La tassa di soggiorno piace molto ai comuni
Nel 2024 gli incassi hanno superato il miliardo di euro, e continueranno ad aumentare

Secondo un’indagine pubblicata dal Sole 24 Ore, nel 2024 gli incassi dei comuni derivati dalla cosiddetta “tassa di soggiorno” – quella che deve pagare chi soggiorna nelle strutture turistiche di determinate città – hanno superato il miliardo di euro: è una cifra notevole, che spiega come la tassa di soggiorno sia diventata un’entrata essenziale per i bilanci dei comuni. Nel 2011, quando fu introdotta a livello nazionale (a Roma esisteva già dal 2010), le entrate erano state di 77 milioni di euro. L’indagine è stata realizzata appositamente per il Sole dall’Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno.
Negli anni sempre più comuni hanno cominciato a farla pagare e molti hanno poi aumentato progressivamente il costo a carico dei turisti. Oggi possono applicarla solo i comuni considerati “turistici”, ma il governo punta a estenderla a tutti. È facile capire perché la tassa di soggiorno piaccia molto alle amministrazioni comunali: è un introito (spesso ingente) per cui non serve alcuno sforzo e non è a carico dei residenti, quindi a differenza di altre tasse non si può tradurre in un malcontento con conseguenze politiche.
Roma è la città che incassa di più dalla tassa di soggiorno, quasi 287 milioni di euro nel 2024, più di un quarto del totale nazionale. Secondo le previsioni, gli incassi aumenteranno nel 2025 grazie al Giubileo e all’arrivo che si prevede di 32 milioni di turisti. Seguono Milano e Firenze (circa 76 milioni di euro ciascuna), Venezia (40 milioni), Napoli (17 milioni) e Bologna (12 milioni). Il Sole 24 Ore spiega che le città d’arte sono quelle che ricavano di più dall’imposta di soggiorno poiché vengono visitate dai turisti tutto l’anno. La prima delle mete balneari invece è Rimini, che ha ricavato 14 milioni di euro.
Grazie a Roma, il Lazio è la regione con il gettito più alto (300,8 milioni di euro nel 2022). Al secondo posto c’è la Toscana con 120 milioni di euro, al terzo la Lombardia con 114,2 e al quarto il Veneto con 104,5. Le regioni del Sud, dove il turismo è concentrato prevalentemente nei mesi estivi, sono in posizioni più basse: la Campania è al settimo posto con 51,2 milioni, la Sicilia all’ottavo a 33,8 milioni di euro e la Sardegna al nono con 29,5 seguito dalla Liguria (24,9 milioni).
I dati dicono anche che, eccetto il 2020, anno della pandemia, le entrate generate dall’imposta di soggiorno sono sempre aumentate: sono cresciute di oltre il 27 per cento rispetto al 2023 e si prevede aumenteranno ancora nel 2025 del 17 per cento, per entrate complessive pari a un miliardo e 180 milioni di euro.
Nel 2011 erano soltanto 13 i comuni che chiedevano l’imposta di soggiorno, oggi sono 1.314. I comuni che la introdurranno cresceranno ancora nel 2025: 31 amministrazioni hanno già deciso di applicarla e altre 40 ne stanno discutendo. Gli aumenti delle entrate si spiegano anche con gli incrementi della tariffa, l’ampliamento dei periodi di applicazione e soprattutto con l’andamento positivo del turismo dovuto soprattutto alla sempre maggior presenza di persone dall’estero.
Quella che comunemente viene chiamata “tassa di soggiorno” in realtà non è una tassa, ma un’imposta. Le tasse vengono pagate dalle persone in cambio di un determinato servizio mentre le imposte sono un prelievo nei confronti di tutti i contribuenti, come accade con l’IRPEF, l’imposta pagata in base al reddito. La tassa di soggiorno è un’imposta perché viene pagata da tutti i turisti che decidono di soggiornare in una città. L’imposta fu introdotta nel 2011 dalla legge sul federalismo fiscale che consentì ad alcuni comuni di riscuoterla e soprattutto di deciderne le regole: quelli inclusi in questa lista sono i capoluoghi di provincia, le unioni di comuni, i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o le città d’arte.
La legge nazionale, dunque, fissa soltanto alcuni principi generali come la destinazione del ricavato, riservato in teoria agli investimenti sul turismo, e le soglie di pagamento. In generale i comuni possono chiedere al massimo 5 euro al giorno e nella maggior parte delle città gli importi dipendono dalla categoria della struttura. In alcuni casi l’imposta viene applicata una sola volta indipendentemente dalle notti di soggiorno e in tutti i casi va pagata direttamente presso la struttura dove si alloggia.
Nella legge di bilancio approvata alla fine del 2022 è stato stabilito che alcune città possano però superare la soglia dei 5 euro arrivando a un limite di 10: quelle che hanno un numero di presenze turistiche venti volte superiore rispetto alla popolazione media. I dati rilevati dall’ISTAT dicono che soltanto cinque città possono sfruttare questa possibilità: Rimini, Venezia, Verbania, Firenze e Pisa. A Roma, dove la tassa era stata introdotta nel 2010 con un decreto legislativo specifico, il limite massimo è di dieci euro.
Con la legge di bilancio del 2024 è stata prevista un’ulteriore modifica, stabilendo che dal 2025 i comuni interessati potranno prevedere un aumento fino a 2 euro per notte di soggiorno a persona. È stato anche stabilito che il gettito derivante dell’imposta di soggiorno possa finanziare dall’inizio del 2024 anche i costi per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. La tassa è oggi al centro di una nuova discussione tra governo, comuni e associazioni per rivederne tra l’altro importi, sistema di calcolo e destinazione degli incassi. Ma soprattutto, è sempre più concreta la proposta di estendere a tutti i comuni la possibilità di introdurre la tassa di soggiorno: il governo ha detto apertamente di puntare a questa soluzione.
Anche se il gettito dovrebbe essere usato solo per investimenti legati al turismo, per molte città, e soprattutto nei comuni più piccoli, i soldi incassati sono essenziali per chiudere il bilancio in pareggio. Per questo la tassa viene utilizzata non solo per la promozione del territorio. Vengono finanziati eventi di tutti i tipi, non solo turistici, oppure in un’interpretazione ancora più estensiva vengono sistemate le strade, le reti idriche e altri servizi sfruttati solo in parte dai turisti. Non essendoci controlli su come i soldi vengano spesi, di fatto queste entrate sono un modo piuttosto semplice per risolvere difficoltà economiche o buchi di bilancio. Massimo Feruzzi, responsabile dell’Osservatorio nazionale sull’imposta di soggiorno, ha spiegato al Sole 24 Ore che questa imposta è «ormai considerata dai comuni uno strumento essenziale per acquisire risorse» la maggior parte delle quali viene però utilizzata «per interventi non turistici».