Corvetto è un po’ diverso da come ve l’hanno raccontato
Il quartiere milanese dove abitava Ramy Elgaml non è il solito posto periferico e “ghettizzato”, e i suoi problemi arrivano da lontano
di Luca Misculin

Nella parte più interna del quartiere Corvetto, alla periferia sudest di Milano, la facciata gialla di alcune case popolari si è scrostata ed è stata riparata frettolosamente con delle toppe grigie di calcestruzzo. Da fuori sembrano delle macchie, che rendono pezzato tutto il complesso. Interventi come questi sono il simbolo delle cattive condizioni delle case popolari nel quartiere, ritenuto da diversi abitanti il problema più pressante. Ma anche dell’eterogeneità di questa zona di Milano, dove convivono enormi complessi di case popolari e uffici, decine di associazioni grandi e piccole, centri culturali.
È un’immagine molto più sfaccettata di quella raccontata da giornali e tv che nei giorni scorsi hanno parlato a lungo di Corvetto. Nel quartiere infatti viveva Ramy Elgaml, un 19enne di origine egiziana morto a fine novembre alla fine di un lungo inseguimento dei carabinieri a Milano.
La morte di Elgaml ha provocato estese manifestazioni di protesta, riprese a gennaio quando sono emersi diversi video che mostrano una condotta quantomeno discutibile dei carabinieri che hanno inseguito per mezza città Elgaml e il suo amico Fares Bouzidi. I due, a bordo di uno scooter, non si erano fermati a un posto di controllo. La famiglia di Elgaml vive a poche decine di metri da una delle più note case “pezzate”, che si trova in via dei Cinquecento.

Uno degli edifici “pezzati” di Corvetto, in via del Cinquecento (Il Post)
Ormai da giorni Corvetto viene raccontato come il tipico quartiere abbandonato a se stesso, periferico e isolato, pericoloso a ogni ora del giorno e di fatto in mano a comunità straniere. È un’immagine difficile da conciliare con la realtà, nonostante esistano diversi problemi, cosa che chi vive nel quartiere non nega. «Dentro Corvetto ci sono tanti Corvetti», spiega Stefano Pasta, che per la Comunità di Sant’Egidio gestisce un centro di sostegno situato in mezzo alle case popolari.
Negli ultimi anni a Corvetto hanno aperto, fra le altre cose, la nuova sede di vari uffici comunali, uno studentato del Politecnico da 213 posti letto, uno spazio di lavoro condiviso dove si è trasferita la redazione del magazine Scomodo. Da qualche mese, poi, la vecchia bocciofila ha riaperto come centro di aggregazione per ragazzi e ragazze del quartiere con un finanziamento importante dell’ong ActionAid.
Tutto questo trambusto ha attirato le attenzioni di diverse persone che cercano casa a Milano, e Corvetto si sta popolando di nuovi abitanti in cerca di un posto a costi un po’ più accessibili rispetto ad altri quartieri e relativamente vicino al centro (la linea gialla della metro impiega 8 minuti per arrivare alla fermata Duomo da quella di Corvetto). Sono elementi che fanno pensare che sia iniziato un lento processo di gentrificazione. Secondo una stima del sito Immobiliare.it negli ultimi cinque anni in Corvetto il canone di affitto per un appartamento da 70 metri quadri è aumentato in media del 37,9 per cento, in linea con quartieri molto ricercati come quello di Bovisa, accanto a una grande sede del Politecnico.
Ultimamente il Comune ha anche ristrutturato alcune vie e piazzette del quartiere, fra cui forse una delle più suggestive della zona sud di Milano. Si trova all’inizio di via San Dionigi ed è un angolo piuttosto riparato dal traffico, dove alcune panchine sono sormontate da una statua di Gesù Cristo alta quasi tre metri. Gli abitanti chiamano la statua il Signurùn, “il gran signore”, con un’accezione divertita per via delle dimensioni un po’ incongrue della statua. È fatta di sabbia del Ticino impastata col cemento ma nessuno sa esattamente chi l’abbia realizzata o da quanto tempo sia lì: la leggenda vuole che qualcuno l’abbia trovata fra le acque del vicino canale agricolo Vettabbia. Nel 2022 un gruppo di abitanti del quartiere l’ha ripulita e restaurata.

