Il circo senza Moira Orfei
Dieci anni fa morì la personalità più famosa nella storia italiana di uno spettacolo che interessa sempre meno

Quando nel 1931 nacque Moira Orfei, la sua famiglia portava in Italia i suoi spettacoli circensi già da alcune generazioni. Quando morì, dieci anni fa, era diventata una celebrità come non ce n’erano mai state nella sua ramificata parentela, una faccia stampata nella cultura popolare e sulle migliaia di manifesti che per decenni hanno tappezzato le statali segnalando la presenza in città del suo circo, il più famoso e rinomato in Italia.
Da quando non c’è più lei, il circo Orfei non esiste più, ha chiuso durante la pandemia per una crisi di immagine e popolarità che in realtà era cominciata molto prima, mentre la fama di Moira Orfei si consolidava al cinema e in televisione. Lo sfruttamento e il maltrattamento degli animali sono accettabili ormai per una minoranza delle persone, e almeno nella sua forma tradizionale è un tipo di spettacolo che attrae sempre meno. Nei piazzali di periferia e nelle città di provincia continuano a esserci i tendoni a strisce, sempre meno frequentati. Alcuni continuano a sfruttare indebitamente il cognome Orfei, una pratica cominciata negli anni Ottanta e contro la quale il ramo principale della famiglia aveva provato a opporsi senza successo.

Il circo di Moira Orfei a Roma (©Franceschi/Gisone/LaPresse)
Nata in provincia di Udine da una famiglia itinerante di origine sinti, Moira Orfei diventò una celebrità degli spettacoli del suo circo come cavallerizza, trapezista, acrobata, domatrice di elefanti e addestratrice di colombe. Il suo stile era immediatamente riconoscibile: trucco intenso, eyeliner marcato, sopracciglia sottilissime, il celebre neo sopra il labbro e l’acconciatura a turbante. Anche la scelta del nome d’arte fu parte della costruzione del personaggio: inizialmente voleva chiamarsi “Mora”, per via dei capelli e degli occhi scuri, aggiunse poi una “i” per renderlo «più esotico». Alcuni definirono il suo uno stile “felliniano”, assunto su suggerimento del produttore Dino De Laurentiis. Comparve in decine di film e diventò una personalità della tv, ospite fissa a Domenica In negli anni Duemila. Fu in quegli anni che per il suo stile e i suoi modi diventò anche un simbolo della comunità LGBTQ+ italiana.
Ma mentre la popolarità di Moira Orfei cresceva, quella dei circhi diminuiva. A partire dagli anni ’80 e ’90 la televisione, il cinema e successivamente videogiochi e intrattenimento digitale offrirono nuove forme di spettacolo a basso costo, riducendo l’attrattiva del circo itinerante. E nello stesso periodo aumentò la sensibilità del grande pubblico per i diritti degli animali, e i circhi che di conseguenza non li sfruttavano, come il Cirque du Soleil. Queste tendenze si consolidarono negli anni, poi arrivarono la morte di Moira Orfei e la pandemia, e nel 2020 il circo più famoso d’Italia chiuse.
Oggi il numero di spettatori dei circhi è molto distante da quello dei decenni in cui era un’attività popolare e redditizia. Nel 2024 si sono tenuti 16.019 spettacoli circensi, ma gli spettatori sono diminuiti del 5,4 per cento rispetto all’anno precedente. L’incasso medio per spettacolo è stato di 580 euro, contro i 3.782 euro di media di tutto il settore che comprende tra le tante discipline il balletto, la prosa e la lirica.
Negli ultimi anni diverse associazioni animaliste, tra cui la Lega Anti Vivisezione (Lav), hanno contestato i finanziamenti pubblici destinati ai circhi che utilizzano animali. È una critica ricorrente ma il motivo per cui esistono ancora fondi statali per le attività circensi è soprattutto storico: il sostegno pubblico fu introdotto nel 1968, quando i circhi erano una delle forme di intrattenimento più diffuse in Italia. Erano spettacoli itineranti molto presenti nelle feste di paese e nelle piazze, e per questo vennero considerati una realtà culturale da tutelare.
Con la legge 337 del 18 marzo 1968 lo Stato attribuì ai circhi e allo spettacolo viaggiante un «valore sociale», impegnandosi a sostenerne «il consolidamento e lo sviluppo» anche con agevolazioni economiche e fiscali. Negli anni successivi a questo quadro si aggiunse il fondo unico per lo spettacolo (FUS), che è ancora oggi uno dei principali strumenti di finanziamento del settore. Nel 2022 il ministero della Cultura ha assegnato 137 contributi per un totale di circa 8 milioni di euro. Nel 2023 lo stanziamento è stato di poco superiore agli 8 milioni, e nel 2024 è stata confermata la continuità dei fondi. Sono soldi che non coprono i costi complessivi delle attività circensi, ma che continuano a essere criticati dalle associazioni animaliste perché una parte di questi soldi va anche ai circhi che usano animali.
Secondo un’indagine Doxa commissionata dalla LAV nel 2023 il 76 per cento delle persone in Italia è contrario all’uso degli animali nei circhi, l’80 per cento sarebbe disposto ad assistere a spettacoli senza animali e il 79 per cento è d’accordo per la «riconversione dei circhi con animali in spettacoli con giocolieri, trapezisti e altri numeri, senza l’uso di animali». Per provare a intervenire su questo sistema, nel 2022 il parlamento ha approvato una legge delega che prevede l’eliminazione dell’uso degli animali, ma il decreto legislativo che dovrebbe renderla operativa è stato rimandato più volte: la scadenza è ora fissata al 31 dicembre 2026.



