La storia del delitto di Garlasco, dall’inizio
Come andarono le indagini, che sbagli furono commessi, e perché ora si parla della riapertura del caso

Il 13 agosto del 2007 a Garlasco, un paese in provincia di Pavia, Chiara Poggi fu uccisa nella sua casa. Aveva 26 anni. L’omicidio ebbe grandi attenzioni, e alimentò un clamore mediatico che avrebbe segnato la successiva fase delle indagini. I processi che ne seguirono furono tra i primi in Italia basati interamente sulle perizie scientifiche e nel 2015, dopo una vicenda giudiziaria lunga e ingarbugliata, portarono alla condanna di Alberto Stasi, ex fidanzato della ragazza, che è tuttora detenuto nel carcere di Bollate, in provincia di Milano.
A dieci anni da quella prima condanna c’è ora una nuova persona indagata per l’omicidio di Chiara Poggi: Andrea Sempio, amico del fratello minore di Poggi che all’epoca dei fatti aveva 19 anni. Sempio era già finito al centro delle indagini tra il 2016 e il 2017 per via della presenza del suo DNA riscontrata sotto le unghie della ragazza. Al tempo le indagini nei suoi confronti furono archiviate anche perché la quantità di DNA trovata non era stata ritenuta sufficiente per fare una comparazione attendibile. I campioni del DNA di Sempio adesso sono stati analizzati con tecniche più aggiornate rispetto a quelle di allora, e l’uomo si presenterà il 13 marzo nella sede della scientifica dei carabinieri di Milano per un esame salivare e un tampone: serviranno per confermare ufficialmente che quel DNA appartiene a lui.

Chiara Poggi (ANSA)
Il 13 agosto del 2007, poco prima delle due del pomeriggio, Alberto Stasi, fidanzato di Chiara Poggi, chiamò il 118 mentre era già in macchina per arrivare alla caserma dei carabinieri. Poco prima, secondo quanto da lui raccontato, aveva trovato il corpo di Chiara Poggi nella casa in cui la ragazza viveva con la famiglia, che in quel periodo era in vacanza. I carabinieri, una volta entrati, misero a verbale di aver visto diverse chiazze di sangue nella casa, soprattutto davanti alla scala che conduceva alla cantina dove si trovava il corpo di Poggi. Stasi raccontò di essere andato a casa di Chiara Poggi perché era preoccupato: sapendola sola l’aveva chiamata più volte, quella mattina, sia al telefono fisso che al cellulare, ma lei non aveva risposto.
L’autopsia sul corpo di Chiara Poggi venne effettuata il 16 agosto e stabilì che la ragazza era stata uccisa tra le 10:30 e le 13 del 13 agosto, presumibilmente tra le 11 e le 11:30. La salma avrebbe però dovuto essere pesata: il rapporto tra peso e calore corporeo fornisce infatti le indicazioni più attendibili sull’ora della morte, ma a Pavia, dove il corpo di Poggi era stato portato, la bilancia mancava.
In quei primi momenti vennero commessi anche altri sbagli: le scarpe che Stasi calzava nel momento in cui sarebbe entrato nella villetta furono sequestrate solo il giorno dopo. Erano pulite e con un’impronta non coerente con quelle trovate nella casa di Garlasco. Nessuno pensò poi di prendere le impronte della ragazza e il suo corpo dovette essere riesumato. Sul dispenser del sapone liquido che si trovava nel bagno venne trovata l’impronta di un dito di Stasi, che sarebbe poi diventata fondamentale per la sua condanna. L’oggetto con cui Poggi venne colpita e uccisa non fu invece mai individuato.
Nei giorni successivi all’omicidio cominciarono anche a spuntare delle testimonianze: una vicina raccontò di aver visto una bicicletta nera appoggiata al cancello di casa Poggi la mattina del delitto. I carabinieri sequestrarono una bicicletta a casa di Stasi, e anche il suo computer.
Stasi venne arrestato il 24 settembre ma rilasciato qualche giorno dopo. Il primo processo, con rito abbreviato, iniziò nel 2009. Il giudice Stefano Vitelli ordinò però nuove perizie perché da quelle esistenti disse che non era possibile arrivare a una conclusione. Una delle nuove perizie doveva innanzitutto rispondere a una domanda: è possibile che una persona cammini sulla scena di un delitto, con il pavimento cosparso di sangue, senza che sulla suola delle sue scarpe, sequestrate 48 ore dopo, rimanga qualche traccia? L’accusa sostenne che non fosse possibile, e che Stasi avesse buttato via le scarpe imbrattate di sangue consegnandone altre agli investigatori. La perizia ordinata dal giudice Vitelli spiegò invece che era possibile che nelle 48 ore successive la suola delle scarpe si fosse completamente pulita per sfregamento contro il suolo. Stasi venne assolto e il processo d’appello arrivò alla stessa conclusione.

