Cosa aspettarsi dalla COP30 di Belém
La conferenza sul clima inizia lunedì in Brasile con un forte valore simbolico, ma poche aspettative

Lunedì 10 novembre inizierà la COP30, l’annuale conferenza sul clima che riunisce i rappresentanti di quasi tutti i paesi del mondo per discutere le politiche da adottare per affrontare il riscaldamento globale. La conferenza, che nei giorni scorsi è stata anticipata dall’incontro dei leader di molti paesi, ha un forte valore simbolico: si tiene nella città brasiliana di Belém in Amazzonia, la grande foresta pluviale che ha subìto negli anni una forte deforestazione, ed è organizzata dopo dieci anni dall’Accordo di Parigi, il più importante trattato sul clima degli ultimi tempi.
La conferenza non inizia sotto i migliori auspici e c’è un certo scetticismo sulla possibilità di arrivare a nuovi accordi su misure veramente incisive, sia nella riduzione delle emissioni di gas serra sia nell’aumento dei finanziamenti da parte dei paesi più ricchi verso quelli più poveri che già stanno sperimentando i costi del cambiamento climatico. Senza portare alcuna prova e contraddicendo decenni di consenso scientifico, il presidente statunitense Donald Trump ha definito la crisi climatica «un imbroglio» e ha detto che gli Stati Uniti non parteciperanno alla conferenza con rappresentanti di alto livello. Inoltre, rispetto a dieci anni fa le tensioni internazionali sono aumentate e questo potrebbe ostacolare i negoziati e l’ottenimento di qualche compromesso.
Che cos’è la COP
La sigla COP sta per “Conference of Parties”, cioè letteralmente “Conferenza delle parti”, che sono rappresentate dai 200 paesi ed entità che hanno firmato l’accordo sul clima delle Nazioni Unite del 1992. Nella forma attuale è da trent’anni l’occasione più importante per discutere le politiche da adottare sul cambiamento climatico, sulla base dell’enorme quantità di dati e informazioni che il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) condensa periodicamente nei propri rapporti sugli effetti del riscaldamento globale e su quelli previsti, nel caso di un ulteriore aumento della temperatura media globale (rispetto al periodo preindustriale).
Le decisioni che vengono prese alle COP non sono vincolanti, ma anno dopo anno si sono mostrate fondamentali per avere politiche condivise soprattutto per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di anidride carbonica. È il gas serra più diffuso e ne vengono prodotte enormi quantità ogni giorno con le attività umane che prevedono l’impiego dei combustibili fossili.
Perché in Brasile
È la prima volta che si tiene una COP in Brasile e il suo presidente, Luiz Inácio Lula da Silva, ha scelto di assumere la presidenza della conferenza promettendo di rallentare in modo più incisivo la deforestazione in Amazzonia, riducendo al tempo stesso le emissioni di gas serra brasiliane.
Belém è considerata una delle porte di accesso all’Amazzonia e si affaccia sull’oceano Atlantico nei pressi della foce del Rio delle Amazzoni. Da tempo si parla della necessità di conservare questa zona, per tutelarne la biodiversità (la varietà di specie che la popolano) e mantenerla rigogliosa. L’Amazzonia è una delle più importanti aree di assorbimento dell’anidride carbonica e ne assorbe miliardi di tonnellate ogni anno, ma la deforestazione e il cambiamento del clima potrebbero portarla a un punto di non ritorno, con la perdita dei suoi ecosistemi.
Organizzare la conferenza a Belém non è però stato semplice: la città non era attrezzata per ospitare tutte le delegazioni e ci sono state polemiche per la costruzione di una nuova strada, proprio nell’Amazzonia, per gestire la logistica dei numerosi incontri.

