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  • Lunedì 10 novembre 2025

Cosa sappiamo del possibile invio di truppe internazionali a Gaza

A un mese dall'inizio del cessate il fuoco sono cominciati i negoziati all'ONU, ma molte cose sono ancora poco chiare

Persone palestinesi nella città di Gaza, 25 ottobre 2025
Persone palestinesi nella città di Gaza, 25 ottobre 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
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Uno degli aspetti più complicati del piano di pace proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per la Striscia di Gaza riguarda la cosiddetta “Forza di stabilizzazione internazionale”, cioè il contingente di truppe che vari paesi dovrebbero inviare a Gaza per garantire il cessate il fuoco. Secondo il piano, la Forza di stabilizzazione (nota anche come ISF, dal suo acronimo inglese) dovrebbe mantenere la pace finché Hamas non sarà disarmato, e finché Gaza non sarà ricostruita e capace di una qualche forma di governo autonomo. Sono condizioni tutt’altro che scontate.

La settimana scorsa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono cominciati i negoziati su una risoluzione proposta dagli Stati Uniti che darebbe alla ISF un mandato di due anni, con scadenza il 31 dicembre 2027, per operare nella Striscia di Gaza. L’amministrazione Trump ha spesso criticato l’ONU, ed è inusuale che ne chieda il permesso per avviare una missione all’estero. Ma l’approvazione di una risoluzione sulla missione era stata chiesta dagli alleati arabi, che avranno poi un ruolo importante.

La ISF avrebbe molti compiti, tra cui: proteggere i civili e le operazioni umanitarie; proteggere i confini tra la Striscia di Gaza, Israele e l’Egitto; addestrare una nuova forza di polizia palestinese; garantire il processo di demilitarizzazione della Striscia (e dunque anche di Hamas); distruggere tutte le infrastrutture usate dal gruppo.

Questo significherebbe che la ISF avrebbe un ruolo diverso, e ben più difficile, rispetto a quello di gran parte delle forze multinazionali che vengono normalmente dispiegate in luoghi di crisi. Non avrebbe soltanto compiti di peacekeeping, cioè di sorveglianza di un processo di pace già avviato, ma avrebbe un ruolo di peace enforcing, cioè di mettere in pratica attivamente un processo di pace tutto da costruire.

La risoluzione dice che, per realizzare il proprio mandato, la ISF potrà usare «tutte le misure necessarie». È un modo per dire che potrà usare anche la forza militare, che potrebbe essere necessaria per portare a termine il compito più difficile, quello di disarmare Hamas e gli altri gruppi di miliziani che operano nella Striscia, come il Jihad Islamico. Al momento Hamas non ha accettato di abbandonare le armi, ed è decisamente improbabile che in futuro lo farà volontariamente.

Miliziani di Hamas a Gaza, 5 novembre 2025

Miliziani di Hamas a Gaza, 5 novembre 2025 (AP Photo/Jehad Alshrafi)

– Leggi anche: Sotto alla Striscia di Gaza ci sono centinaia di miliziani di Hamas

In un’intervista a BBC News il re Abdullah II della Giordania (uno dei paesi della regione più coinvolti nelle questioni della Striscia di Gaza) ha detto che una missione di peace enforcing sarebbe molto complicata e che molti paesi potrebbero decidere di tirarsi indietro, perché le loro truppe potrebbero trovarsi più facilmente in situazioni di combattimento attivo: «Peacekeeping significa stare lì e dare supporto alle forze di polizia locali (…). Se cominciamo a fare pattugliamenti armati di Gaza, questa non è una situazione in cui un paese vuole trovarsi coinvolto», ha detto.

Secondo varie indiscrezioni la ISF potrebbe essere guidata dall’Egitto, ma non è ancora chiaro quali paesi parteciperanno. Tra quelli che hanno dato disponibilità per l’invio di truppe ci sono l’Azerbaijan, l’Indonesia e la Turchia. Israele starebbe però facendo pressione per impedire alle truppe turche di partecipare: un po’ perché il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, è vicino ai Fratelli musulmani, la stessa organizzazione dell’islam politico da cui nacque Hamas; e un po’ perché le forze armate turche sono le più potenti della regione assieme a quelle di Israele, e tra i due paesi sta cominciando a svilupparsi una certa competizione.

Anche alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, hanno dato la propria disponibilità a partecipare alla stabilizzazione di Gaza, ma non è chiaro se faranno parte della ISF o se si occuperanno di compiti umanitari o logistici. Gli Stati Uniti hanno detto invece fin da subito che non intendono inviare soldati a Gaza.

Khan Yunis, 8 novembre 2025

Khan Yunis, 8 novembre 2025 (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

Per approvare la risoluzione degli Stati Uniti sulla ISF serve che nove dei 15 membri del Consiglio di Sicurezza votino a favore, e che nessuno dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia, Regno Unito) metta il veto. L’effettivo dispiegamento della ISF dipende anche da altri fattori: per esempio, bisogna vedere se reggerà il cessate il fuoco fra Israele e Hamas, che è in vigore da un mese esatto ma in più occasioni si è mostrato fragile.

Secondo la risoluzione presentata dagli Stati Uniti, la ISF sarà sotto il comando del “Consiglio di pace”, un organo previsto dal piano di Trump e guidato da Trump stesso, che a sua volta supervisionerà una «commissione palestinese tecnocratica e apolitica» che si occuperà del governo quotidiano della Striscia.

Lo scopo finale del piano è di fare in modo che l’Autorità nazionale palestinese – cioè il governo dei palestinesi riconosciuto dalla comunità internazionale, che già governa parte della Cisgiordania – possa alla fine governare anche la Striscia di Gaza. Potrà farlo però solo dopo aver completato un non meglio specificato «programma di riforme», e con l’assenso del “Consiglio di pace”. La risoluzione dell’ONU non menziona da nessuna parte la creazione di uno stato palestinese.

– Leggi anche: Il cibo a Gaza non è ancora abbastanza