Alberto Stasi al termine dell’udienza per il secondo processo d’appello, Milano, 9 aprile 2014 (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
Il 18 aprile del 2013 la Corte di Cassazione decise l’annullamento della sentenza d’appello e ordinò un nuovo processo. Fu a questo punto che si fecero delle scoperte sulla bicicletta nera di casa Stasi: i pedali non erano quelli originali. Si suppose pertanto che potesse esserci stato uno scambio di pedali tra le due biciclette della famiglia Stasi. Secondo questa ricostruzione Stasi, dopo aver saputo che alcuni testimoni avevano notato una bicicletta nera fuori della villetta, nella settimana successiva al delitto avrebbe scambiato i pedali della bicicletta nera, sporchi delle tracce biologiche di Chiara Poggi, con quelli della sua bicicletta bordeaux, allo scopo di confondere le prove. L’ipotesi cadde successivamente nel vuoto.
Una nuova perizia cambiò tutto. Questa volta gli esperti stabilirono che ci sarebbe stata una sola possibilità su un milione di calpestare il pavimento di casa Poggi senza che sulla suola delle scarpe rimanessero tracce di sangue. Le cose non potevano dunque essere andate come le aveva raccontate Alberto Stasi. Osservando le fotografie scattate al momento del ritrovamento del corpo di Chiara Poggi si notò inoltre l’impronta di una mano insanguinata sul pigiama della ragazza, poi compromessa nello spostamento del corpo. Nessuno, in sette anni, l’aveva mai vista prima. E questo indizio, unito all’impronta di Stasi trovata sul dispenser del sapone nel bagno di casa Poggi, convinse il giudice che l’assassino avesse toccato la ragazza dopo averla uccisa e che poi si fosse lavato le mani. Stasi venne a quel punto condannato per omicidio volontario.

Le scarpe indossate da Alberto Stasi in una delle immagini allegate alla consulenza di parte civile nel processo per l’omicidio di Chiara Poggi (ANSA)
Il 12 dicembre del 2015 la Corte di Cassazione confermò la sentenza condannando in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di carcere, pur senza individuare un movente per l’assassinio, e parlando solo di un “attacco di rabbia” del ragazzo.
Nel dicembre del 2016 la difesa di Stasi presentò una nuova perizia: indicava che il DNA trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, e che inizialmente non aveva portato alla chiara identificazione di un profilo compatibile, apparteneva a un conoscente della vittima. La procura di Pavia aprì dunque una nuova indagine che coinvolgeva un amico di Marco Poggi, fratello minore di Chiara: Andrea Sempio. L’inchiesta su di lui venne però archiviata il 2 marzo del 2017.
Ieri ad Andrea Sempio è stato notificato un nuovo avviso di garanzia e il fascicolo precedentemente archiviato è stato riaperto. È stato decisivo sempre il campione di DNA trovato sotto le unghie di Poggi che, come sostenuto da nuovi esami, sarebbe ora utilizzabile a fini giuridici.
– Ascolta anche: Indagini: Garlasco, 13 agosto 2007