Le grosse condanne per l’inquinamento da PFAS delle acque del Veneto

141 anni di carcere totali per 11 persone, in una sentenza definita «storica» da Legambiente

Una protesta di Greenpeace contro l'inquinamento da PFAS a Venezia
Una protesta di Greenpeace contro l'inquinamento da PFAS a Venezia, 9 marzo 2017 (Ufficio Stampa Greenpeace/Francesco Alesi/LaPresse)
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Dopo quattro anni di processo, la Corte d’assise di Vicenza ha condannato 11 persone a 141 anni di carcere complessivi per il grave caso di inquinamento da PFAS nelle acque delle province di Vicenza, Padova e Verona, in Veneto. Gli imputati (15 in totale, quattro sono stati assolti) erano ex dirigenti della Miteni, un’azienda chimica che aveva uno stabilimento a Trissino, nel vicentino, e che è fallita nel 2018. Le condanne, tra i 2 anni e 8 mesi e i 17 anni per ciascun imputato, sono per i reati di avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta.

La Corte d’assise ha anche stabilito che alle parti civili, che sono oltre 300, spettino decine di milioni di euro in risarcimento: 58 milioni sono stati riconosciuti al solo ministero dell’Ambiente. L’organizzazione ambientalista Legambiente ha definito «storica» la sentenza.

La sigla PFAS indica le sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, utilizzate in vari settori industriali fin dagli anni Quaranta perché rendono le superfici impermeabili ad acqua e grassi, sono resistenti al calore e a molti agenti chimici, e hanno proprietà tensioattive: nei decenni sono state usate per produrre padelle antiaderenti e indumenti pensati per stare all’aperto quando piove, schiume antincendio, cosmetici e farmaci. Dai primi anni Duemila però alcuni hanno smesso di essere usati perché si sono rivelati potenzialmente cancerogeni e tossici, a seconda dell’esposizione.

I più noti tra i PFAS problematici sono il perfluoroottansolfonico (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA), che possono avere effetti negativi sull’apparato endocrino, cioè sulle ghiandole che producono gli ormoni, e su embrioni e feti.

Dei PFAS in Veneto si parla dal 2013, anno in cui il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e il ministero dell’Ambiente fecero una ricerca su potenziali inquinanti «emergenti» nei principali bacini fluviali italiani: lo studio rivelò la presenza di PFAS in acque sotterranee, superficiali e potabili, e un inquinamento elevato di queste sostanze nelle province di Vicenza, Padova e Verona, in più di 300 comuni. La diffusione di queste sostanze fu poi ricondotta agli scarichi dello stabilimento di Trissino, attivo dal 1968.

La Miteni era nata, col nome di RiMAr, come centro di ricerca per l’azienda tessile Marzotto, poi però cambiò proprietà: nel 1988 fu rilevata da EniChem, la divisione petrolchimica di Eni, e dall’azienda giapponese Mitsubishi, che le cambiarono nome in Miteni. Nel 1996 Mitsubishi comprò le azioni di EniChem e nel 2009 vendette l’intera società al gruppo Icig, che ha sede in Lussemburgo e possiede varie aziende farmaceutiche e chimiche.

La scoperta dell’inquinamento da PFAS diede il via a varie inchieste giudiziarie e nel giro di qualche anno la Miteni si trovò in difficoltà per gli oneri economici dovuti ai suoi problemi ambientali. Nel 2018 dichiarò fallimento.