
Ovviamente nessuno lo paga scientemente.
Per la verità non viene neppure in mente di doverlo pagare.
Se compro un DVD, perchè dovrei pagare di nuovo per vederlo sul mio portatile in montagna trasferendolo sull’hard disk? Del pari, se compro un CD, non ho dubbi sul fatto di poterlo trasferire sull’iPod o sul P.C. Eppure dobbiamo pagare anche per quello.
Per gli acquisti in download l’eccezione della copia privata non è proprio prevista, quindi non sarebbe previsto neppure il compenso, ma il prelievo è presuntivo e lo paghiamo comprando qualsiasi dispositivo, anche se sono 10 anni che non compriamo un supporto fisico.
Per la verità nel download legale, almeno per l’audiovisivo, va già bene se il film ti è consentito vederlo sui dispositivi autorizzati, figurarsi a copiarlo.

Se il balzello fosse legato al file sharing, la previsione di un equo compenso pagato dall’intera collettività potrebbe esser diversamente valutato, e magari con qualche aggiustamento a favore degli autori e la contestuale rinuncia all’insensata battaglia contro la condivisione in rete potrebbe esser una buona via di mediazione tra utenti e titolari.
Ma il meccanismo di indennizzo oggi è legato alla legittima copia privata, che più che un’eccezione al copyright o una libera utilizzazione, è una modalità necessaria ed inevitabile nella fruizione dei contenuti digitali. Se ho pagato per poter fruire di quel contenuto, perchè dovrei pagare di nuovo, ed anzi costringer tutti a pagare, se lo uso su diversi dispositivi?

L’attuale sistema a tutela del diritto d’autore è davvero insostenibile con il nostro tempo.

Da un lato la copia privata viene astrattamente consentita come libera utilizzazione o eccezione, ma dall’altro la stessa legge non solo autorizza e tutela i dispositivi atti ad impedirla -i ben noti DRM la cui forzatura è sanzionata penalmente con la galera- ma prevedendo un compenso che di fatto è inesigibile dal singolo, crea una tassa generalizzata. Il tutto per consentire quella che oggi, nel mondo digitale, è una usuale modalità di fruizione, priva di danno per i produttori.

Quale mancato sfruttamento dovrei indennizare in relazione alla o alle copie private che inevitabilmente eseguo utilizando più dispositivi? Nessuno si è mai sognato, neppure in epoca pre-digitale, di comprare tanti supporti quanti sono gli apparecchi di riproduzione che possiede. Mica che una volta se avevo due giradischi mi compravo due vinili. Dov’è la perdita per i produttori se, comprato legittimamente un esemplare dell’opera, lo sento (a fini personali e senza fini commerciali) su più dispositivi creando copie private?

Sebbene non sia agevole accedere ai bilanci della SIAE che è l’ente deputato alla raccolta dei proventi della tassa da copia privata -in nome della trasparenza i bilanci sono accessibili sul sito solo agli associati- nel 2010 (primo anno di vigenza delle nuove regole dettate dall’allora ministro Bondi e impugnate al Tar) gli incassi dovrebbero aver superato abbondantemente i 50 milioni di euro.

Ovviamente dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, chiamato a giudicare solo della legittimità di un Decreto Ministeriale attuativo di tariffe e modalità, non ci si poteva attendere la revisione critica dell’intero impianto normativo della Legge sul Diritto d’Autore.
Leggere però nelle sentenze che l’indiscriminato prelievo forzato “deve essere considerato conforme al «giusto equilibrio» da realizzare tra gli interessi degli autori e quelli degli utenti degli oggetti protetti” perchè bisogna compensare i titolari dei diritti dai danni loro cagionati dalla rivoluzione digitale è davvero inaccettabile.

Con le stesse motivazioni mi aspetto un equo compenso per il riascolto, per la messa in pausa, per il repeat…

Se è legittima l’istituzione di un prelievo forzoso generalizzato che frutta decine di milioni di euro per il solo equo indennizzo da copia privata sui soli supporti fisici, sarà dura trovare un accordo sulla condivisione in rete. Se tanto mi da tanto, non oso immaginare il costo di un’ipotetica licenza collettiva sulla condivisione.

Carlo Blengino

Avvocato penalista, affronta nelle aule giudiziarie il diritto delle nuove tecnologie, le questioni di copyright e di data protection. È fellow del NEXA Center for Internet & Society del Politecnico di Torino. @CBlengio su Twitter