Il “Grande Slam del cinema” facendo i film di nascosto

Esce “Un semplice incidente”, con il quale l'iraniano Jafar Panahi aveva vinto l'ultimo dei grandi festival che gli mancava, nonostante il divieto del regime

Jafar Panahi a Cannes nel 2025. (Scott A Garfitt/Invision/AP, File)
Jafar Panahi a Cannes nel 2025. (Scott A Garfitt/Invision/AP, File)
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La vittoria della Palma d’oro lo scorso maggio all’ultimo festival di Cannes con il film Un semplice incidente, in uscita giovedì nei cinema italiani, ha reso il regista iraniano Jafar Panahi la seconda persona nella storia del cinema ad aver vinto il primo premio nei quattro principali festival europei, che sono anche i più importanti del mondo: Cannes, Venezia, Berlino e Locarno. A Venezia, Panahi aveva vinto nel 2000 con Il cerchio, a Berlino nel 2015 con Taxi Teheran, a Locarno nel 1997 con Lo specchio.

Non esiste una definizione per questo traguardo, ma con una forzatura lo si potrebbe considerare l’equivalente cinematografico di quello che nel tennis è il Grande Slam, la vittoria dei quattro tornei più importanti (in quel caso, però, nello stesso anno solare), o qualcosa di simile all’EGOT americano (l’aver vinto in carriera un Emmy, un Grammy, un Oscar e un Tony Award). Prima di Panahi solo un altro regista aveva vinto questi quattro premi nella sua carriera: Michelangelo Antonioni, con Il grido (1957), La notte (1961), Il deserto rosso (1964) e Blow-Up (1967).

L’eccezionalità di Jafar Panahi sta anche nel fatto che due di questi premi (l’Orso d’oro per Taxi Teheran e la Palma d’oro per Un semplice incidente) sono stati vinti con film girati di nascosto, cioè senza comunicarlo alle autorità iraniane, in molti casi senza farsi vedere e soprattutto senza inviare la sceneggiatura alla commissione che deve controllare e approvare qualsiasi produzione.

Questo atteggiamento ha fruttato a Panahi più di vent’anni di vessazioni, due incarcerazioni diverse (una delle quali con permanenza in isolamento), un divieto ventennale di girare film che evidentemente non ha rispettato e un altro di viaggiare che è stato costretto a rispettare fino alla scadenza nel 2023. Questo non lo ha fermato: dal 2009 a oggi ha girato sei lungometraggi e vari cortometraggi che, insieme alle opere di altri registi iraniani, sono stati alcuni dei film internazionali più apprezzati di questi anni.

La trama di Un semplice incidente parte dal medesimo spunto di La morte e la fanciulla, il film di Roman Polanski tratto dall’opera teatrale di Ariel Dorfman: a seguito di un semplice incidente stradale, un uomo porta a riparare la propria auto; dal rumore che fa la protesi della sua gamba, il meccanico riconosce in lui un uomo dei servizi segreti che lo aveva torturato. Quindi lo rapisce, lo porta nel deserto ed è pronto a seppellirlo vivo per vendicarsi; quando l’uomo nega di essere stato il suo aguzzino con tutte le sue forze, però, il meccanico è preso da un dubbio.

Da qui il film prende una strada autonoma e diventa una commedia. Per avere la certezza vengono coinvolti altri compagni e compagne di carcere che avranno opinioni diverse, e una serie di eventi intrecciati farà sfociare tutto nel paradosso. Quello di cui si ride durante Un semplice incidente non è la dittatura, né le torture o la prigionia, ma il contrasto tra una situazione tragica e lo spirito e l’umanità degli iraniani, che sembrano impossibili da soffocare. Nonostante possa sembrarlo, la storia non ha niente a che fare con le vicende della vita di Panahi.

