Aerotropolis – Parte II

L’aeroporto, punto di partenza e destinazione dei viaggi, a volte luogo di attesa dilatata, quasi infinita. Moderna rappresentazione dell’evoluzione umana: la nostra specie si adatta a volare solo grazie a gigantesche piste di cemento e a palazzi di acciaio e vetro che sorgono nelle campagne, lontani dalle città in cui tutti noi abitiamo. Oppure no? Aerotropolis è la nuova città del futuro. Continuiamo a scoprirlo dopo aver guardato, nella prima parte, gli aeroporti del lontano passato.

Spesso si dice che i grandi aeroporti siano come delle piccole città. Dentro hanno tutto: hotel, ristoranti, negozi, uffici, centri direzionali e sale convegni, addirittura musei e strutture ambulatoriali, persino ospedaliere, magari asili, forse scuole, di certo strutture per il divertimento. E ancora Spa, saune, istituti di bellezza. E poi banche, uffici postali, bar, librerie e chi più ne ha più ne metta. C’è di tutto. Ma è un eufemismo definire gli aeroporti solo delle “piccole città”. Perché queste strutture sono diventate nei decenni sempre più complesse. Dai tempi in cui ci si sollevava in volo al Campo di Marte, all’epoca la prima periferia a sud di Firenze (oggi ci sono lo stadio e le altre strutture sportive pubbliche della città), ne è passata di acqua sotto i ponti.

Niente in Europa può rendere meglio la visione del futuro di Stanley Kubrick aggiornata al presente dall'architetto Paul Andreu. La storia buffa del T2E, uno dei sei edifici che fanno il sistema del terminal 2 di CDG, è legata al crollo della struttura nel 2004, poco dopo l'inaugurazione, e la sua rapida rimessa a nuovo con riapertura nel 2008. (Foto: duncan)

Nella precedente puntata avevamo visto che le grandi città, le metropoli europee che si sono espanse nel corso dei secoli, hanno sviluppato attorno a loro addirittura un sistema di aeroporti. Vediamo meglio. È il caso di Parigi, ad esempio, che accanto a Roissy (meglio conosciuto come Charles de Gaulle [CDG])  ha visto nascere nel tempo anche Le Bourget (LBG), Orly (ORY) e il “lontano” Beauvais-Tillé (BVG), più una pletora di aeroporti minori. Anzi, l’ordine temporale è completamente diverso: Orly (16 chilometri a sud della città) dal 1932 era stato a lungo l’aeroporto principale di Parigi. Aveva perso questo ruolo con l’inaugurazione di Charles de Gaulle (25 chilometri a nord-est) l’8 marzo del 1974. Ancora più vecchio dei due comunque era Le Bourget (11 chilometri a nord-est di Parigi), che ha iniziato a funzionare nel 1919 e che oggi è il più importante aeroporto per l’aviazione privata (quella con i business-jet) nonché sede di uno dei più importanti air-show del mondo. Con il tempo, insomma, l’aeroporto di Parigi si è allontanato dalla città: 11, 16 e poi 25 chilometri.

Il sistema si è poi arricchito di un nuovo “finto” aeroporto parigino, vale a dire Beauvais-Tillé, che è addirittura 85 chilometri a nord di Parigi (dicono che ci vogliono 70 minuti di pullman per arrivare da Parigi, se non c’è traffico), cresciuto a importanza europea per volontà della singola Ryanair. La low-cost irlandese (oggi volano su BVG anche Wizz Air e Blue Air) ha messo in pratica qui uno dei suoi trucchi più famosi: ha cambiato nome all’aeroporto aggiungendo la parolina magica “Paris”. Sono infatti le compagnie aeree ad avere diritto di voto nell’assegnazione dei nomi degli aeroporti, e Ryanair ha colonizzato una decina di anni fa questo aeroporto minore promettendo milioni di passeggeri (in effetti oggi sono più di tre milioni l’anno) e ottenendo in cambio di scegliere un nome esotico, “Aéroport de Paris Beauvais-Tillé”, per dare la sensazione ai turisti-fai-da-te di tutta Europa che si sarebbe potuti andare nella Ville Lumière con 19 euro e 99 centesimi. Peccato che l’aeroporto non sia neanche nell’Île-de-France, ma nella (peraltro splendida) regione limitrofa della Piccardia. Però la gente ci vola e dagli anni novanta il sistema degli aeroporti parigini ha un centro in più.

