Le aziende che producono energia contro quelle che ne consumano molta
Dopo mesi di accuse si sono accordate per abbassare i prezzi, ma tutto è reso incerto da una grossa questione: le concessioni idroelettriche

Dopo mesi di dibattito a tratti piuttosto teso, le aziende che producono energia si sono dette disposte a intervenire per far diminuire il prezzo dell’energia venduta alle aziende energivore, ovvero quelle che ne consumano moltissima. L’accordo è stato definito storico, ma entrerà in vigore solo a una condizione, e cioè che le concessioni idroelettriche vengano rinnovate senza gare aperte alla concorrenza, come da tempo chiedono le aziende energetiche. Questo presupposto però non dipende da nessuna delle due parti in causa, ma dal governo e dall’Unione Europea, e per questo motivo l’accordo è tutt’altro che certo.
Il confronto tra produttori e grandi consumatori è interessante prima di tutto perché dal prezzo dell’energia dipendono buona parte della competitività delle aziende e lo sviluppo industriale dell’Italia. È importante anche perché entrambi hanno molta influenza sulla politica che deve decidere come intervenire sul mercato. Ma è interessante anche per un’anomalia, ovvero per gli scambi di accuse pubblici avvenuti negli ultimi mesi: aziende energetiche ed energivore infatti fanno parte della stessa associazione, Confindustria, da sempre attenta a mantenere riservatezza e sobrietà nei confronti interni. Stavolta non c’è riuscita.
Nell’ultimo anno le aziende energivore che producono soprattutto acciaio, carta e ceramica hanno chiesto più volte ai produttori di energia di condividere una parte dei profitti ottenuti negli ultimi tre anni grazie a un eccezionale aumento dei prezzi, lo stesso aumento che ha penalizzato le aziende energivore, ora molto in difficoltà. Arrivare a un compromesso è stato molto complicato.
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Il punto di partenza delle discussioni è sempre lo stesso da anni: le aziende italiane pagano l’energia molto di più rispetto alla concorrenza straniera. Secondo un’indagine pubblicata da Confindustria, in agosto il prezzo all’ingrosso è arrivato a 109 euro al megawattora, nello stesso mese in Germania era a 83 euro, in Francia a 34 euro grazie all’elevata disponibilità di energia nucleare, in Spagna a 61 euro sempre al megawattora.
Un grafico diffuso da Confindustria mostra che dal 2022 il prezzo dell’energia elettrica è stato sempre più alto in Italia rispetto ad altri grandi paesi europei. Nel 2024 le imprese italiane hanno pagato l’elettricità l’87 per cento in più rispetto alla Francia, il 70 per cento in più della Spagna e quasi il 40 per cento in più della Germania.
Una parte di questo divario dipende dalle tasse che in Italia sono molto alte, il 27,5 per cento del costo finale, quasi il doppio rispetto alla media europea. Il problema più sentito però riguarda il modo in cui viene calcolato il prezzo dell’energia elettrica, che per una serie di regole e meccanismi molto complicati dipende dal prezzo del gas, come avevamo spiegato più estesamente in questo articolo. Questa dipendenza assicura vantaggi soprattutto alle aziende che producono energia elettrica da fonti rinnovabili, che vendono a un prezzo dipendente dal gas, quindi più alto, ma con costi di produzione più bassi rispetto all’energia prodotta col gas.
Secondo i calcoli del “Tavolo della domanda di energia”, una sorta di associazione delle imprese energivore interna a Confindustria, meccanismi come la dipendenza dal prezzo del gas o il cosiddetto spread PSV-TTF, o ancora il sistema europeo delle quote di emissione di anidride carbonica chiamato ETS, causano alle imprese italiane extra costi stimati tra 45 e 50 euro al megawattora in più rispetto alle aziende straniere.
Gianni Vittorio Armani, presidente di Elettricità Futura, associazione legata a Confindustria che rappresenta oltre 530 aziende energetiche, ha detto invece in più occasioni che i profitti fatti negli ultimi anni non sono stati così eccezionali come è stato raccontato, e che i margini sono stati utilizzati per investimenti indispensabili a garantire la sicurezza delle centrali e prospettive a lungo termine.
In una recente intervista al Sole 24 Ore, Armani ha contestato in particolare le stime sui costi di produzione dell’energia idroelettrica, «più elevati di quanto non si creda». Elettricità Futura sostiene che l’energia idroelettrica sia per sua natura una tecnologia a prevalenza di costi alti e fissi e che richieda investimenti ingenti e costanti da parte degli operatori.
La produzione idroelettrica è centrale nella contesa tra aziende energetiche ed energivore.
