La serie di cui parla chi fa cinema
“The Studio” di Seth Rogen è una satira su Hollywood piena di situazioni assurde ma plausibili, molti cameo e qualche esagerazione

The Studio è una satira su Hollywood scritta, diretta e interpretata da Seth Rogen e pubblicata da Apple TV+, che deride il servilismo nel mondo del cinema, dove i produttori badano più a fare soldi che a girare film di qualità. Sebbene tratti un tema molto inflazionato, sta piacendo a molti critici per com’è fatta, per come racconta situazioni assurde ma plausibili e anche per i moltissimi cameo di personaggi che in questa industria hanno un ruolo notevole, da Ron Howard a Martin Scorsese.
The Studio ha per protagonista Matt Remick (Rogen), un produttore esecutivo di Hollywood che lavora da 22 anni per una casa cinematografica fittizia, i Continental Studios. Ambirebbe a fare film come Io e Annie di Woody Allen o Rosemary’s Baby di Roman Polanski, ma quando gli viene offerto il posto della sua mentore, licenziata dopo una serie di flop, si ritrova a dover girare un blockbuster sulla mascotte del Kool-Aid, un famoso marchio di succhi disidratati.
Fin da subito si capisce che se da un lato ha una sincera passione per il cinema, dall’altro sente sempre il bisogno di assecondare le richieste del mercato, pur di non essere tagliato fuori. «Sei ossessionato dall’idea di piacere agli attori e ai registi, invece che dall’idea di far guadagnare allo studio più soldi possibile», gli dice l’amministratore delegato degli Studios, Griffin Mill, interpretato da Bryan Cranston. Così Remick si ritrova inevitabilmente a prendere decisioni discutibili e a cacciarsi in situazioni imbarazzanti, facendosi odiare un po’ da chiunque.
Le prime due puntate sono uscite mercoledì 26 marzo, ma gli addetti ai lavori ne parlavano con un certo entusiasmo già da prima. Time l’ha definita «la migliore serie tv dall’inizio del 2025». Per il Guardian è «un trionfo» senza obiezioni, mentre per il Financial Times è «intelligente, cinica e incredibilmente divertente», un misto tra I protagonisti di Robert Altman e Curb Your Enthusiasm di Larry David, una delle sitcom più influenti di sempre.
Rogen ha scritto e diretto la serie assieme a Evan Goldberg, con cui aveva già lavorato sulla commedia Superbad. Il personaggio di Remick è affiancato da una responsabile del marketing ossessionata dal fare soldi, un collega che è rilassato e piace a tutti al contrario di lui, e una mentore (Catherine O’Hara) che è riuscita a trovare un compromesso tra le aspirazioni artistiche e le esigenze dello studio di far soldi. I due hanno detto di averlo ideato ispirandosi al dirigente di uno studio cinematografico che aveva sostenuto di essere entrato nel settore perché amava i film, mentre il suo lavoro era diventato poi rovinarli.
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Tra i punti forti della serie non ci sono solo i tempi comici, l’ambientazione un po’ noir e le situazioni volutamente cringe, ma anche il fatto che sia girata con una serie di long take e piani sequenza, ovvero intere scene che si svolgono in un’unica ripresa, senza tagli e senza montaggio. Ma ci sono soprattutto le numerose citazioni cinematografiche e la presenza di registi e attori che spesso interpretano loro stessi, come nel caso di Charlize Theron, Steve Buscemi e Greta Lee. Questo contribuisce a dare l’impressione che situazioni di questo tipo nel cinema siano all’ordine del giorno, seppur con qualche esagerazione.
L’amministratore delegato dei Continental Studios per esempio si chiama come il personaggio principale dei Protagonisti, che racconta una storia simile (non è chiaro se sia lo stesso Griffin Mill o se sia solo un tributo al film di Altman). La sceneggiatura di Scorsese sul Kool-Aid invece è incentrata sul massacro di Jonestown, il più grande suicidio di massa della storia recente, in cui oltre 900 seguaci di un culto furono costretti a uccidersi bevendo un preparato contenente cianuro poi chiamato informalmente “Kool-Aid”.
«Ho riso così tanto che mi sembrava fosse fatta apposta per me», ha scritto in una recensione di The Studio Alex Harrison sul sito di cinema Screen Rant. Uno dei limiti che hanno osservato diversi critici è proprio quello che la serie si rivolge o comunque riesce a cogliere l’attenzione dei cinefili e degli addetti ai lavori, mentre rischia di essere meno efficace per chi non è patito di cinema. Un’altra critica è che, per quanto sia ben fatta, è l’ennesima tra serie tv e film che parlano del declino di Hollywood, del dilemma tra fare arte o fare soldi e delle possibili soluzioni, senza in realtà aggiungere niente di particolarmente brillante.
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