A Londra il gioco cambia. La città dove risiede la Regina ha il sistema più ricco e complesso in Europa: la sua posizione geografica e il suo ruolo di capitale del vecchio impero britannico hanno permesso sia lo sviluppo del volo che la creazione di un ricco sistema di aeroporti. Ci sono infatti Heathrow (LHR, 22 chilometri a ovest di Londra), Luton (LTN, 56 chilometri a nord di Londra, vicino però alla M1), Stansted (STN, 48 chilometri a nord-est di Londra) Gatwick (LGW, 46 chilometri a sud di Londra), Southend (SEN, 65 chilometri a est di Londra), il London City Airport (LCY, 11 chilometri a est del punto centrale di Londra) e le vestigia del vecchissimo Croydon Airport (solo nomenclatura ICAO: EGCR).

È più fiume o più aeroporto? In un'ansa del Tamigi, dove un tempo stavano i docks, dal 1988 si è annidato un piccolo aeroporto cittadino. Regolamenti e limitazioni tecniche impongono prove di bravura ai piloti che ogni giorno atterrano e decollano dal London City Airport, ma anche solo l'avvicinamento per i passeggeri è un'opera d'arte. (Foto: pencef)

Gli aeroporti di Londra sono nati a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale, con la notabile eccezione del London City, che è stato sviluppato negli anni Ottanta e ha una posizione molto singolare. È infatti incassato in un’ansa del Tamigi, nella zona dei dock, è operativo dal 1988 e consente di volare in tutta Europa con aerei di piccola taglia (ATR 42, DHC Dash 8, BAe 146, Dornier 328, vari Embraer, i vecchi Fokker 50 e persino gli Airbus A318) che seguono particolari modifiche alle procedure di atterraggio e decollo e danno patentini specifici per i piloti che devono gestire le operazioni. Non c’è solo la pista, lunga appena 1.500 metri, ma anche la vicinanza con la città e le relative normative di sicurezza e anti-inquinamento acustico a determinare atterraggi e decolli peculiari, che ricordano lo stile dei raid aerei di guerra. Mi è capitato un paio di volte di atterrare e decollare da questo “city airport” con una bella soddisfazione, perché si plana sulla città e ci si butta giù a falco sulla pista con un salto degno di un circuito delle montagne russe. L’importante è che il tuo vicino di poltrona non sia un tipo loquace che vuole spiegarti cose inutili proprio in quel momento. Pare brutto zittirlo dicendogli che vuoi vedere l’atterraggio, anche perché si fa la figura di chi ha paura di volare, anziché di quello che il volo se lo vorrebbe gustare appieno. Purtroppo il mondo ad alta quota è pieno di loquaci viaggiatori che pensano di essere più disinvolti se parlano in momenti in cui un po’ di raccoglimento è più appropriato. Vagliare il mondo circostante, apprezzare il cambiamento repentino di prospettiva mano a mano che il velivolo cambia attitudine e velocità, distinguere con chiarezza particolari del suolo altrimenti inediti mentre si sente la struttura divenire portante e tutt’uno con il nostro corpo grazie all’effetto della gravità, è qualcosa che preferisco sempre gustare appieno anziché sprecarlo in chiacchiere con un vicino logorroico e probabilmente pure spaventato.

In ogni caso, il più iconico tra i “vecchissimi” aeroporti di Londra è l’oramai defunto Croydon, nato nel 1915 come Beddington Aerodome. All’epoca attorno alla città c’era un buon numero di piste d’aviazione e a Beddington si contrappose subito la pista di Waddon, sorta neanche due chilometri più in là. Le due piste si “fusero” nel 1920 e divennero l’aeroporto di Croydon. Fu uno dei centri della storia dell’aviazione mondiale dell’epoca, uno dei tre grandi d’Europa prima della seconda guerra mondiale. Qui, per dire, prese lezioni di volo anche un giovanissimo Winston Churchill (che rischiò pure di ammazzarsi in uno sfortunato decollo che avrebbe potuto cambiare il corso della storia) e da qui si volava verso Parigi, verso Berlino e per le lunghe traversate verso l’India e addirittura l’Australia. Oggi l’aerea è stata inglobata del tutto dentro Londra, le piste divelte e trasformate in case, uffici e condomini, ma anche in una piacevole riserva naturalistica (cioè un grande campo con boschetti, parte della cintura verde di Londra).

Rimangono visibili solo in parte le palazzine del terminal e della torre di controllo, con un rudere anni cinquanta di De Havilland (un Heron) esposto nel prospiciente parcheggio, che fa da richiamo a un piccolo museo di cose mi dicono interessanti da vedere. Anche questo fa parte delle cose che mi sono segnato di andare a visitare, un giorno, se mai mi avanzerà del tempo mentre sono a Londra. Anche perché, a voler esplorare dove sono finiti i vecchi campi d’aviazione nati a cavallo tra le guerre e poi inglobati dalle grandi città europee, ci sarebbe da scrivere un altro libro e neanche breve e da ridisegnare le cartine di molte città.

Cambiamo parte d’Europa. Se possibile la storia del sistema degli aeroporti di Berlino è, invece, ancora più incredibile di quella di Londra: la città, un tempo cuore del nazismo di Hitler, dopo la guerra era stata divisa con la conferenza di Postdam in quattro zone assegnate agli stati Alleati contro la Germania: americani, britannici, francesi e sovietici. La città, poi, era stata inglobata nella DDR, la Repubblica popolare tedesca, cioè la metà comunista della Germania, fino al crollo del muro di Berlino nel 1989 e alla conseguente riunificazione del 3 ottobre 1990. Quindi all’epoca la zona francese, britannica e americana erano in realtà “affogate” dentro la Germania dell’Est. Quando dal giugno del 1948 al maggio del 1949 vennero bloccate tutte le vie di accesso stradali e ferroviarie a Berlino con la costruzione nottetempo del famoso muro, quello grazie al quale il governo della Ostdeutschland sperò di far andare via gli occidentali da Berlino Ovest per riunirla con la DDR, fu un ponte aereo quello che permise al blocco occidentale di mantenere “viva” la parte non comunista della città e consentirle di sopravvivere sino al termine della Guerra fredda e alla successiva fine del comunismo.

Era un aeroporto pazzesco. A partire dalla forma non convenzionale del terminal, una specie di gigantesca stazione termini, squadrato verso la città e che avvolgeva con un titanico apron la pista. Certe cose non le vedremo mai più...

Tuttavia Berlino, prima di Hitler e poi delle vicende tra comunisti e capitalisti, aveva alle sue spalle già una lunghissima tradizione di volo, paragonabile a quella di Parigi e Londra. E dove c’è storia del volo, c’è ovviamente tanta terra spianata e compattata per far volare le pericolose macchine dei famosi temerari. Al cuore di Berlino, ci sono le strutture di Tegel (TXL, dentro la città, chiuderà nel 2012) e Schönefeld (SFX, 18 chilometri a sud-est di Berlino) che a breve diventerà l’aeroporto di Berlino-Brandenburgo (cambiando sigla in BER). Schönefeld era il più piccolo aeroporto di Berlino e l’unico della parte “comunista” della città, cioè il più grande della DDR. Visto che è fuori dai confini della città è quello che può essere fatto crescere di più. È stato invece “spento” nel 2008 un aeroporto storico e molto particolare: Tempelhof (THF, sigla ora ritirata), costruito fra il 1923 e il 1927, è stato uno dei primissimi aeroporti commerciali al mondo. Deve il suo nome al fatto che il terreno apparteneva storicamente ai Templari (sì, i cavalieri templari, quelli di Dan Brown!) e venne trasformato in aeroporto “cittadino” nel 1962, permettendo l’atterraggio di tutti i più grandi aerei della storia (fino al Boeing B747, ma niente A380, per quel che ne so io). È interessante però sapere che questo era il campo di aviazione in cui, a partire dal 1909, vennero fatti i primi voli in assoluto in terra germanica: prima Armand Zipfel (francese) e poi Orville Wright (americano) portarono infatti qui le famose macchine volanti quando vennero in visita alla capitale tedesca, e proprio qui si può dire che nacque la passione per il volo made in Germany.

Nel 1926 Tempelhof era diventato ufficialmente un “aeroporto” e Albert Speer, l’architetto del nazismo, diede la sua impronta anche a questa parte di Berlino facendo realizzare da Ernst Sagebiel (architetto specializzato in palazzi collegati all’aeronautica) l’edificio all’epoca più grande del mondo. Un quadrante da 1,2 chilometri, gigantesco atrio degno di una grande stazione centrale ottocentesca, la “madre di tutti gli aeroporti”, una struttura quasi surreale, se pensata di fronte a uno scalo aeroportuale moderno. L’Architettura (quella con la “A” maiuscola) si era già occupata di metabolizzare le piste di volo e costruire strutture adeguate per i passeggeri e tutte le altre figure coinvolte in questa strana, nuova moda. Ma Sagebiel ci mise effettivamente del suo e definì uno stile che poi piacque solo ai russi (anzi, ai sovietici) e rimase lettera morta nelle accademie del resto del mondo. È importante però notare che questi due aeroporti si espandevano all’interno di un’area urbana molto ampia e complessa, che ha la particolarità di avere più centri e soprattutto ampie aree messe a verde con zone residenziali popolate da villette e piccole palazzine. Se si vive a Berlino si scopre che è una città pensata per la grande estensione, una città che richiama in qualcosa il gusto che poi sarà degli americani di sviluppare le loro città orizzontalmente, anziché all’europea accatastando condomini e casermoni in territori relativamente contenuti.

A Berlino, per la cronaca, il sistema degli aeroporti era ancora più ampio di quanto la storia recente non faccia immaginare. C’erano anche lo Staaken (vicino a Spandau) dove la Zeppelin costruiva negli anni dieci del novecento i suoi dirigibili e che è stato operativo dal 1916 al 1946; la base aerea della RAF (Royal Air Force britannica) di Gatow, sulle sponde del lago Havelsee sempre a Spandau, da dove decollavano anche i grandi idrovolanti e che nel 1994 venne restituito dopo la riunificazione dagli inglesi ai tedeschi. Questi ultimi lo hanno smantellato, lasciando solo un pezzo di pista e un piccolo museo del volo all’aperto (altra nota di cosa da vedere quando ripasso da Berlino e ho un po’ di tempo) che si chiama Luftwaffenmuseum der Bundeswehr.

Qui una volta era tutto aeroporto. Johannisthal è stato il primo, storico aeroporto tedesco dove è nata un'industria. Oggi è un campo, e in fondo si intravedono alcune delle strutture in cui hanno sede laboratori e centri di ricerca, ultima eredità del vecchio insediamento.

Infine, è stato cassato anche dai libri di scuola ma è sempre vivo nella memoria degli appassionati il “mitico” (oramai può essere chiamato solo così) Johannisthal, aperto a fine 1909 e originale luogo di nascita dell’aviazione germanica. Infatti, mentre Templehof aveva visto comparire una serie di noti e temerari pionieri dell’aviazione stranieri venuti a dimostrare alle folle curiose della Berlino d’inizio secolo la magia del volo sulle pericolose macchine volanti, il campo di Johannisthal è stato il posto dove i pionieri tedeschi si sono messi di buzzo buono a lavorare sui loro aeroplani realmente made in Germany. Sono nati i centri di ricerca, le prime officine, a un certo punto sono iniziati anche i primi voli commerciali con origine in Germania. Qui aveva la sua prima fabbrica ad esempio il pioniere olandese naturalizzato tedesco Anthony Fokker, che nel 1912 aveva aperto la Fokker Aeroplanbau (successivamente trasferita a Schwerin). A un certo punto, per rendere le cose meno semplici, il campo di volo venne ribattezzato Adlershof (in effetti la struttura si trovava a metà tra i quartieri di Johannisthal e Adlershof) e poi venne chiuso al volo e trasformato in una serie di centri di ricerca militari per l’esercito della Germania dell’Est. Sono sopravvissute le strutture dell’Aerodynamischer Park, che oggi appartiene alla università Humboldt ma che all’origine faceva parte del sistema di laboratori, centri di ricerca, gallerie del vento e capannoni per lo sviluppo delle tecnologie del volo realizzate dai tedeschi dell’est assieme ai sovietici, e una serie di edifici che vengono utilizzati come base per realizzare la cittadella della scienza e della tecnologia.

Il volo, insomma, ha lasciato una traccia ben visibile per terra anche quando si è spostato. E poi, cos’è successo? Come sono evoluti gli aeroporti? E cos’è successo in Italia, tra Roma, Milano e le altre nostre capitali dimenticate del volo? Ottime domande a cui rispondere la prossima volta.

Antonio Dini

Giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Scrive di tecnologia e ama volare, se deve anche in economica. Ha un blog dal 2002: Il Posto di Antonio