I supermercati buttano via davvero un sacco di cibo

Anche se perfettamente commestibile, e succede a tutte le catene nonostante gli sforzi per donarlo o venderlo a prezzo scontato

Del formaggio viene affettato in un supermercato (Stefano Guidi/Getty Images)
Del formaggio viene affettato in un supermercato (Stefano Guidi/Getty Images)
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Da circa tre anni Giulia (il nome è di fantasia) compra molto meno cibo di prima. Non ha smesso per via di qualche dieta particolare: continua a mangiare come ha sempre fatto; e non ha nemmeno smesso di prenderlo dove normalmente lo fa la maggior parte delle persone, cioè nei supermercati.

Un paio di volte alla settimana, di sera, Giulia fa un giro per i supermercati del proprio paese, ma senza entrarci. Resta fuori dal negozio e rovista nei punti dove vengono accumulati gli scarti alimentari. È lì che si procura buona parte degli alimenti di cui ha bisogno. «Molti pensano che mangio robe ammuffite o piene di parassiti ma non è così», racconta. È difficile da immaginare, ma spesso buona parte del cibo buttato dentro a sacchi e bidoni del retro di un supermercato è in realtà perfettamente commestibile. In Italia come in molti paesi industrializzati.

Chi recupera cibo dai cassonetti della spazzatura – una pratica diffusa ormai in vari paesi, che in Italia è illegale perché chiunque rovisti nella spazzatura pubblica o privata è responsabile di furto – sfrutta un aspetto strutturale e piuttosto ineludibile della filiera della grande distribuzione organizzata (GDO): la grande quantità di cibo che viene buttata.

In base ai dati condivisi col Post da Luca Falasconi, docente di agraria all’università di Bologna, un ipermercato di medie dimensioni butta via in media 240 kg di cibo al giorno: una quantità sufficiente a sfamare circa 150 persone.

È uno spreco di risorse notevole che dipende sia dal modo in cui è fatta la GDO che dalle preferenze delle persone che fanno la spesa. In molti casi per i supermercati buttare il cibo invenduto è più conveniente che donarlo o venderlo scontato, anche per tutelarsi da eventuali problemi di salute di chi dovesse mangiarlo. Va precisato comunque che in Italia quasi il 50 per cento dello spreco di cibo è fatto dal consumatore finale e che gli scarti dei supermercati sono solo una piccola frazione di milioni di tonnellate di cibo scartate dal resto della filiera agroalimentare.

La maggior parte del cibo scartato dai supermercati è fatta da alimenti freschi che si deteriorano facilmente e che hanno una breve durata di conservazione: carne, pesce, latticini, frutta e verdura e prodotti confezionati da banco frigo, che normalmente vengono tolti dagli scaffali tra le 24 e le 48 ore prima della scadenza.

La quantità di sprechi varia molto da supermercato a supermercato, e da catena a catena, perché la compravendita di questi prodotti è difficile da gestire e dipende da diverse variabili. Per esempio dall’efficienza dei fornitori, che devono essere capaci di inviare prodotti che non siano troppo vicini alla scadenza; o dalla variazione delle abitudini d’acquisto da parte dei clienti, che oscillano per vari motivi e che sono difficili da prevedere.

Ogni punto vendita ha degli addetti che si occupano giornalmente di effettuare gli ordini di alimenti freschi sulla base degli acquisti fatti nei giorni precedenti, e che col tempo imparano a conoscere le abitudini degli acquirenti. La capacità di ridurre gli sprechi dipende molto dalla loro abilità. «In un supermercato dei Parioli [un quartiere piuttosto ricco di Roma] gli operatori sanno che molti clienti nel fine settimana vanno nella loro seconda casa, e che quindi ci saranno meno persone che vengono a fare la spesa», spiega Franco Silvestri, manager della catena Todis. Basta un po’ di inefficienza o di scarsa programmazione, e molto cibo sarà sprecato.

Tra i prodotti freschi più sprecati ci sono quelli di panetteria: tutto quello che viene prodotto deve essere venduto il giorno stesso, altrimenti diventa secco. Quel che avanza viene quasi sempre scartato. Per non rischiare di avere gli scaffali vuoti e di esaurire qualche prodotto, l’abitudine è quella di rifornirsi di filoni e focacce per eccesso, e questo vale anche per molti altri prodotti. «La merce deperisce e devi sempre tenere qualcosina in più», dice un manager di una catena di supermercati che ha preferito rimanere anonimo per parlare più liberamente del proprio lavoro. Così facendo, però, lo spreco diventa strutturale e sistematico.

