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  • Lunedì 17 novembre 2025

«No war, yes peace»

Il dittatore venezuelano Maduro ha iniziato a fare il pacifista, mentre gli Stati Uniti ammassano mezzi militari intorno al paese

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro durante una manifestazione a favore del suo governo a Caracas, il 13 novembre del 2025 (AP Photo/Ariana Cubillos)
Il presidente venezuelano Nicolás Maduro durante una manifestazione a favore del suo governo a Caracas, il 13 novembre del 2025 (AP Photo/Ariana Cubillos)
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Sabato, durante un comizio a Caracas, il dittatore venezuelano Nicolás Maduro ha canticchiato Imagine di John Lennon. Il video di quel siparietto è circolato molto, da un lato perché l’inglese stentato di Maduro ha effetti volutamente comici, dall’altro perché è emblematico di una sua tattica diventata sempre più frequente: l’uso di una retorica esplicitamente pacifista per rispondere alle minacce degli Stati Uniti, che stanno eseguendo un imponente schieramento navale al largo del Venezuela come parte della campagna di pressione per rovesciare il suo regime.

Spesso Maduro comunica questi messaggi proprio in lingua inglese, cosa che fa intendere come non siano diretti solo al pubblico venezuelano ma anche a quello statunitense, e in particolare al presidente Donald Trump.

Durante il comizio di sabato Maduro ha invitato ad «andare a cercarsi il testo» di Imagine, un riferimento al messaggio antimilitarista della canzone, che chiede di immaginare che non esistano confini e che le persone non abbiano più ragioni per combattere tra loro. Citandola Maduro intendeva invocare valori di pace universale, contro i progetti d’invasione che attribuisce agli Stati Uniti.

Da fine agosto l’amministrazione Trump ha iniziato ad ammassare mezzi militari nelle acque intorno al Venezuela. Formalmente questi dovrebbero servire per presunte operazioni antidroga nel mar dei Caraibi, con cui gli Stati Uniti attaccano piccole imbarcazioni sospettate di essere usate dai narcotrafficanti per trasportare droghe dal Venezuela. Gli attacchi sono stati finora più di 20 e hanno ucciso più di 80 persone, nessuna delle quali accusata formalmente né tantomeno sottoposta a processo.

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Inizialmente Maduro aveva reagito con ostilità a questa campagna militare e tuttora la propaganda del suo regime continua a pubblicizzare una «mobilitazione di massa» poco realistica, sostenendo che il paese sia pronto a difendersi da una possibile invasione o attacco diretto. A questo però negli ultimi tempi Maduro sta affiancando toni più distesi.

Molto spesso parla proprio di «peace», usando la parola in inglese, e ne ha fatto una specie di slogan. A fine ottobre per esempio aveva scandito tre volte «no war» e «yes peaceforever» («no alla guerra» e «sì alla pace, per sempre») prima di dire, sempre in inglese, «no alla guerra folle». Pochi giorni fa ha avuto l’occasione di ripetere lo slogan sull’emittente statunitense CNN, quando dopo un comizio un giornalista gli ha chiesto se avesse un messaggio per Trump: «Yes peace, yes peace», ha risposto.

Maduro sta puntando su questo tipo di comunicazione perché probabilmente i suoi consiglieri pensano che funzioni. Il suo regime controlla i mezzi di comunicazione e tutti i contenuti diffusi sui profili social del presidente sono da intendersi come strumento di propaganda. Maduro li usa con un certo successo per dare di sé un’immagine innocua e amichevole, nonostante sia un dittatore che reprime il dissenso, trucca i risultati elettorali e arresta i cittadini stranieri per la cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”.

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L’inglese parlato-male è funzionale a questa narrazione ed è diventato quasi un siparietto. Quando Maduro parla in inglese, il pubblico è autorizzato a ridere (è stato così anche quando ha iniziato a cantare Imagine), poi lui comunque traduce in spagnolo. A volte ha mescolato le lingue, come quando ha detto «Hands off Venezuela… de inmediati», cioè “Giù le mani dal Venezuela… immediatamente” (de inmediati non è né inglese né spagnolo).

Inoltre le dichiarazioni pacifiste in inglese sono state riprese e amplificate dai media internazionali, che però si sono soffermati più sulle incertezze linguistiche e sulla sua goffaggine che sul contenuto. Di recente Maduro si è compiaciuto della sua popolarità all’estero, sostenendo di essere diventato più famoso di Taylor Swift e Bad Bunny negli Stati Uniti.

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Maduro non si è inventato niente rivolgendosi a distanza, e in inglese, al presidente degli Stati Uniti: lo faceva già Hugo Chávez, ex presidente venezuelano che fu predecessore di Maduro e per certi versi suo mentore, morto nel 2013. È celebre un discorso in cui Chávez dava dell’asino e del «peggio del peggio» all’allora presidente statunitense George W. Bush, che aveva soprannominato “Mr. Danger” (ossia Signor Pericolo) come il personaggio di un romanzo venezuelano. Tra l’altro, anche Chávez era convinto che gli Stati Uniti avrebbero provato a invadere il Venezuela.

Tutto questo parlare di pace è anche un tentativo di fare indirettamente pressione su Trump, che come noto tiene molto alla sua immagine di pacificatore, in ampia parte autoalimentata. Da tempo i leader che vogliono lusingarlo lo candidano al Nobel per la Pace (che quest’anno è stato vinto dalla leader dell’opposizione venezuelana María Corina Machado). I discorsi di Maduro raccontano le manovre statunitensi come una nuova guerra, perché sa che è una narrazione a cui Trump è sensibile e che non vorrebbe fosse associata al suo nome.

In ogni caso, la comunicazione del regime risponde a precisi scopi propagandistici ed è soprattutto un atteggiamento di facciata. Per esempio, con il pretesto delle operazioni statunitensi il governo ha dichiarato un nuovo stato di emergenza, che ha ampliato ancora di più i poteri del presidente. Il regime ha anche ottenuto dalla Russia promesse di maggiori aiuti militari. Oltre a dilungarsi sulla pace, più volte Maduro ha esortato la popolazione a resistere «un centimetro alla volta».

L’inglese incerto di Maduro è un genere, da anni