Sulla carta d’identità dei minori è corretto scrivere “genitori”, dice la Cassazione
La dicitura “padre” e “madre”, reintrodotta da Matteo Salvini nel 2019, è ritenuta discriminatoria

Martedì la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del ministero dell’Interno contro una sentenza dell’anno scorso, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, secondo cui sulla carta d’identità di un minore si poteva anche non utilizzare la dicitura “padre” e “madre” e preferire quella di “genitori”, più rappresentativa dei diversi tipi di famiglia che esistono oggi. La Cassazione dice in sostanza che scrivere “genitori” è corretto.
La dicitura “padre” e “madre” era stata reintrodotta nel 2019 da un decreto approvato da Matteo Salvini, che all’epoca era ministro dell’Interno e oggi è ministro dei Trasporti. Il decreto aveva sostituito proprio la dicitura “genitori”, che era in vigore dal 2015, per volontà del governo di Matteo Renzi, di centrosinistra.
La Corte di Cassazione è il terzo e ultimo grado di giudizio previsto dalla giustizia italiana. Il suo compito è valutare che le norme siano state interpretate e applicate correttamente, e le sue sentenze vengono poi usate spesso come criterio per orientare le decisioni dei tribunali a livello nazionale, che per interpretare certe norme possono prendere in considerazione una decisione della Cassazione.
La sentenza di martedì, la numero 9216, ha sostanzialmente confermato la correttezza della sentenza emessa l’anno scorso dalla Corte d’Appello di Roma: secondo la Corte di Cassazione l’indicazione di “padre” e “madre” sulla carta d’identità di un o una minore è discriminatoria, perché non rappresenta tutti i tipi di famiglie che esistono oggi e le relazioni al loro interno: per esempio le famiglie formate da figli o figlie con due madri o con due padri.
L’idea di Salvini di reintrodurre la dicitura “padre” e “madre” sostituendola a quella più generica di “genitori” era stata criticata anche dal Garante della privacy, l’autorità italiana per la protezione dei dati personali, secondo cui una regola del genere avrebbe finito per caratterizzare i soggetti a cui si riferiva la dicitura in maniera errata, dato che due madri o due padri non possono essere fattualmente considerati “padre” e “madre”.
Il caso che è finito alla Corte di Cassazione riguardava due madri seguite dai legali delle associazioni Rete Lenford, composta da avvocati e avvocate esperte sui temi LGBT+, e Famiglie Arcobaleno, la principale associazione di genitori omosessuali in Italia. Nel 2023 le due donne avevano fatto ricorso alla cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione permessa in casi particolari al genitore non biologico: si erano rivolte prima al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e poi al Tribunale di Roma per avere sulla carta d’identità elettronica del loro figlio la dicitura “genitori” anziché quella prevista dal decreto del 2019, cioè appunto “padre” e “madre”.
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