Delle baguettes in vendita (Tim Graham, Getty Images)

(Tim Graham, Getty Images)

Frutta e verdura, invece, non hanno una precisa data di scadenza e vengono eliminate in base a criteri principalmente estetici: «se c’è una mela un po’ più brutta tu la togli, perché non te la compra più nessuno e perché nella testa del cliente sarà brutta anche tutta la roba che ci sta attorno», spiega il manager di catena.

Per molti consumatori frutta e verdura devono essere belle, senza imperfezioni; anche se ragionando in questo modo molti prodotti diventano invendibili – perlomeno a prezzo pieno – nonostante siano del tutto commestibili e in molti casi ancora buoni.

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Un altro problema ancora riguarda frutta e verdura confezionate a gruppi di quattro o cinque o anche di più: zucchine, peperoni, carote. «Per una ammuffita si deve buttare tutto», spiega il manager di catena. Al tempo stesso le norme di tracciabilità del prodotto impediscono che quelle ancora buone vengano esposte insieme ad altre vendute sfuse, che spesso hanno una provenienza diversa.

Queste procedure di gestione del prodotto causano lo stesso problema anche per molti altri alimenti. «I Kinder Pinguì devono essere venduti in confezioni da cinque, se una confezione si è rotta o uno solo è stato rubato tutti gli altri vanno buttati», spiega il dipendente di una Pam Local a Bologna, che preferisce rimanere anonimo per tutelarsi da possibili ritorsioni da parte dei suoi datori di lavoro. Come per i Kinder Pinguì, lo stesso vale per i pacchi di birre da tre, per quelli di yogurt e per molti altri prodotti venduti in pacchi che non si possono separare.

Della verdura confezionata al supermercato (Stefano Guidi, Getty Images)

Della verdura confezionata al supermercato (Stefano Guidi, Getty Images)

Un sacco di cibo, infine, viene buttato dopo le festività: dopo Pasqua i bidoni setacciati da Giulia si riempiono di uova di cioccolato; a Natale di pandori. «Dopo San Valentino abbiamo avuto per mesi il magazzino pieno di scatole di cioccolatini. Non c’è stato nessun tipo di promozione e dopo un po’ di tempo il nostro capo ci ha fatto capire che sarebbero stati buttati tutti», racconta il dipendente della Pam Local.

Per i supermercati non è conveniente buttare tutto questo cibo. Secondo una stima di Waste Watcher, un osservatorio che misura i livelli di spreco di cibo in Italia, nel 2024 il valore del cibo sprecato dai supermercati era di circa 4 miliardi di euro. Per questo molti supermercati hanno degli scaffali dedicati alla vendita di prodotti in via di scadenza a prezzi scontati, soprattutto verso la fine della giornata. Ma è una pratica che per ragioni commerciali non conviene fare in modo esteso e sistematico. «Se sconti tutto al 50 per cento poi molta gente ti viene apposta a fare la spesa di sera: allora però non hai margine di guadagno e devi chiudere», dice il manager di catena.

Un’altra opzione per ridurre la quantità di sprechi è quella di donare gli scarti alimentari a qualche associazione di beneficenza o a qualcuno che possa riutilizzarli. È una pratica adottata da diverse catene (chi più, chi meno), e che in certi casi varia molto anche in base alla discrezione e alle possibilità dei singoli supermercati. Nel 2016 venne fatta una legge per incentivare le donazioni degli scarti: non esistono dati completi per misurare quanto sia stata efficace anche se, in base ai pareri raccolti dal Post, tra chi conosce il settore c’è la percezione che dopo la sua approvazione la quantità di scarti alimentari donata dai supermercati sia aumentata.

Donare gli scarti però è un’attività che richiede tempo e risorse economiche che, seppur minime, molti supermercati non hanno intenzione di sobbarcarsi. Il cibo da donare va selezionato, momentaneamente conservato, e non è così semplice trovare degli enti disposti a prenderlo che siano affidabili e ben organizzati, a loro volta, per gestire il tutto in maniera efficiente. «Nella mia esperienza spesso siamo noi che dobbiamo inseguire gli enti per riuscire a donargli la roba», dice il manager di catena.

L’impressione però è che per molti supermercati evitare che il cibo venga sprecato non sia esattamente una priorità.

Spesso nemmeno i dipendenti possono usufruire degli scarti alimentari: principalmente perché i dirigenti non si fidano e temono comportamenti scorretti. Ci sono catene che fanno controlli a campione e a sorpresa alla fine della giornata lavorativa, per assicurarsi che gli scarti vengano effettivamente buttati e non portati a casa di nascosto.

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