Il mistero delle foglie rosse d’autunno
Nonostante lo notiamo da sempre, non è ancora chiaro perché alcuni alberi si diano da fare per tingere le loro foglie prime di liberarsene

In questo periodo dell’anno le foglie di miliardi di alberi nell’emisfero nord cambiano colore e cadono a terra, producendo l’effetto più caratteristico della stagione autunnale per la gioia degli appassionati del foliage, che peraltro essendo una parola inglese si pronuncia fòlieg, e non foliaj. La maggior parte delle foglie degli alberi caducifogli ingiallisce prima di cadere a terra, con un processo noto da tempo, mentre non si è ancora capito come mai ogni tanto le foglie diventino rosse prima di staccarsi dalla pianta che le ha generate.
La questione è indagata da decenni e ha portato anche a qualche accesa diatriba tra i gruppi di ricerca che se ne sono occupati, specialmente tra quelli fermi sulle posizioni più nette. Visto dall’esterno, il mistero appare quasi banale e sembra sorprendente che sia ancora tale nonostante la defogliazione sia un fenomeno che osserviamo da tempo, ma non sempre nella vita ci sono risposte semplici, figurarsi in botanica.
Per l’ingiallimento trovare una risposta non fu in realtà molto difficile. Durante l’autunno, gli alberi che perdono le foglie scompongono la clorofilla – la sostanza coinvolta nella fotosintesi – per recuperare l’azoto, un elemento chimico molto importante per produrre le proteine e preservare il DNA. La clorofilla è ciò che dà alle foglie la classica colorazione verde, quindi se questa viene rimossa diventano evidenti le altre sostanze già presenti nella foglia come i carotenoidi (xantofille), gialli e lievemente arancioni. È un processo passivo di rivelazione di questi colori ed è molto vantaggioso per la pianta, che può riciclare e recuperare sostanze che aveva prodotto con un certo dispendio di energia nella stagione calda.

Stoccolma, Svezia (Christopher Pillitz/Getty Images).
A differenza del giallo, il rosso è invece il risultato di un processo attivo, quindi costoso dal punto di vista energetico per la pianta. Nelle ultime fasi di vita delle foglie, alcuni alberi si mettono a produrre gli antociani, che non erano quindi presenti in precedenza nelle foglie e che le tingono di rosso. Produrre una sostanza per migliaia di foglie ormai morenti appare uno spreco di energia e un controsenso, e per questo nel tempo i gruppi di ricerca si sono confrontati sulle possibili cause di questo fenomeno.
Seppure con sfumature diverse, quasi quanto quelle del foliage, l’ipotesi più condivisa tra chi si occupa di fisiologia vegetale è che gli antociani abbiano il compito di proteggere la foglia nella parte finale del suo ciclo vitale. L’idea è che queste sostanze lavorino come una sorta di filtro solare, proteggendo dal Sole quello che rimane dei sistemi fotosintetici della foglia dando più tempo all’albero di estrarre i nutrienti di cui ha bisogno (in particolare l’azoto) prima di liberarsi delle foglie.
Nel tempo sono stati segnalati alcuni indizi a sostegno di questa ipotesi. Buona parte dell’Europa nella stagione autunnale riceve meno irradiazione solare rispetto al Nordamerica nord-orientale e ha in effetti meno alberi le cui foglie diventano rosse. È stato anche notato che le foglie di alberi incapaci di produrre gli antociani tendono a trattenere più azoto, che quindi poi finisce con loro a terra, indicando un recupero meno efficiente di questo elemento. Altri studi hanno invece segnalato che le specie di alberi che vivono in simbiosi con batteri che rendono loro disponibile l’azoto non hanno generalmente foglie che diventano rosse, proprio perché hanno già un’abbondanza di azoto.
A questa ipotesi della fotoprotezione negli ultimi tempi se n’è contrapposta una coevolutiva, secondo cui il colore rosso sarebbe un segnale che alcuni alberi utilizzano per proteggersi dagli afidi che si nutrono della loro linfa. Questi insetti sono poco attratti dal rosso e la sua presenza segnalerebbe agli afidi che l’albero ha risorse per difendersi e che le sue foglie hanno pochi nutrienti per loro. Il rosso autunnale sarebbe quindi un segnale costoso, perché produrre antociani richiede molte energie, e al tempo stesso “onesto”, perché una pianta debole e con meno risorse per difendersi dagli afidi non riuscirebbe a “fingere” producendo molto rosso.
I sostenitori di questa ipotesi ricordano che solo il 15 per cento circa delle specie arboree caducifoglie diventa rosso in autunno e che, se la protezione dalla luce in eccesso fosse un’esigenza così universale, ci si aspetterebbe una maggiore diffusione del fenomeno. È stato inoltre notato che le varietà selvatiche dei meli tendono a colorarsi di rosso, mentre quelle coltivate lo fanno meno: chi ipotizza la coevoluzione ritiene che questo sia un indizio della necessità dei meli selvatici di proteggersi dagli afidi rispetto a quelli coltivati, che sono aiutati a farlo dai pesticidi o da altri sistemi di protezione come l’uso di coccinelle ghiotte di afidi.