Una parte del film è girata in zone desertiche e isolate, dove è più semplice allestire un set senza essere visti; un’altra parte al chiuso per le stesse ragioni. Sono le soluzioni più intuitive per girare di nascosto. Ma ci sono anche scene in città e per strada. In Gli orsi non esistono (il suo penultimo film), Panahi interpretava se stesso mentre dirige un film via Zoom, da un luogo remoto nelle montagne, comunicando con la sua troupe che gli mostra il set e gli fa sentire come recitano gli attori, consentendogli di fare correzioni. Adesso che può concedere interviste, Panahi ha anche spiegato che un segreto per fare i film proibiti in Iran sta nel non sembrare una troupe professionale, avere poche persone, girare in fretta e «non farsi notare».

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Nel 2015, per girare Taxi Teheran, Panahi nascose una videocamera nel cruscotto di un’auto che guidò in prima persona in giro per la città, interpretando così il protagonista del film. La trama era portata avanti facendo entrare e uscire gli attori dalla macchina, come se entrassero e uscissero di scena: tutto nascosto, ma anche alla luce del giorno. A un certo punto una bambina gli spiega le regole a cui bisogna adeguarsi perché un film sia approvato, e Panahi commenta che ciò che si è visto nella scena precedente probabilmente non è per nulla conforme.

A differenza di quanto avviene in altri paesi, infatti, l’Iran non censura solo i film che promuovono la sovversione, ma ha una lista di altri divieti: uomini e donne che non sono sposati o parenti non possono toccarsi, e non si possono mostrare baci o sesso nemmeno tra persone sposate; le donne devono sempre indossare il velo, anche nelle scene ambientate in casa (dove potrebbero stare senza) perché il cinema è uno spazio pubblico; i personaggi positivi devono avere i nomi dei profeti, portare la barba e vestirsi tradizionalmente; non si può discutere di politica; non si può criticare l’Iran né lo si può mettere in cattiva luce; non si può criticare la religione; non si può consumare alcol; non si può rappresentare la violenza esplicita.

Nonostante Panahi sia quello che The Hollywood Reporter ha definito «il dissidente più acclamato del mondo», e nonostante film che affrontano questioni politiche vengano spesso premiati ai festival, Un semplice incidente è stato ancora più acclamato del solito, ed è considerato uno dei suoi film migliori. Parte dell’audacia sta nella scelta di creare una storia intorno a una questione drammatica, ma di scegliere il tono della commedia e tenere tutto in equilibrio. Specialmente nel cinema d’autore è più scontato raccontare il dramma con il dramma e, al di fuori dell’Italia – dove la commedia è molto spesso il registro delle storie drammatiche, come ha dimostrato ultimamente C’è ancora domani–, è più difficile che per raccontare cose importanti e serie si rida.

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Potendo ora viaggiare, Jafar Panahi a maggio era andato a Cannes per accompagnare il proprio film a un festival per la prima volta dal 2009. 48 ore dopo la cerimonia di premiazione, era di nuovo in Iran. A differenza di molti suoi colleghi, infatti, non ha nessuna intenzione di lasciare il paese. Ora è in giro per il mondo per presenziare e fare interviste in occasione dell’uscita del suo film nei vari territori ma, ha spiegato, una volta finito questo tour tornerà di nuovo in Iran.

Non è chiaro cosa possa accadergli: il governo di certo segue da vicino la questione. Quando Un semplice incidente ha vinto la Palma d’oro, il ministro per l’Europa e gli Affari esteri francese Jean-Noël Barrot l’ha definito «un gesto di resistenza contro l’oppressione»; in risposta, il ministro degli Esteri iraniano ha convocato il capo della missione diplomatica francese a Teheran per lamentare il fatto che la Francia non abbia «nessuna autorità morale» per dare lezioni all’Iran sui diritti umani perché avrebbe compiuto anche lei «numerose violazioni» nella sua storia.

Lo stesso Panahi ha spiegato di non avere nessuna intenzione di scappare dal suo paese e di voler sia continuare a vivere lì, sia continuare a fare film come li ha sempre fatti, senza sottoporli al controllo dello stato («tanto non li approverebbero comunque»). Interrogato riguardo ai timori di conseguenze per tutta questa promozione mondiale di un film considerato sovversivo e illegale in Iran, ha risposto di non averne: «Cosa mi potrebbero fare che non mi hanno già fatto? Mettermi in prigione di nuovo? Quando uscirò farò un altro film».