Amazon e le serie tv

Brad Stone nel suo libro su Amazon (Vendere tutto: Jeff Bezos e l’era di Amazon) racconta che Jeff Bezos, come Steve Jobs, Bill Clinton, Barack Obama non è cresciuto con il suo padre biologico. Stone non ci ricama su una teoria per cui i leaders carismatici crescerebbero meglio così, più determinati, ma butta lì gli esempi. Bezos è quel signore che si è inventato Amazon, il negozio online che punta a coprire tutti i nostri bisogni di consumatori, anche quelli che proprio bisogni primari non sono.

L’avventura è cominciata nel solito garage, nel 1994. Bezos veniva da Wall Street e ha creduto oltre ogni ragionevole aspettativa nello sviluppo di Internet. È partito dai libri perché era la merce più semplice da stoccare e spedire e perché aveva capito che c’era un vuoto nella vendita e distribuzione. Sapeva che i libri non erano la merce più attraente da offrire, soprattutto per uno come lui che legge quasi esclusivamente fantascienza (va pazzo per Star Trek). Ma da qualche parte si doveva cominciare per arrivare al supermarket globale del discount. Bezos si è caricato di debiti, ha rischiato di saltare più volte ma ha trovato finanziatori fuori di testa e/o visionari come lui. Stone racconta che fu salvato dal boom di Harry Potter, che riuscì a consegnare a tonnellate, scontato, in un paio di giorni o poco più.

Dal 2008-2009 il modello di business ha cominciato a funzionare. E così siamo arrivati all’espansione internazionale: ai 215 milioni di clienti e alla crescita geometrica delle trimestrali, alla vendita di cibo, di arte, di tutto. Intanto Bezos, con soldi suoi non di Amazon, si è finanziato una corsa nello spazio e il – più terra terra – vecchio Washington Post. Poteva mancare la televisione in questa visione?
Qua la sfida appare complicata, perché a spostare la visione fuori dall’elettrodomestico ci ha già pensato Netflix. Che ha subito detto un anno fa (nelle parole del suo CEO Reed Hastings) che il costo di un magazzino delle serie tv da acquistare e offrire in streaming avrebbe procurato ad Amazon una perdita di un miliardo di dollari all’anno. Hastings sa bene cosa significa entrare in questo mercato perché ha speso 2.1 miliardi di dollari in un anno in licenze. Ma Bezos ha in mente un progetto che lega insieme tutto, nel negozio che vende tutto. Acquistando con 79 dollari l’abbonamento ad Amazon Prime si ha diritto ad avere in due giorni a casa gratis tutte le merci del negozio onnicomprensivo (e si vedono le serie tv). Lo scopo è vendere il carrello su cui si appoggia la tv e lo stesso elettrodomestico (o il computer). Sinergia totale perché il negozio è l’unico negozio che avrai e che farà chiudere tutti gli altri (naturalmente nel Bezos-pensiero). La settimana scorsa ha chiuso un accordo per distribuire film indipendenti che di solito si trovano su Netflix (come Bling Ring e Spring Breakers). Siamo allo scontro aperto.

Non ci sono cifre ufficiali ma un anno fa il vantaggio di Netflix appariva insormontabile (il 33 per cento contro l’1,8 per cento di Amazon). Amazon Prime potrebbe essere arrivata a un terzo di Netflix. Questo accadeva prima che tutti e due cominciassero a realizzare produzioni originali. E che Netflix arrivasse alla serata degli Emmys con la serie House of Cards tra le nominations, accanto a HBO, NBC, AMC e i grandi canali televisivi. Da questo mese è arrivata anche Amazon, dopo avere messo ai voti sulla sua piattaforma i pilots degli shows da produrre. Tanta roba in cantiere, shows per bambini e uno per grandi di Chris Carter, il creatore di XFiles. Intanto ora sono fuori i primi tre episodi di Alpha House e Betas, le prime serie di Amazon. Le ho viste.

Alpha House (quattro senatori repubblicani in trasferta che vivono nella stessa casa a Washington) è più generalista. Betas (cinque giovani di Silicon Valley a caccia del social network che li farà ricchi) è per un pubblico più circoscritto, con la speranza che possa diventare un fenomeno mediatico (come Girls). Infatti Amazon ha comprato una doppia pagina per pubblicizzare Betas sul New York Times, come accade solo per i grandi eventi televisivi.
Alpha House è piena di stereotipi ma ha momenti alla Mash, da sitcom riuscita. Betas è pure costruita con caratteri e situazioni di maniera ma i dialoghi sono meno datati («avere 35 anni nella Silicon Valley è come averne 95 fuori», dice uno dei protagonisti). C’è la realtà, la contemporaneità restituita da una “single camera”, come si usa nei documentari. Ogni episodio dura 27 minuti e ha un budget da 1 a 2 milioni di dollari.

La televisione si fa sempre più liquida. Cresce fuori dall’elettrodomestico al centro del salotto ma anche fuori dal secondo schermo, il computer. Circola nei tablets e negli smartphones che si sono fatti più grandi per ospitarla. Oggetti che, si dice, Amazon produrrà presto. Amazon non può rimanere fuori da quella che è la madre di tutti i contenuti. Aspettiamoci che un giorno da Seattle, la casa di Amazon, arrivino anche le news. Nel frattempo il negozio totale ha aperto anche la vetrina delle fiction. Ma a differenza di Netflix, che ha costruito la sua fortuna offrendo le serie tutte insieme, Amazon dopo i primi tre episodi regalati ne programmerà uno alla settimana, come fa appunto la tv vecchio stile.

Garry Trudeau, il creatore della striscia comica Doonesbury e ora di Alpha House, ha ammesso di essere stato in dubbio se affidare alla rete il suo lavoro perché c’era il rischio, secondo lui, dell’invisibilità. Ora che New York è invasa dai cartelloni delle due serie di Amazon probabilmente pensa che quello che fa Mr. Jeff Bezos è tutto tranne che invisibile. Bezos è partito da alfa e beta. C’e un alfabeto da declinare.

Andrea Salvadore

Vive a New York e fa il regista. Ha un blog, Americana Tv