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  • Lunedì 20 gennaio 2025

Le cose da sapere sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza

Com'è andato il primo giorno, quali sono i termini dell'accordo, il ritorno di ostaggi e prigionieri, e soprattutto: reggerà?

Un autobus di prigionieri palestinesi rilasciati in Cisgiordania il 20 gennaio 2025
Un autobus di prigionieri palestinesi rilasciati in Cisgiordania il 20 gennaio 2025 (AP Photo/Leo Correa)
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Il cessate il fuoco tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza è cominciato domenica dopo 15 mesi di guerra, e dopo quasi un anno di faticosi negoziati a Doha, in Qatar. Ecco cos’è successo domenica, e le cose più importanti da sapere sull’accordo e sulle prossime settimane di tregua.

Quanto dura il cessate il fuoco
Quella che è entrata in vigore è la “fase uno” dell’accordo raggiunto tra Israele e Hamas, che prevede tra le altre cose una tregua di 42 giorni e la liberazione di parte degli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi. Sono previste anche una fase due e tre, che però devono ancora essere negoziate: lo saranno mentre la fase uno è in corso, a partire dal 15esimo giorno.

Alla fine della fase tre, se ci si arriverà, Hamas avrà restituito tutti gli ostaggi e Israele si sarà ritirato del tutto dalla Striscia di Gaza mantenendo soltanto alcune “postazioni di sicurezza” (ma su questo c’è poca chiarezza). La fase tre prevede anche il raggiungimento di un accordo sul futuro governo della Striscia di Gaza. Questo dipende però dalla buona riuscita dei negoziati nelle prossime settimane. Per ora il cessate il fuoco è garantito soltanto per 42 giorni.

La fine dei combattimenti
Il cessate il fuoco è entrato in vigore domenica e tutti i combattimenti e i bombardamenti israeliani si sono interrotti alle 11:15 della mattina (le 10:15 in Italia). Israele ha anche lasciato alcune posizioni soprattutto nel nord della Striscia di Gaza, e il ritiro dell’esercito dovrebbe continuare gradualmente nelle prossime settimane, anche se in questa “fase uno” dell’accordo non è previsto che si ritiri completamente.

Il primo scambio di ostaggi e prigionieri
Domenica pomeriggio Hamas ha liberato tre persone israeliane prese in ostaggio, tutte giovani donne: Doron Steinbrecher, Emily Damari e Romi Gonen. Il loro arrivo in Israele è stato celebrato con festeggiamenti in strada, e con molta commozione da parte delle famiglie.

Una donna israeliana attende il rilascio dei primi ostaggi a Tel Aviv, il 19 dicembre 2025

Una donna israeliana attende il rilascio dei primi ostaggi a Tel Aviv, il 19 gennaio 2025 (Chris McGrath/Getty Images)

Nella notte tra domenica e lunedì, come da accordi, Israele ha liberato 90 prigionieri palestinesi, anche in questo caso in maggioranza donne, con alcuni uomini e minori. I prigionieri palestinesi sono stati rilasciati dalla prigione di Ofer a Ramallah, nella zona occupata della Cisgiordania. Sono stati accolti da centinaia di persone festanti.

In tutto, in questi 42 giorni Hamas libererà 33 ostaggi israeliani, e in cambio Israele libererà più di 1.000 prigionieri palestinesi. Alcuni dei prigionieri palestinesi sono condannati all’ergastolo per crimini violenti contro persone israeliane; altri sono detenuti senza accuse grazie alla “detenzione amministrativa”, una misura che consente alle autorità israeliane di arrestare e detenere persone per tempo indefinito senza processo. Nella Striscia di Gaza ci sono ancora circa 100 ostaggi, e Israele ritiene che circa un terzo di loro sia morto.

Il ritorno dei palestinesi a quello che resta delle loro case
L’esercito di Israele si è parzialmente ritirato anche dal nord della Striscia di Gaza, che da ottobre era stata di fatto messa sotto assedio. La stragrande maggioranza della popolazione del nord era stata costretta a lasciare le proprie case, e negli ultimi mesi c’erano stati combattimenti e bombardamenti molto duri.