Ottawa, Ontario, Canada (Al Drago/Getty Images)
A sostegno di questa seconda ipotesi ci sono anche considerazioni legate alle glaciazioni del passato, che ebbero un forte impatto sulla capacità di piante e insetti di sopravvivere. Nel Nordamerica e in Asia orientale, dove si osservano più foglie rosse in autunno, le principali catene montuose hanno uno sviluppo da nord a sud e permisero quindi alle piante e agli insetti di raggiungere le aree a sud meno fredde, tornando al nord quando il clima si fece più mite. Ciò fece sì che sopravvivessero relazioni complesse tra insetti e alberi, che mantennero difese costose come la produzione delle foglie rosse in autunno.
In Europa, invece, le principali catene montuose si estendono da ovest a est e resero quindi più difficili gli spostamenti da nord a sud durante le glaciazioni. Molte specie non riuscirono a sopravvivere, lasciando alberi che persero l’esigenza di produrre le costose foglie rosse e da allora si limitarono a ingiallire. Secondo alcuni gruppi di ricerca le piante in Scandinavia sono un’evidente conferma di quel processo: le foglie degli alberi in autunno ingialliscono, mentre le foglie dei piccoli arbusti diventano rosse perché riuscirono a sopravvivere meglio ai periodi delle glaciazioni, insieme a diverse specie di insetti che le popolavano.
Intorno alle due principali ipotesi sono state formulate altre teorie, legate per esempio alla capacità degli antociani di ridurre la formazione di funghi, prolungando la fase finale della vita delle foglie. Altri hanno segnalato che, diventando rosse, le foglie renderebbero comunque molto più evidenti gli afidi (che sono verdi) ai predatori, e questa sarebbe un’ulteriore spiegazione della loro scarsa predilezione per il rosso.
Come spesso con queste cose, è probabile che la rigida distinzione tra le due teorie più discusse non abbia in realtà motivo di esistere. Negli ultimi anni sono state elaborate sintesi che tengono insieme sia l’ipotesi della fotoprotezione sia quella coevolutiva, concentrandosi in particolare sul ruolo delle sostanze nutrienti del suolo. Un albero che cresce in un suolo povero di azoto attua la fotosintesi con maggiore difficoltà ed è quindi più vulnerabile ai danni della luce: produrre antociani permette all’albero di prolungare la durata delle foglie, recuperando maggiori quantità di azoto. Al tempo stesso, un albero con poco azoto è una fonte di cibo di bassa qualità e il colore delle sue foglie segnala proprio questa circostanza, inducendo gli afidi a cercare un’altra dimora.
La questione non è comunque ancora risolta e il confronto continua, anche perché ci sono alberi che producono sia foglie gialle sia rosse, come alcune delle decine di specie conosciute di pioppo. Studiare il loro mix di colori potrebbe aiutare a comprendere un fenomeno che affascina da sempre poeti, pittori, scrittori, musicisti, Marge Simpson e scienziati litigiosi.