A differenza di altri settori dove il mercato è concorrenziale, nell’idroelettrico moltissime concessioni per sfruttare un bene pubblico come l’acqua sono state firmate decenni fa e da allora non ci sono mai state gare. Dall’inizio degli anni Ottanta lo Stato ha prorogato le concessioni otto volte, consentendo alle aziende di incassare miliardi di euro.
Solo nel 2021 il governo di Mario Draghi promise di fare le gare inserendole tra gli obiettivi del PNRR, il grande piano di riforme e investimenti finanziato coi fondi europei. Finora però il governo di Giorgia Meloni ha cercato di rimandare la questione, anzi ha tentato di proporre alternative per prorogare ulteriormente le concessioni senza fare le gare. Una soluzione proposta dal governo per venire incontro alle aziende energetiche è stata chiamata “quarta via”: consiste in una trattativa tra le regioni e i gestori per riassegnare le concessioni senza una gara, ma a fronte di un aumento dei canoni e di un preciso piano di investimenti.
Tutti i tentativi di organizzare le gare fatti finora dalle regioni sono stati accompagnati da ricorsi presentati dalle aziende energetiche per ritardare il più possibile le procedure.
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Le aziende energivore sostengono un principio: siccome le concessioni idroelettriche continuano a essere rinnovate fuori dalle regole del mercato, allora anche l’energia prodotta deve essere ceduta fuori dalle regole del mercato, a prezzi controllati. Sulla base di questo principio, aziende energetiche ed energivore hanno discusso la cessione di una parte dell’energia prodotta dalle centrali a prezzo calmierato. È una misura chiamata idrorelease. Inizialmente si era parlato del 20% di energia ceduta, alla fine l’accordo è stato trovato al 15%.
L’idrorelease è una parte molto importante dell’accordo, ma dipende dall’approvazione della “quarta via”, al momento non così scontata. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, è comunque ottimista: «Sappiamo che serve il via libera di Bruxelles. E sappiamo che c’è un ulteriore elemento di complessità, perché sono le Regioni a dare le concessioni», ha detto al Corriere della Sera. «Ma a parte queste criticità c’è un elemento che definirei storico: è la prima volta che si trova un’intesa all’interno di Confindustria su interessi potenzialmente conflittuali come quelli di produttori e consumatori di energia».
Un altro intervento per limitare i prezzi consiste nel cosiddetto energy release, di cui la scorsa settimana è stato pubblicato il decreto attuativo. Questa misura prevede che le aziende possano comprare energia a un prezzo fisso e calmierato, 65 euro al megawattora, a fronte dell’impegno di costruire nuovi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. L’energy release era molto atteso dalle aziende energivore perché considerato l’unico modo concreto per limitare l’influenza del gas sui prezzi dell’energia elettrica, l’obiettivo conosciuto nel settore come “decoupling” o disaccoppiamento.
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Oltre all’approvazione della “quarta via”, le aziende energetiche e quelle energivore attendono l’approvazione di un’altra misura promessa dal governo, il decreto energia, che però ora è sparito dall’agenda per via di contrasti tra il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e il ministero dell’Agricoltura.
Dall’inizio dell’anno sia Elettricità Futura che il “Tavolo della domanda” hanno difeso le loro ragioni pubblicamente durante convegni o diffondendo note stampa, senza risparmiare critiche reciproche. Le aziende energivore hanno sostenuto più volte che l’ennesimo rinnovo delle concessioni idroelettriche sarebbe un privilegio, e hanno accusato le aziende energetiche di fare enormi profitti senza sforzi a danno delle aziende e della competitività italiana.
In un’intervista a Repubblica Gianni Vittorio Armani di Elettricità Futura ha detto che bisognerebbe preoccuparsi per le famiglie e non per le grandi aziende energivore «che hanno già molti aiuti e che oggi si lamentano perché sono in difficoltà». Negli ultimi mesi inoltre Elettricità Futura ha organizzato alcuni convegni in cui sono state messe in dubbio le stime degli extra costi fatte dal “Tavolo della domanda”, che ha risposto definendo le critiche dei produttori un’inaccettabile manipolazione.
La tensione tra le due parti è aumentata molto tra aprile e maggio, quando Repubblica ha scritto della presunta intenzione di Enel – iscritta a Elettricità Futura – di lasciare Confindustria, un’indiscrezione poi smentita dall’azienda. La mediazione è iniziata a fine maggio con l’assemblea di Confindustria: è stata poi portata avanti durante l’estate in particolare da Aurelio Regina, delegato per l’Energia di Confindustria, per riportare la calma e arrivare a questo primo accordo.