La statua del “Signurun” in via San Dionigi (Il Post)
Al contempo, Corvetto rimane un quartiere percepito come problematico anche da chi ci vive e lavora. Già prima della pandemia il quartiere aveva uno dei redditi pro capite più bassi della città, mentre un bambino su dieci era a rischio di dispersione scolastica, due punti sopra la media cittadina. La sensazione di molti è che il COVID e le sue conseguenze – soprattutto l’aumento dell’inflazione e del costo della vita – abbiano acuito le difficoltà di moltissime persone, fra cui parecchie straniere o di origine straniera, che già vivevano una vita complicata e oggi percepiscono di avere ancora meno opportunità.
Corvetto è uno dei quartieri citati più spesso quando i giornali producono “mappe” delle zone più pericolose di Milano, e più di recente è stato inserito dal prefetto di Milano nelle cosiddette zone rosse dove in sostanza per le autorità cittadine è più facile emanare gli ordini di allontanamento previsti dal “daspo urbano”.
L’istituzione della zona rossa nel quartiere è soltanto una delle ultime risposte decise dalle autorità locali che riguardano la sicurezza. I controlli delle forze dell’ordine in quartiere sono sempre più frequenti, cosa che secondo alcuni ha reso ancora più tesi i rapporti con la comunità non bianca per via delle note pratiche di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine italiane. «I giovani delle periferie, soprattutto se arabi e neri, sanno che un fermo significa spesso un abuso, una violenza, forse la morte», ha detto il Comitato antirazzista, un’associazione che nelle ultime settimane ha contribuito a organizzare diverse manifestazioni in ricordo di Ramy Elgaml. Anche il padre di Elgaml parlando con Repubblica ha raccontato che «molti ragazzi sono arrabbiati, lo vedo», salvo poi specificare che secondo lui «Ramy non c’entra con questa rabbia».
A detta di tutti, comunque, i problemi del quartiere arrivano da lontano e riguardano non soltanto Corvetto ma diverse altre zone periferiche di Milano e delle principali città europee. In Corvetto, poi, sono resi ancora più gravi da cause specifiche che richiederebbero interventi strutturali, e di scala molto superiore anche rispetto a quanto fatto negli ultimi anni.
Come molti altri quartieri della periferia milanese, il quartiere Corvetto fino a qualche secolo fa non esisteva. Ancora nel 1870 l’unica struttura in questa zona era una cascina nota col nome di Gambaloita, o Gamboloita, la cui origine si è persa nel tempo: ancora oggi però si chiama con questo nome la parte nord del quartiere. Il nome Corvetto invece deriva da Luigi Emanuele Corvetto, avvocato genovese di epoca napoleonica a cui venne dedicata la piazza da cui è iniziato lo sviluppo urbano del quartiere.

