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  • Lunedì 3 marzo 2025

Da dove arriva l’M23

Il gruppo paramilitare attivo nella Repubblica Democratica del Congo è da sempre sostenuto dal Ruanda, per ragioni che riguardano l'economia e il genocidio del 1994

Uomini dell'M23 nella città conquistata di Bukavu, 22 febbraio 2025 (Hugh Kinsella Cunningham/Getty Images)
Uomini dell'M23 nella città conquistata di Bukavu, 22 febbraio 2025 (Hugh Kinsella Cunningham/Getty Images)
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Nell’ultimo mese, nella Repubblica Democratica del Congo, il gruppo paramilitare M23 ha intensificato i combattimenti contro l’esercito congolese e ha conquistato Goma e Bukavu, due importanti città delle regioni orientali attorno al lago Kivu, sul confine con il Ruanda. La guerra, in corso ormai da tempo, ha subìto un’accelerazione e il gruppo M23 si è definitivamente consolidato come il più organizzato, disciplinato e militarmente efficace tra tutti quelli che combattono contro il governo centrale congolese, per ragioni varie.

L’M23 è un gruppo nato sedici anni fa. Il suo nome riprende gli accordi di pace firmati il 23 marzo del 2009 tra l’allora governo del presidente Joseph Kabila e il Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), un gruppo armato che aveva condotto e fallito una lunga offensiva per il controllo della regione del Kivu. Gli accordi prevedevano che il Cndp dovesse essere smantellato e integrato nell’esercito regolare e nella polizia nazionale. Inoltre il gruppo accettava di diventare un partito politico e di perseguire i suoi scopi non ricorrendo più alla lotta armata. Il problema fu però che non tutti nel Cndp erano d’accordo e una parte del movimento, la frangia più radicale, decise di chiamarsi M23 (da 23 marzo, per l’appunto) e continuare a combattere.

La prima grossa offensiva dell’M23 iniziò tre anni dopo, nel 2012, quando il gruppo cominciò a combattere sia contro l’esercito regolare congolese sia contro MONUSCO, missione dell’ONU incaricata di mantenere la pace nella regione, sostenendo che gli accordi di pace del 2009 non fossero rispettati. Allora il movimento era guidato da quello che ancora oggi è il capo dell’ala militare, Sultani Makenga, accusato di gravi crimini di guerra. Fin dall’inizio, il gruppo è stato sostenuto economicamente e militarmente dal vicino Ruanda, che ha interessi politici ed economici nell’est del Congo, e sostiene che nella regione abbiano trovato rifugio gli autori del genocidio del 1994. Il governo ruandese, però, ha sempre smentito la sua vicinanza all’M23.

Ribelli dell’M23 dalle parti di Goma dopo la presa della città nel novembre del 2012 (AP Photo/Jerome Delay)

L’M23 riuscì a conquistare la città di Goma senza incontrare troppa resistenza da parte dell’esercito regolare, ma non riuscì a consolidare il suo controllo sul territorio. Anzitutto il governo del Ruanda cominciò a subire grandi pressioni internazionali per smettere di appoggiare il gruppo; inoltre le violenze indiscriminate commesse contro i civili resero l’M23 particolarmente impopolare tra la popolazione di Goma. Undici giorni dopo la conquista della città, grazie a un accordo mediato dall’Uganda, i ribelli se ne andarono: delusi dalla sconfitta subita dall’esercito regolare, diversi soldati congolesi disertarono e si unirono al movimento.

L’anno successivo l’M23 fu indebolito dalle operazioni della Force Intervention Brigade (FIB), una forza di intervento rapido istituita dal Consiglio di sicurezza dell’ONU che aveva l’obiettivo specifico di «neutralizzare e disarmare» il gruppo e le milizie sue alleate.

Per poco meno di dieci anni il gruppo mantenne le sue attività più discrete. Poi, nel novembre del 2021, lanciò una nuova offensiva contro l’esercito congolese e i soldati ONU: di fatto è la stessa che va avanti ancora oggi, anche se ha avuto momenti di maggiore intensità e altri di maggior calma.

Negli ultimi tre anni l’M23 ha conquistato estese porzioni di territorio, soprattutto nella regione orientale del Nord Kivu, dove si trovano molte delle risorse minerarie della Repubblica Democratica del Congo. Proprio il controllo delle miniere ha permesso al movimento di arricchirsi notevolmente. Dall’aprile del 2024 l’M23 controlla la città di Rubaya, dove c’è la più grande miniera di coltan della regione dei Grandi Laghi (il coltan è un minerale da cui si ottengono materiali fondamentali per la produzione di molti dispositivi tecnologici, dai telefoni alle lavatrici).