Belém, Brasile (Philippe Giraud/Corbis via Getty Images)
Come arriviamo alla COP30
La conferenza sul clima di Parigi del 2015 portò alla definizione di un obiettivo specifico e condiviso: evitare che entro fine secolo la temperatura media globale aumentasse di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, con l’impegno a tenersi al di sotto dei 2 °C. Secondo alcune stime la soglia di 1,5 °C è stata superata temporaneamente nel 2024, l’anno più caldo mai registrato, e secondo diverse previsioni è molto difficile che si arrivi a fine secolo al di sotto di quel valore.
Per il rapporto sulle emissioni dell’ONU, pubblicato alla vigilia della conferenza di Belém, con le attuali politiche energetiche si arriverà a un aumento della temperatura media globale di 2,8 °C alla fine del secolo; nel rapporto precedente si stimavano 3,1 °C. Se gli impegni finora assunti alle COP venissero rispettati si potrebbe arrivare a 2,5 °C, quindi comunque ben al di sopra del limite concordato a Parigi. Con una forte riduzione delle emissioni si potrebbe avere un periodo di sforamento, con tutte le conseguenze del caso (eventi atmosferici più estremi e frequenti, perdita di biodiversità e grandi costi) seguito da un rientro entro la soglia, con una situazione climatica meno precaria.
Cinque cose che si discutono quest’anno
La COP30 non ha un unico obiettivo forte come fu a Parigi, ma come le ultime conferenze ha lo scopo di mettere ordine e fare il punto sugli impegni presi e non ancora pienamente rispettati.
1. Periodicamente, i governi sono tenuti ad aggiornare i loro piani climatici con obiettivi via via più ambiziosi, nell’ambito dei cosiddetti Contributi determinati a livello nazionale (NDC). Molti paesi non hanno rispettato questo impegno o sono indietro nello sviluppo dei loro NDC e la COP30 era stata scelta già da qualche tempo come l’occasione per allinearsi non solo sulla riduzione delle emissioni, ma anche sui fondi da stanziare per le politiche di adattamento agli effetti del cambiamento climatico, ormai inevitabili. Alla conferenza potrebbe essere deciso un nuovo sistema per gestire gli NDC, in modo da assicurare una maggiore partecipazione e il rispetto del loro aggiornamento con piani più ambiziosi.
2. Negli ultimi anni i paesi hanno messo le basi per i Piani nazionali di adattamento (NAP), che definiscono come ogni governo intende prepararsi per rispondere agli effetti del cambiamento climatico. L’implementazione dei NAP è però ancora molto carente, sia perché i governi non destinano sufficienti risorse economiche sia perché faticano a individuare le priorità su cui focalizzare la loro azione. Alla COP30 si discuterà dei modi per passare più facilmente alla pratica con i NAP, individuando al tempo stesso un meccanismo a livello globale che faciliti l’identificazione degli obiettivi principali.
3. Gestire e affrontare il cambiamento climatico richiede un’enorme quantità di soldi, un punto su cui la maggior parte dei paesi è restia a fare grandi concessioni. Alla COP29, la conferenza dello scorso anno a Baku (Azerbaigian), fu definito il Nuovo obiettivo finanziario per il clima (NCQG) con uno stanziamento di 300 miliardi di dollari all’anno da parte dei paesi più ricchi, ritenuto però inadeguato da buona parte dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico. Il piano prevedeva in realtà fondi per altri 1.000 miliardi che di fatto dovevano però essere ancora stanziati e definiti, quindi non disponibili. A Belém si inizierà a discutere anche di questi in vista di una revisione dei finanziamenti nell’ambito di quella che è stata chiamata “Baku to Belém roadmap”.
4. Alla COP30 saranno definiti i compiti e le modalità di accesso per il Fondo per le perdite e i danni (FRLD), lo strumento internazionale creato per aiutare i paesi più interessati dagli effetti del cambiamento climatico. È gestito da rappresentanti di paesi sviluppati e in via di sviluppo con il sostegno della Banca Mondiale, e si finanzia grazie ai contributi dei governi e di altre entità internazionali. L’obiettivo è di arrivare alla fine della conferenza con le regole per consentire ai paesi interessati di fare le prime richieste di indennizzo, coordinandole con gli altri meccanismi previsti per l’adattamento.
5. La parte più complessa dei negoziati, ma ormai necessaria secondo la maggior parte degli osservatori, riguarderà lo sviluppo di procedure e protocolli per passare dalla teoria degli accordi e delle dichiarazioni di intenti alla pratica.

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si salutano durante una sessione preparatoria della COP30 a Belém, Brasile, il 6 novembre 2025 (AP Photo/Fernando Llano)
E l’Unione Europea?
Dopo rinvii e qualche fallimento nelle trattative, a pochi giorni dall’inizio della COP30 l’Unione Europea è riuscita ad aggiornare i propri impegni climatici. Ha confermato di voler ridurre le emissioni di gas serra del 55 per cento entro il 2030, rispetto al 1990, e ha indicato un accordo politico per arrivare al 90 per cento entro il 2040, ma con numerose clausole che di fatto indeboliscono la portata dell’impegno. Ogni due anni gli impegni saranno riesaminati. In molti hanno segnalato che una quota pari al 5 per cento di riduzione è collegata ai molto criticati meccanismi di crediti di carbonio, quindi alla compravendita di riduzioni fatte da altri paesi.
Intanto in Cina
La Cina, il paese che produce in assoluto più emissioni di gas serra, ha annunciato un piano per ridurle del 7-10 per cento entro il 2035, rispetto al picco che il paese ritiene di raggiungere nel prossimo decennio. Al di là degli impegni, la Cina sta concretamente lavorando per espandere il più possibile la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come l’eolico e il solare, intervenendo inoltre sulla transizione energetica del settore dei trasporti favorendo i veicoli elettrici a quelli con motore termico. Il paese è però ancora fortemente dipendente dal carbone, la cui combustione ha un forte impatto sull’ambiente.
Scadenze
I lavori della COP30 iniziano ufficialmente lunedì 10 novembre e proseguiranno fino a venerdì 21 novembre. Come negli ultimi anni, è possibile che la scadenza slitti di qualche ora, se non di qualche giorno, a causa delle difficoltà che spesso emergono nel preparare un documento finale condiviso.



