Come sta l’Amazzonia
Se ne parlerà alla COP30 di Belém: con il governo brasiliano di Lula la deforestazione sta rallentando, ma la situazione resta preoccupante

L’Amazzonia sarà uno degli argomenti principali di cui si discuterà alla COP30, cioè la 30esima conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che inizia lunedì. Un po’ perché la conferenza si svolge a Belém, in Brasile, una città che si trova proprio sul limitare dell’Amazzonia, e un po’ perché la foresta amazzonica rimane uno degli ecosistemi più importanti della Terra: la sua protezione è da decenni discussa e ritenuta fondamentale, ma le sue condizioni continuano a essere preoccupanti e in peggioramento.
L’Amazzonia è la più grande foresta pluviale tropicale del mondo. Si estende per 6 milioni di chilometri quadrati e costituisce circa la metà di tutte le foreste pluviali ancora esistenti sulla Terra; ha un ecosistema estremamente diversificato, conta oltre 16mila specie di piante e si stima che nel complesso ospiti oltre 390 miliardi di alberi. La sua preservazione è essenziale non solo per tutelare la vita delle migliaia di specie che la popolano, ma anche per preservare il suo contributo alla regolazione del clima e alla riduzione dei gas serra.
Da decenni, tuttavia, l’Amazzonia è minacciata dalla deforestazione, che avviene in grandissima parte per cause umane: le persone tagliano gli alberi per ottenere terreni da trasformare in campi, pascoli o luoghi dove abitare. È una tendenza cominciata negli anni Sessanta e proseguita in modo sempre più veloce fino agli anni Duemila, quando presero piede grandi campagne pubbliche per proteggere la foresta e fermarne la distruzione.

Un incendio nella foresta amazzonica, ottobre 2023 (AP Photo/Edmar Barros, File)
Secondo uno studio non ancora pubblicato ma citato da Le Monde, tra il 1985 e il 2022 la foresta amazzonica ha perso circa l’11 per cento della sua estensione, che corrisponde più o meno alla superficie dell’intera Francia.
Il Brasile, sul cui territorio si trova il 60 per cento dell’Amazzonia, è in una situazione ancora più precaria, perché in 40 anni ha perso il 17 per cento della sua foresta. Anche per questo, molta dell’attenzione pubblica negli scorsi decenni si è concentrata sulle politiche del governo brasiliano. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale del Brasile (INPE), tra il 2004 e il 2012 (quando il paese fu in gran parte governato dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva, di sinistra) la deforestazione si ridusse dell’80 per cento, grazie a una serie di misure pubbliche molto efficaci che hanno da un lato prevenuto e punito gli incendi illegali per disboscare, e dall’altro fornito ad allevatori e agricoltori mezzi di sussistenza e guadagno alternativi.
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Le cose sono peggiorate tra il 2019 e il 2022 durante la presidenza di Jair Bolsonaro, un populista di estrema destra molto vicino agli interessi dei grandi allevatori di bestiame. Bolsonaro ridusse i controlli e le sanzioni contro le società coinvolte nella deforestazione illegale, provocando un nuovo aumento del fenomeno. Le cose sono migliorate a partire dal 2023, con il ritorno alla presidenza di Lula: soltanto nei primi sei mesi del 2023 l’area deforestata in Brasile diminuì del 33,6 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e la situazione ha continuato a migliorare anche negli anni successivi.
Nonostante questo la deforestazione continua, e le condizioni dell’Amazzonia peggiorano. Per esempio alcuni studi hanno cominciato a mettere in dubbio l’idea che l’Amazzonia assorba grandi quantità di CO2, contribuendo così a ridurre l’effetto serra e il riscaldamento dell’atmosfera. Gli studi sono parzialmente contraddittori, anche perché è molto difficile fare misurazioni conclusive, ma tutti concordano che lo storico ruolo di “serbatoio di carbonio” che la foresta ha svolto a lungo sia ormai in piena crisi. Secondo alcuni, la foresta avrebbe cominciato – soprattutto a causa dei frequenti incendi, molti dei quali avvengono per cause umane – a emettere più CO2 di quanta ne assorba, almeno in alcune aree e nei periodi di grandi incendi o forte siccità.
Si parla inoltre da tempo del rischio che l’Amazzonia raggiunga il cosiddetto punto di non ritorno, cioè la soglia oltre la quale inizierà un processo che la vedrà sostanzialmente autodistruggersi in un modo forse irreversibile. L’idea è che più la deforestazione va avanti, più l’Amazzonia rischia di arrivare a un punto in cui il suo delicato ecosistema non sarà più in grado di autosostenersi, e finirà per crollare in una specie di effetto domino. Per ora è solo una teoria, su cui manca il consenso scientifico, e non si sa se avverrà davvero ed eventualmente quanto ci siamo vicini.