Le Nazioni Unite hanno paragonato il controllo dell’M23 sulla città a quello di un apparato statale: gli ufficiali del gruppo approvano permessi e raccolgono le imposte, controllano il territorio e tengono aperte le miniere, dove i minatori lavorano in condizioni durissime. L’ONU stima che da queste attività l’M23 abbia guadagnato 800mila dollari al mese nel 2024, anche e soprattutto esportando illegalmente le ricchezze congolesi in Ruanda.

L’interesse economico nello sfruttamento delle ricchezze minerarie della regione del Nord Kivu è una delle ragioni dell’insurrezione dell’M23. Anche il Ruanda è interessato alle risorse minerarie, ma il motivo del sostegno all’M23 è soprattutto politico ed etnico, e ha a che vedere con il genocidio in Ruanda del 1994.

L’M23, così come lo era il Cndp, è un gruppo a maggioranza tutsi, una delle due principali etnie presenti nella regione dei Grandi Laghi, un’area dell’Africa orientale che comprende, tra gli altri, anche Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Nel 1994 i tutsi del Ruanda furono vittime di uno dei genocidi più cruenti della storia, compiuto dall’etnia maggioritaria della regione, gli hutu.

Il genocidio durò 100 giorni: vennero uccise centinaia di migliaia di persone (soprattutto tutsi, ma anche hutu moderati), fino a che le milizie tutsi guidate da Paul Kagame deposero il governo degli hutu e misero fine al massacro. Durante il genocidio molti tutsi fuggirono in Congo per evitare le persecuzioni, mentre al termine del massacro furono gli hutu a rifugiarsi nel paese vicino, principalmente nella regione confinante del Kivu.

Oggi il Ruanda, che è governato ancora da Paul Kagame, di etnia tutsi, sostiene di avere il compito di difendere i diritti e gli interessi della comunità tutsi in Congo (comunità che però è composta anche da persone che sono in Congo da generazioni e che ormai si considerano congolesi e non più ruandesi). È per questa ragione che il governo del Ruanda appoggia i gruppi armati a maggioranza tutsi, come l’M23 e altre milizie.

Una donna sfollata in seguito ai combattimenti delle ultime settimane, 11 febbraio 2025 (AP Photo/Moses Sawasawa)

Il governo di Kagame ha sempre smentito il suo appoggio all’M23, ma ormai le prove del suo sostegno economico e militare sono numerose. Sono confermate nei rapporti delle Nazioni Unite, in cui si legge che l’esercito del Ruanda è «di fatto in controllo delle operazioni» del gruppo.

Stando a queste informazioni, il Ruanda aiuta l’M23 in molti modi. Prima di tutto inviando i propri uomini a combattere: secondo le stime dell’ONU nel gruppo sono presenti tra i 3mila e i 4mila soldati dell’esercito del Ruanda, su un totale di 8mila combattenti. Il Ruanda fornisce poi addestramento e attrezzature militari avanzate, come visori notturni, mortai o mitragliatrici. Grazie all’appoggio del Ruanda (e alle ricchezze ottenute dallo sfruttamento delle miniere), dall’offensiva dei primi anni Dieci l’M23 è diventato un movimento molto più strutturato e capace, e questo gli ha permesso di ottenere i successi militari che l’hanno portato fin qui.

Kagame ha sempre respinto le accuse di sostenere l’M23, ma in un’intervista rilasciata di recente alla CNN, quando il giornalista gli ha chiesto se c’erano truppe ruandesi in Congo ha risposto «Non lo so». Poi ha aggiunto: «Ci sono molte cose che non so. Ma se mi chiedi se c’è un problema in Congo che riguarda il Ruanda, e se il Ruanda farà di tutto per proteggersi, direi sì al 100 per cento».

Nel frattempo le condizioni dei civili nella Repubblica Democratica del Congo sono disastrose: secondo il governo sono state uccise 7mila persone da fine gennaio, 3mila soltanto nella città di Goma. Nelle città occupate servizi di base come la distribuzione dell’acqua o dell’elettricità sono venuti a mancare e hanno costretto i cittadini a rifornirsi di acqua dal lago Kivu e gli ospedali a funzionare con i generatori. C’è anche il rischio della diffusione di malattie come il colera e l’mpox.