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  • Sabato 8 novembre 2025

Con i dazi di Trump abbiamo scherzato?

La Corte Suprema potrebbe stabilire presto che il presidente non poteva imporli, cancellando tutto quello di cui parliamo da mesi

La faccia di Trump esposta sulla facciata del dipartimento dell'Agricoltura a Washington, giugno 2025
La faccia di Trump esposta sulla facciata del dipartimento dell'Agricoltura a Washington, giugno 2025 (Kevin Carter/Getty Images)
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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha cominciato questa settimana le udienze su un caso che potrebbe portare alla cancellazione della gran parte dei dazi decisi dall’amministrazione del presidente Donald Trump contro i paesi stranieri. Trump lo ha definito «uno dei casi più importanti della storia del nostro paese»: è un’esagerazione, ma se la Corte invalidasse gran parte dei dazi imposti finora, e ridimensionasse il potere del presidente di imporne di nuovi, le conseguenze potrebbero essere davvero rilevanti.

Per esempio, se la Corte decidesse contro i dazi è probabile che il governo dovrà rimborsare alle aziende statunitensi tutti gli introiti ottenuti finora. Secondo le stime, gli Stati Uniti hanno incassato tra i 90 e i 140 miliardi di dollari grazie ai dazi, ma poiché la sentenza definitiva potrebbe arrivare tra settimane o mesi, durante i quali dazi rimarranno in vigore, la somma da restituire potrebbe arrivare a centinaia di miliardi di dollari o perfino a mille miliardi, secondo una stima fatta circolare dall’amministrazione.

Il caso discusso dalla Corte Suprema riguarda la possibilità che per imporre i dazi Trump abbia abusato del proprio potere usando una legge del 1977, l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA). Questa prevede che, davanti a «una minaccia fuori dal normale o straordinaria» alla sicurezza nazionale o all’economia statunitense, il presidente possa imporre un’emergenza nazionale e ottenere il potere di «regolamentare… le importazioni e le esportazioni».

Lo IEEPA non menziona mai la parola «dazi», e con ogni probabilità i legislatori degli anni Settanta pensavano a embarghi o blocchi commerciali quando si riferivano al potere del presidente di regolare il commercio. Trump invece ha sostenuto che la legge gli dia il potere di imporre dazi, a causa di quella che lui ritiene un’emergenza nazionale dovuta agli squilibri commerciali (cioè al fatto che gli Stati Uniti importano più merci di quante ne esportano). È il primo presidente a usare lo IEEPA per imporre dazi.

Su queste basi, Trump ha fatto ricorso allo IEEPA per imporre i dazi cosiddetti «reciproci» contro gran parte del mondo, comprese l’Unione Europea e la Cina; e i dazi «sui traffici», cioè quelli contro Messico, Cina e Canada, accusati di non aver ostacolato a sufficienza la diffusione del fentanyl, un oppioide molto potente.

Il famoso cartellone con cui Trump mostrò i suoi «dazi reciproci», 2 aprile 2025

Il famoso cartellone con cui Trump mostrò i suoi «dazi reciproci», 2 aprile 2025 (AP Photo/Mark Schiefelbein, File)

La causa arrivata alla Corte Suprema è stata intentata da gruppi di piccoli imprenditori e da alcuni stati statunitensi. Sostengono che lo IEEPA non dia a Trump il potere di imporre dazi, e quindi quelli decisi finora sarebbero illegali e da annullare. A giudicare dalla prima udienza, avvenuta mercoledì, i nove giudici della Corte (sei dei quali nominati da presidenti Repubblicani) sembrano d’accordo e si sono dimostrati scettici sull’utilizzo dello IEEPA da parte dell’amministrazione Trump.

La prima critica dei giudici riguarda l’idea che si possano definire gli squilibri commerciali denunciati da Trump come un’«emergenza nazionale» suscettibile di misure straordinarie. La giudice Amy Coney Barrett, nominata da Trump nel 2020, ha detto all’avvocato dell’amministrazione: «Quindi voi ritenete che tutti i paesi debbano subire dazi perché costituiscono una minaccia alla difesa e all’industria americane? Davvero? Anche la Spagna o la Francia?».

Il secondo elemento di discussione riguarda la natura stessa dei dazi: secondo l’amministrazione sono misure commerciali, dunque consentite dallo IEEPA; secondo i querelanti sono invece delle tasse, che lo IEEPA non può autorizzare. Anche in questo caso la maggior parte dei giudici è sembrata concordare con l’idea che i dazi siano delle tasse, che è poi la loro definizione più comune (i dazi sono solitamente considerati come imposte che le aziende di un paese devono pagare allo stato per importare certi beni dall’estero). L’avvocato dell’amministrazione ha negato questa interpretazione, e ha detto che anche se è vero che grazie ai dazi lo stato ha incassato decine di miliardi di dollari, si è trattato di entrate «accidentali».

Il terzo elemento, collegato al secondo, è che se davvero l’amministrazione Trump ha imposto delle tasse, ha usurpato i poteri del Congresso, al quale la Costituzione degli Stati Uniti attribuisce esplicitamente il ruolo di imporre e riscuotere le imposte.

– Leggi anche: Cosa sono e come funzionano i dazi

Una manifestazione contro Trump in Corea del Sud, 25 ottobre 2025. Sul cartello c'è scritto: «Questa è una rapina, non un negoziato»

Una manifestazione contro Trump in Corea del Sud, 25 ottobre 2025. Sul cartello c’è scritto: «Questa è una rapina, non un negoziato» (AP Photo/Ahn Young-joon)

Ci vorrà ancora tempo prima di arrivare a una sentenza, e le idee dei giudici potrebbero cambiare. Ma se davvero la Corte Suprema deciderà che i dazi imposti con lo IEEPA sono illegali, significa che tre quarti dei dazi decisi finora da Trump saranno annullati, compresi tutti quelli più pesanti contro Cina, Europa, India, Giappone e altri paesi. Come dicevamo, è anche possibile che le aziende statunitensi (che sono quelle che materialmente pagano il dazio) debbano essere rimborsate.

Trump ha a disposizione altre leggi e regolamenti oltre allo IEEPA per imporre dazi: per esempio quest’anno ha usato una legge del 1962 (il Trade Expansion Act, e in particolare la Sezione 232) per mettere dazi su acciaio, alluminio e componenti per automobili. Di fatto, con un po’ di fatica, Trump potrebbe ricostituire molti dei dazi eventualmente annullati dalla Corte Suprema. Ma per essere attivata la Sezione 232 ha bisogno di un’indagine del dipartimento del Commercio, che richiede mesi. Altre leggi impongono limiti di tempo: per esempio il Trade Act del 1974 gli consentirebbe di imporre dazi fino al 15 per cento, ma solo per 150 giorni (molti di quelli che ha imposto finora sono più alti e senza limiti di tempo).

Senza lo IEEPA, Trump perderebbe il potere di mettere dazi con effetto immediato, senza limitazioni né controlli esterni, e perderebbe quindi una parte importante della sua forza nei negoziati con altri paesi: un conto è mettere dazi immediati, un altro è minacciare dazi che però entreranno in vigore solo dopo mesi, o con limitazioni di vario tipo.

C’è anche il problema che Trump ha già concluso vari accordi con vari paesi – l’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud, e molti altri – che avevano fatto grosse concessioni commerciali per via della minaccia dei dazi. Ma se la minaccia dovesse venire meno, o essere ridotta, è probabile che questi accordi saranno rinegoziati, e che diventino meno convenienti per gli Stati Uniti.

– Leggi anche: I dazi di Trump sono sempre più politici