Andare a Omaha, una volta nella vita

Ieri sera ho rivisto a distanza di tempo “A proposito di Schmidt” il film di con Jack Nicholson nella parte di un gretto assicuratore che cerca un modesto riscatto dopo lo choc del pensionamento e della vedovanza, riuscendoci un po’, ma neppure troppo.

Un buon film, dominato da Nicholson che imperversa ma è anche fenomenale nella sua interpretazione – nel fare l’americano sistematico, ottuso, ma nel cuore del quale a un certo punto eccetera eccetera. Voglio fare una congiunzione: il film, che è altamente depressivo, e vuole esserlo, con un certo gusto sadico nel crogiolarsi in alcuni squallori americani, è ambientato in una piovosa e grigia Omaha, la principale città del Nebraska, fotografata come una gabbia urbana di Upton Sinclair. E mi è venuto in mente che un altro, più recente film sulla depressione americana, è ambientato a Omaha, Nebraska – quell’“Up In The Air” con George Clooney che fa il tagliatore di teste aziendale, e vive nelle lobby degli aeroporti, salvo avere il più spoglio degli appartamenti appunto a Omaha, a sua volta fotografato nel modo più sconfortante possibile. Ne ho dedotto, a tentoni, che adesso, nelle figure simboliche americane, Omaha è sinonimo di solitudine e depressione, che è stata scelta come luogo d’elezione dello sbaglio americano. Del resto la città, come molte città di provincia, ha una sua specialità, ovvero raduna le attività di un particolare comparto (ricordate Boulder, Colorado, da dove arrivava qualsiasi rivista americana a cui ci si abbonava?) e il comparto di Omaha sono le assicurazioni. Mica c’è tanto da ridere.

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Stefano Pistolini

Stefano Pistolini fa il giornalista e lo scrittore ed è autore radiotelevisivo. Collabora con Il Foglio.