Come funziona il referendum confermativo
Visto che ce ne sarà uno sulla riforma della giustizia, forse in primavera: tra le altre cose non è previsto un quorum

I partiti di maggioranza e una parte di quelli di opposizione hanno presentato alla Camera due richieste per indire un referendum sulla riforma costituzionale della giustizia approvata giovedì dal parlamento, su proposta della maggioranza di destra. Era ampiamente atteso che lo facessero: è un passaggio previsto e in un certo senso incentivato dalla Costituzione per le riforme costituzionali che vengono approvate dal parlamento con una maggioranza risicata.
La procedura di approvazione delle leggi che integrano o modificano la Costituzione è descritta nell’articolo 138 della stessa Costituzione. Il parlamento deve approvarle in due diverse sessioni, quindi con un totale di quattro votazioni – due alla Camera e due al Senato – invece delle due previste per le leggi ordinarie, una alla Camera e una al Senato. Tra le due sessioni devono trascorrere almeno tre mesi, per fare in modo che le modifiche alla Costituzione non vengano approvate di fretta o sull’onda emotiva di qualche evento, e che in questo tempo possa svilupparsi un dibattito più ampio tra i parlamentari e nell’opinione pubblica.
Se nella terza e quarta votazione la legge costituzionale viene votata in entrambe le camere con una maggioranza superiore ai due terzi degli aventi diritto (400 deputati e 200 senatori), viene automaticamente approvata: viene quindi pubblicata in Gazzetta Ufficiale e poi promulgata dal presidente della Repubblica.
Se invece i voti favorevoli superano la metà ma non arrivano ai due terzi, la legge viene comunque pubblicata in Gazzetta Ufficiale ma può essere sottoposta a un referendum, chiamato “confermativo”. È questo il caso della riforma della giustizia appena approvata, che alla Camera ha ottenuto 243 voti favorevoli su 400 deputati, e al Senato 112 voti su 200 senatori, ben lontana dalla soglia dei due terzi soprattutto al Senato.
La richiesta di tenere un referendum confermativo va avanzata entro i tre mesi successivi alla pubblicazione della legge in Gazzetta. Perché sia ritenuta valida servono le firme di 500mila elettori ed elettrici, o di un quinto dei membri di una camera, oppure ancora di cinque consigli regionali. Non sono soglie impossibili, soprattutto la soglia fissata per la raccolta di firme fra parlamentari. Se nessuno presenta una richiesta nei tempi previsti, la legge viene promulgata automaticamente.
Se invece si procede con la richiesta, bisogna raccogliere le firme. Successivamente i moduli con le firme vengono sottoposti al controllo dell’Ufficio centrale per il referendum (un organo interno alla Corte di Cassazione), che a sua volta ha 30 giorni per accertare se la richiesta rispetta i requisiti di legge. Per esempio verifica che le firme dei parlamentari o dei cittadini siano state raccolte correttamente.
Se la Cassazione non riscontra irregolarità, il Consiglio dei ministri chiede ufficialmente al presidente della Repubblica di indire il referendum. Il presidente ha 60 giorni di tempo per farlo, attraverso un decreto. Il voto viene fissato in una delle domeniche comprese tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo al decreto del presidente della Repubblica.
Un punto importante. Nel caso del referendum costituzionale (a differenza di quanto succede nei referendum abrogativi), non è necessario il quorum, cioè non serve che vada a votare più della metà dei cittadini aventi diritto: per far passare la legge sarà sufficiente che ci sia la maggioranza del “sì” tra chi andrà a votare.
Dal 1948 (anno della sua entrata in vigore) a oggi ci stati 45 interventi normativi sulla Costituzione. In 16 casi riguardavano soprattutto l’attuazione e le modifiche degli statuti regionali, o la definizione dei mandati di alcune istituzioni della Repubblica. Sono state quasi sempre approvate con un consenso largo e trasversale in parlamento.
Le modifiche vere e proprie alla Costituzione sono state invece 20. Le ultime quattro volte in cui il governo e la maggioranza parlamentare hanno cercato di introdurre modifiche sostanziali, è sempre stato chiesto il referendum confermativo: nel 2016 e nel 2006 gli elettori e le elettrici respinsero la proposta di revisione, nel 2001 e nel 2020 invece la approvarono.
La riforma appena approvata dal parlamento introdurrebbe la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti, ovvero i pubblici ministeri (pm) che svolgono le indagini, e dei magistrati giudicanti, cioè i giudici. Prevede anche la separazione del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno dei magistrati, che si sdoppierebbe in un CSM per i giudici e uno per i pm. Sono temi molto tecnici di cui la destra e il centrosinistra discutono da anni, non particolarmente ideologici: soprattutto nel centrosinistra ci sono esponenti favorevoli ad alcuni pezzi della riforma.
Nei giorni scorsi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha anticipato che il risultato del voto non avrà conseguenze sulla stabilità del governo. Secondo diversi commentatori in questo modo Meloni vuole evitare la scommessa politica compiuta nel 2016 dall’allora primo ministro Matteo Renzi, che promosse una riforma costituzionale con cui voleva, tra le altre cose, differenziare le funzioni delle due camere e ridurre il numero dei parlamentari.
Renzi legò esplicitamente il risultato del referendum alla sua permanenza al governo e fu costretto a dimettersi dopo che vinse il “no”. In realtà è molto probabile che il referendum della prossima primavera finisca per essere un voto significativo, soprattutto considerando la sua vicinanza alle elezioni politiche del 2027.

Matteo Renzi in un comizio a Firenze a sostegno del “sì” per il referendum costituzionale del dicembre 2016 (Ufficio stampa di Palazzo Chigi via ANSA/Tiberio Barchielli)



