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  • Martedì 4 novembre 2025

Israele non si è più ripreso dall’assassinio di Yitzhak Rabin

Il primo ministro israeliano che firmò gli accordi di Oslo con i palestinesi fu ucciso 30 anni fa, e da allora la pace è sempre più lontana

Una donna alla manifestazione a Tel Aviv in commemorazione di Yitzhak Rabin, 1° novembre 2025
Una donna alla manifestazione a Tel Aviv in commemorazione di Yitzhak Rabin, 1° novembre 2025 (AP Photo/Ariel Schalit)
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Sabato sera a Tel Aviv, in Israele, 150 mila persone hanno partecipato a una manifestazione per commemorare Yitzhak Rabin, l’ex primo ministro israeliano che iniziò il processo di pace con i palestinesi e per questo fu ucciso da un estremista ebraico trent’anni fa, il 4 novembre del 1995. I manifestanti si sono trovati in piazza Rabin, nel centro della città: prima di essere dedicata a lui quella piazza si chiamava piazza dei Re d’Israele, e fu il luogo dove Rabin tenne il suo ultimo comizio politico in favore della pace.

Il magazine americano New Yorker ha definito quello di Rabin «uno degli omicidi politici più efficaci della storia». In effetti il suo assassino, l’estremista Yigal Amir, ottenne tutti gli obiettivi che si era prefissato: nel giro di poco tempo il processo di pace con i palestinesi fallì, e la destra religiosa accumulò sempre più influenza. Molti dei personaggi che oggi hanno un ruolo centrale nella politica israeliana e nella guerra nella Striscia di Gaza ebbero un ruolo anche nei fatti che portarono all’assassinio di Rabin, compreso il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Un manifesto che raffigura Rabin a Tel Aviv nel 2015

Un manifesto che raffigura Rabin a Tel Aviv nel 2015 (AP Photo/Oded Balilty)

Benché oggi sia noto soprattutto per aver cominciato il processo di pace con i palestinesi e per la storica foto della stretta di mano con Yasser Arafat, che era il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yitzhak Rabin era anzitutto un militare. Nel 1948 partecipò come ufficiale dell’esercito israeliano alla guerra che portò alla nascita dello stato di Israele, e che per centinaia di migliaia di palestinesi coincide con la nakba (“catastrofe” in arabo), cioè l’espulsione forzata e violenta dalle proprie terre.

– Leggi anche: La cronologia del conflitto israelo-palestinese

Rabin stesso partecipò alla nakba, e tra le altre cose ordinò l’espulsione di oltre 50mila persone palestinesi dalle cittadine di Lydda e Ramle: centinaia di civili furono uccisi dall’esercito israeliano, e altre centinaia morirono di stenti o di sete mentre cercavano di raggiungere a piedi la Giordania, in piena estate.

Rabin era capo di stato maggiore delle forze armate israeliane quando nel 1967 cominciò la guerra dei Sei Giorni, chiamata così perché in appena sei giorni Israele sbaragliò gli eserciti dei paesi arabi vicini e occupò importanti territori, tra cui la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Questa vittoria rese Rabin un eroe nazionale agli occhi degli israeliani.

Rabin e David Ben Gurion a Gerusalemme dopo la vittoria nella Guerra dei sei giorni

Rabin (con l’elmetto) a Gerusalemme dopo la vittoria nella Guerra dei sei giorni (Hulton Archive/Getty Images)

Dopo essersi ritirato dall’esercito Rabin ebbe numerosi ruoli politici di alto rilievo. Alla fine degli anni Ottanta in Palestina cominciò la prima Intifada, una sollevazione di massa della popolazione palestinese contro l’occupazione israeliana. Rabin, che allora era ministro della Difesa, ordinò all’esercito di «spaccare le ossa» ai manifestanti. I fallimenti di Israele nel reprimere l’Intifada, però, cominciarono a fargli cambiare idea. Durante una riunione del Partito Laburista (il suo partito di centrosinistra) disse di avere imparato durante l’Intifada che «non si può dominare con la forza su mezzo milione di palestinesi».

La sua fama di ex militare duro e intransigente sulla sicurezza di Israele diede a Rabin la credibilità presso il pubblico israeliano per avviare un processo di pace che culminò negli storici accordi di Oslo del 1993, con cui per la prima volta Israele e Palestina si riconobbero come legittimi interlocutori. Il dibattito sugli accordi di Oslo è ancora oggi molto vivace, soprattutto perché si trattava soltanto della prima fase di un processo di pace che avrebbe dovuto essere molto più lungo, ma che si interruppe. Tra le altre cose Israele non ha mai riconosciuto formalmente la legittimità di uno stato palestinese, ma solo dell’Autorità Nazionale Palestinese. In ogni caso, per i loro sforzi per la pace Rabin e Arafat vinsero il Premio Nobel nel 1994.

