Altre 10 cose sul caso Sallusti

Quando una campagna tipo «Sallusti libero» mette d’accordo praticamente tutti (destra e sinistra, da Libero a Ingroia, dal Giornale a Di Pietro) vien voglia di rimettere qualche puntino sulle i e di sforzare la memoria prima di rincoglionire del tutto.

Allora:

1) Non è vero che il caso Sallusti accomuna tutti i giornalisti nello stesso modo: il cosiddetto «omesso controllo» riguarda solo i direttori della carta stampata ed esclude i direttori delle testate online e delle testate televisive.

2) Non è vero che siano finiti in galera per diffamazione solo Giovanni Guareschi e Lino Jannuzzi. A parte che Jannuzzi finì solo ai domiciliari (prima di essere graziato) finirono dentro altri colleghi tra i quali ricordiamo solo Stefano Surace (che finì dentro a 70 anni per una diffamazione di trent’anni prima: Libero ci fece una campagna) e poi Guanluigi Guarino (direttore del Giornale di Caserta) per non parlare dei casi di Vincenzo Sparagna e Calogero Venezia del periodico Il Male.

3) Non è vero che Sallusti mercoledì potrebbe finire in carcere: in caso di conferma della condanna, essendo la sua pena inferiore ai 3 anni e non essendo quindi immediatamente esecutiva, occorrerebbe attendere che la Cassazione notifichi la sua decisione alla Procura di Milano (e già qui passa del tempo) e poi che la Procura faccia eguale notifica ai legali di Sallusti (altro tempo che passa) sinché da quel momento, cioè dalla ricezione, gli avvocati avrebbero altri 30 giorni di tempo per proporre delle pene alternative come per esempio il classico l’affidamento ai servizi sociali. La semi-libertà no, perché la pena supera i sei mesi. Insomma, tempo per fare qualcosa ce n’è.

4) Non è vero che i giudici si sono limitati ad applicare la legge. Il tribunale può giostrarsi tra sospensione della pena e riconoscimento delle attenuanti generiche, e, anche se la pena non fosse sospesa, possono decidere se infliggere il carcere in totale discrezionalità: in genere infatti si limitano a una pena pecuniaria. Così non è stato.

5) Non è vero, purtroppo, che le cause intentate dai magistrati corrano in corsia di sorpasso impunemente: l’hanno addirittura codificato e previsto da una circolare del CSM (la n. 5245 dell’11 giugno 1981) che teorizza «la trattazione più sollecita» dei procedimenti riguardanti i magistrati. Chi l’ha deciso? I magistrati.

6) Non è vero, o pare strano, che i legali del giudice diffamato, ora, dicano che ingabbiare Sallusti non gli interessa e che a fronte di un «equo risarcimento» ritirerebbero la querela: la sentenza della Corte d’Appello ha già previsto multe e quantificazione del danno (5000 Sallusti, 4000 Montinone, altri 30mila generici) e quindi non è chiaro perché la querela non la ritirino subito, visto che il pagamento è obbligato. Se ingabbiare Sallusti non fosse stato tra gli obiettivi, dunque, non è chiaro perché non sia siano limitati ad un’azione civile (che puntasse solo ai soldi) e perché il pm che rappresenta l’accusa, soprattutto, abbia formulato Appello e dunque richiesto che carcere fosse.

7) È vero che molti giornalisti e molti giornali, ormai, tendono a considerare le cause per querela come un costo ordinario da mettere a bilancio: i tempi e i costi della giustizia portano a transigere (si paga una cifra e buonanotte) e si rinuncia a far valere le proprie ragioni. Qui le colpe sono da ripartire tra la lentezza della giustizia e una certa pigrizia di qualche avvocato e giornalista, non c’è dubbio.

8) È vero che la situazione di Sallusti è stata peggiorata da recenti decisioni dei governi di centrodestra: anche se è vero che tutti i governi, negli ultimi lustri, se ne sono fottuti. Per diffamazione semplice non si può finire in carcere, ma per quella «a mezzo stampa» sì in quanto è quasi sempre «aggravata» dall’attribuzione di un fatto determinato. Dalla famigerata «ex Cirielli» del 2005 in poi, peraltro, è impedito ai recidivi (come Sallusti, colpevole di altri «omessi controlli») di ottenere la sospensione del carcere per le pene che non superino i tre anni; non bastasse, sono state introdotte delle restrizioni nell’accedere alle pene alternative per chi abbia dei precedenti come i citati «omessi controlli». Nel caso di Sallusti, tuttavia, va detto che di precedenti che prevedano la carcerazione non ce ne sono: il direttore ha solo delle condanne indultate o trasformate in pena pecuniaria, nessuna delle quali per articoli scritti da lui.

9) È vero che la solidarietà tra penne d’ogni bandiera è una buona cosa, ma certi toni di sufficienza fanno prudere la penna. Il Giornale – direttore Maurizio Belpietro – nell’estate 1998 pubblicò la prima inchiesta in assoluto sul tema della diffamazione a mezzo stampa: 9 puntate, 60.277 battute a cura dello scrivente. Seguirono pochi servizi di Panorama e del Foglio mentre la FNSI, sollecitata, fece solo sapere che «Abbiamo chiesto agli editori l’istituzione di un fondo per coprire le spese legali». Traduzione: per risolvere il problema delle querele, basta pagare; come a dire che per risolvere il problema della malagiustizia basta andare in galera. Fu il Giornale a pubblicare regolarmente i monitoraggi del professor Vincenzo Zeno-Zencovich (anche qui, silenzio) e furono giornalisti di centrodestra o comunque non di sinistra (Roberto Martinelli, Alessandro Caprettini) a promuovere incontri e convegni. Di una fantomatica proposta di legge annunciata da Luciano Violante non si seppe più nulla, di un’altra presentata dal senatore radicale Pietro Milio, pure ispirata dalle inchieste del Giornale, pure nulla. Analogo destino ebbe una proposta del senatore Marcello Pera di Forza Italia. Tutto questo sempre nel silenzio: tranne un paio di casi (forse uno solo, nel 2009) in cui il condannato era di sinistra e allora c’è stato un po’ di baccano.

10) È vero che Di Pietro ora fa il buono e invoca un decreto per salvare Sallusti. Ma andrebbe ricordato che un suo progetto di legge prevedeva il «decreto cautelare di rettifica» oltreché la rilettura obbligatoria dei virgolettati agli intervistati, nonché – inevitabile – un inasprimento delle pene per il reato di diffamazione: alle testate che di tale diffamazione si macchiassero, a suo dire, doveva appunto essere imposta un’esponenziale sospensione delle pubblicazioni: più diffamazioni ergo più sospensioni, ogni volta più prolungate. Se per salvare Sallusti finiamo nelle mani del molisano, uh, siamo a posto.

Filippo Facci

Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera