A ognuno il suo Gheddafi

In questi giorni di voci e illazioni sui possibili interventi cinesi a sostegno dell’annaspante economia italiana in molti hanno pensato al più famoso e qualificato italiano con solidi rapporti in Cina come interlocutore preferienziale e auspicato per eventuali trattative e iniziative di questo genere, Romano Prodi. Lo aveva scritto subito Dario Di Vico su Twitter, oggi ci torna Europa con qualche eccitazione che mi pare eccessiva.

Mi pare infatti che sia difficile rimuovere improvvisamente dal campo tutte le ostilità che un paese democratico è giusto abbia nei confronti di una nazione in cui non esiste democrazia, i cittadini non scelgono, il regime si autoperpetua, i diritti civili sono sistematicamente violati, e i premi Nobel per la Pace tenuti in carcere. Non dico che gli si dichiari guerra o si richiami l’ambasciatore, ma si improntano i rapporti a questo giudizio e all’intenzione di promuovere un cambiamento, non a una succube e questuante amicizia. Poi si può anche diventare improvvisamente cinici e “realisti”, diciamo, e andare a prendersi i soldi senza guardare troppo per il sottile, ma basta non essere tra quelli che hanno mai sollevato un sopracciglio di fronte alle indulgenze libiche del nostro governo: qualcuno dovrebbe infatti spiegare quale differenza ci sia tra essere tanto amici di Gheddafi ed essere tanto amici del regime cinese (al punto di non spendere una parola, avendone i titoli, nemmeno sul tema più contestato internazionalmente nei mesi scorsi).

Poi se vogliamo fare come faceva Berlusconi con Gheddafi per proteggere gli interessi italiani in Libia, facciamolo anche da sinistra, facciamolo anche con Prodi. Ma non andiamo poi in giro a dire che siamo diversi.


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Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).