La storica foto della stretta di mano tra Rabin e Arafat a Washington, davanti al presidente americano Bill Clinton

La storica foto della stretta di mano tra Rabin e Arafat a Washington, davanti al presidente americano Bill Clinton (Cynthia Johnson/Getty Images)

La firma degli accordi di Oslo provocò un’enorme aumento della violenza: i gruppi palestinesi islamisti come Hamas e il Jihad Islamico cominciarono a fare attentati esplosivi in Israele per generare terrore nell’opinione pubblica israeliana e indurla a posizionarsi contro la pace. Ma anche la destra israeliana, sia quella religiosa sia quella secolare, si rivoltò contro Rabin, accusandolo di tradire lo stato di Israele e di voler cedere terre ai palestinesi.

– Leggi anche: Cosa furono gli accordi di Oslo

Al tempo Benjamin Netanyahu era a capo del Likud, il principale partito della destra israeliana, e criticò Rabin ferocemente. Nel luglio del 1995 Netanyahu organizzò una manifestazione in cui si mise a capo di un corteo che trasportava un cappio e una bara nera, destinati a Rabin. Un mese prima della sua uccisione partecipò a un’altra manifestazione in cui per ore i partecipanti cantarono: «Morte a Rabin».

Una manifestazione contro Rabin, settembre 1993

Una manifestazione contro Rabin, settembre 1993 (David Rubinger/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Come ha raccontato tra gli altri la giornalista Cecilia Sala nel suo ultimo libro, I figli dell’odio, pochi giorni prima dell’assassinio di Rabin un giovane attivista dell’estrema destra religiosa riuscì a strappare il logo dalla sua auto di stato, e disse in televisione: «Se siamo arrivati all’auto del primo ministro, possiamo arrivare anche a lui!». Il giovane attivista era Itamar Ben Gvir, l’attuale ministro della Sicurezza nazionale noto per le sue posizioni estremiste e ostili alla popolazione palestinese, nonché uno dei principali alleati di Netanyahu.

A uccidere Rabin fu però Yigal Amir, un altro attivista dell’estrema destra religiosa poco noto all’intelligence. Per anni si discusse della possibilità che i servizi d’intelligence israeliani avrebbero potuto accorgersi di lui e fermarlo, anche perché Amir parlava abbastanza liberamente del suo piano di uccidere il primo ministro. Le indagini non hanno mai portato a niente.

L’assassinio avvenne la sera del 4 novembre 1995. A piazza dei Re d’Israele era stata organizzata una manifestazione a favore del processo di pace, a cui parteciparono più di 100mila persone. Dal palco, Rabin disse: «Ho sempre creduto che la maggior parte delle persone voglia la pace e sia pronta a correre dei rischi per averla». Poi, assieme al suo ministro degli Esteri Shimon Peres e alla cantante Miri Aloni, cantò Shir LaShalom, il cui titolo vuol dire: Una canzone per la pace.

Quando scese dal palco per entrare nella sua auto, Yigal Amir gli si avvicinò e gli sparò alla schiena. Rabin morì meno di due ore dopo in ospedale. In seguito fu ritrovato nella tasca della sua giacca il foglio macchiato di sangue con il testo stampato di Shir LaShalom. Rabin aveva 73 anni.

Yigal Amir fu arrestato immediatamente e quando seppe che Rabin era morto chiese di poter brindare. Fu condannato all’ergastolo.

Il testo imbrattato di sangue di Shir Lashalom

Il testo imbrattato di sangue di Shir LaShalom (David Rubinger/CORBIS/Corbis via Getty Images)

Il successore di Rabin come primo ministro fu Shimon Peres, il secondo in grado dentro al Partito Laburista. Peres indisse nuove elezioni nel 1996, sperando di ottenere un mandato popolare per proseguire il processo di pace con i palestinesi. Ma le vinse a sorpresa Netanyahu che da allora, con poche interruzioni, ha continuato a dominare la politica israeliana. Netanyahu bloccò il processo di pace, mentre i continui attentati di Hamas allontanarono l’opinione pubblica israeliana dall’idea della convivenza con i palestinesi.

– Ascolta Globo: Una proposta radicale per il futuro della Palestina

Da allora molti storici si sono chiesti se davvero Rabin sarebbe stato in grado, se non fosse stato assassinato, di portare la pace tra israeliani e palestinesi. Molti sono scettici. Gli accordi di Oslo rimandavano a discussioni successive tanti degli elementi più complicati del rapporto tra i due popoli, come lo status giuridico della città di Gerusalemme, che entrambi i paesi rivendicavano come propria capitale, e il destino degli insediamenti legali dei coloni israeliani in Cisgiordania. Al tempo stesso, né prima né dopo israeliani e palestinesi arrivarono tanto vicini alla pace.

Il funerale di Rabin

Il funerale di Rabin (Peter Turnley/Corbis/VCG via Getty Images)