Domenica molte persone che abitavano a nord sono rientrate in quello che resta delle loro case. Alcune immagini mostrano centinaia di persone che camminano tra le rovine delle proprie città. Secondo un’analisi di Reuters basata su immagini satellitari, è stato distrutto circa il 60 per cento degli edifici della Striscia, e oltre il 70 per cento nella zona settentrionale.

Persone ritornano a Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza, il 19 dicembre 2025

Persone ritornano a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 19 gennaio 2025 (AP Photo/Abed Hajjar)

Hamas si rifà vedere
Quasi immediatamente dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, centinaia o più probabilmente migliaia di miliziani e membri di Hamas sono usciti allo scoperto: alcuni pesantemente armati e con l’uniforme militare, altri con la divisa della polizia di Gaza. L’azione è stata chiaramente organizzata per dare all’esterno l’impressione che Hamas sia ancora forte e capace di dominare la Striscia. Non è chiaro però quanto Hamas, dopo mesi di guerra e gravi perdite, sia davvero potente.

Domenica l’ufficio delle comunicazioni di Hamas ha fatto sapere che migliaia di poliziotti avevano ricominciato a lavorare per riprendere il controllo della Striscia e «preservare la sicurezza e l’ordine», e che i ministeri e le istituzioni governate da Hamas avevano ripreso le operazioni «secondo il piano del governo». Anche in questo caso, è un tentativo di mostrare che Hamas ha il controllo della situazione.

Miliziani di Hamas nella città di Gaza il 19 gennaio 2025

Miliziani di Hamas nella città di Gaza il 19 gennaio 2025 (AP Photo/Abed Hajjar)

630 camion di aiuti
Uno dei punti dell’accordo prevede che durante il cessate il fuoco entrino almeno 600 camion di aiuti umanitari al giorno, un livello simile a quello di prima della guerra, quando i camion quotidiani erano almeno 500. Nel corso della guerra, in parte a causa dei blocchi di Israele e in parte a causa del crollo dell’ordine pubblico, nella Striscia sono sistematicamente entrati meno aiuti umanitari di quelli che sarebbero stati necessari.

Nel mese di dicembre, in media, erano entrati nella Striscia 76 camion di aiuti al giorno. Domenica ne sono entrati circa 630, organizzati in vari convogli: uno è entrato a Gaza dal varco di Kerem Shalom, nella punta sud-est della Striscia, un altro è arrivato da nord.

Reggerà?
Soprattutto nel governo israeliano di Benjamin Netanyahu ci sono molti esponenti contrari all’accordo per il cessate il fuoco, e convinti che Israele avrebbe dovuto continuare la guerra fino a raggiungere il proprio obiettivo dichiarato, cioè la distruzione di Hamas.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel dicembre 2024

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel dicembre 2024 (AP Photo/Maya Alleruzzo, Pool, File)

Il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, di estrema destra, all’entrata in vigore degli accordi si è dimesso e ha annunciato che il suo partito, Potere Ebraico, non sosterrà più il governo di Netanyahu. L’altro ministro di estrema destra del governo, Bezalel Smotrich, leader di Sionismo Religioso, ha detto che farà lo stesso se Israele non riprenderà la guerra dopo la tregua iniziale, cioè se andrà avanti con le fasi due e tre dell’accordo. Se anche Smotrich dovesse lasciare il governo, Netanyahu perderebbe la sua maggioranza alla Knesset, il parlamento israeliano.

Molte volte negli scorsi mesi lo stesso Netanyahu ha detto che Israele non avrebbe interrotto la guerra fino alla distruzione di Hamas, e ancora sabato sera, poco prima dell’inizio del cessate il fuoco, diceva: «Manteniamo il diritto di tornare alla guerra, se necessario, con il sostegno degli Stati Uniti».

Al tempo stesso, ora che il cessate il fuoco è cominciato è probabile che ci sarà una forte pressione sul governo israeliano per evitare una ripresa delle ostilità e riportare in libertà tutti gli ostaggi.