Una mappa del 1870 della periferia sudest di Milano pubblicata dal sito Urbanfile
I primi a costruire in serie in questa zona furono i fascisti, che nel 1925 realizzarono i primi complessi di case popolari per ospitare le persone migranti che dal Sud Italia arrivavano a Milano per lavorare nelle fabbriche della città. Furono costruiti quattro grandi isolati a forma di trapezio a ovest di una grande piazza, intitolata allo scrittore mazziniano Gabriele Rosa: all’epoca era il complesso di case popolari più grandi in città. Nel Secondo dopoguerra, fra il 1949 e il 1952, furono poi realizzati in serie e attaccati al primo complesso altri quattro isolati di case popolari, sempre intorno a piazza Rosa.
Tutti gli isolati esistono ancora oggi, e sono ben visibili dall’alto: sono gli edifici tutti uguali e dalla forma squadrata a sud di piazza Rosa.
Oggi gli urbanisti tendono a evitare di costruire complessi di case popolari troppo attaccati gli uni agli altri: l’alternanza con uffici, complessi residenziali, aree verdi e altre strutture pubbliche e private è ritenuta un valore e un modo per evitare che un certo quartiere, abitato perlopiù da persone ai margini, possa isolarsi e vivere una vita quasi parallela rispetto alla città.
È esattamente quello che è successo alle case popolari di Corvetto: anche perché in nessun altro quartiere di Milano esiste un isolato di case popolari di queste dimensioni. Il famigerato “quadrato” di Giambellino, un altro quartiere periferico e percepito come più problematico di altri, è grande un terzo. Anche il quartiere popolare di Gratosoglio, forse il più problematico in assoluto di Milano, è più piccolo dell’isolato di case popolari di Corvetto.
A Corvetto questo processo è iniziato negli anni Novanta, quando le famiglie di operai, invecchiando, si sono trovate come vicine le prime persone che arrivavano qui dal Nord Africa. La transizione non è stata accompagnata dall’amministrazione comunale, che allora era controllata dalla destra, e una volta saltate le reti operaie di solidarietà sono emersi conflitti, tensioni, occupazioni abusive, microcriminalità. È la storia di Corvetto ma anche di molti altri quartieri periferici di Milano.
«La violenza la vedevo in strada, bastava guardare fuori dalla finestra», ha raccontato qualche tempo fa a un gruppo di studenti di giornalismo Josh MCK, musicista e rapper cresciuto in piazza Rosa. La sua canzone più famosa si intitola “Corvetto è”, è uscita nel 2013 e contiene il consolidato approccio identitario di chi cresce in un posto stigmatizzato e cerca di riappropriarsi con orgoglio di quegli stereotipi.
Da una decina d’anni, però, si sono moltiplicati gli sforzi pubblici e privati per trovare delle soluzioni. «I problemi ci sono ma ci sono anche tante esperienze che si danno da fare. A Corvetto c’è una rete di associazionismo laico e cattolico abbastanza unica» per quantità e qualità, dice Pierfrancesco Majorino, consigliere regionale del Partito Democratico molto attivo da anni nel quartiere.
La più presente è la Comunità di Sant’Egidio. «Siamo arrivati a Corvetto nei primi anni Novanta, seguendo alcuni italiani anziani che vivevano nelle case popolari di Porta Romana e che a seguito della trasformazione di quel quartiere furono trasferiti al Corvetto», racconta Pasta. Oggi hanno la sede in via dei Cinquecento, davanti alla casa “pezzata”, e le loro attenzioni sono rivolte soprattutto ai moltissimi ragazzi e ragazze del quartiere (le famiglie di persone migranti, a Milano come altrove, fanno più figli della media).
Seguono un centinaio fra bambini e ragazzi con attività di doposcuola e di “educazione alla pace”, come la chiamano loro: programmi culturali per arrivare dove le scuole e le famiglie del quartiere non riescono, cercando fra le altre cose di mettere in contatto i più giovani con gli abitanti anziani del quartiere, molti dei quali soli e senza famiglia. Le notizie dei ritrovamenti dei loro corpi nelle case popolari, giorni o settimane dopo la loro morte, sono sempre più comuni.
Pasta ha notato che in queste settimane, dopo la morte di Elgaml, i ragazzi e le ragazze del quartiere si sono sentiti etichettati e respinti da un racconto di Corvetto schiacciato sulla criminalità e i problemi della zona. «Un ragazzo che fa la quarta superiore e che in questi giorni farà l’orientamento per entrare al Politecnico, nato in Marocco ma cresciuto qui, sentendo questi discorsi mi ha detto: “noi siamo la coda di Milano”», racconta Pasta. «La nostra sfida è crescere una generazione che non si senta trattata come la coda. Il rischio che si crei l’etichetta dei “ragazzi di Corvetto” non ce lo possiamo permettere».

Un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio fra abitanti giovani e anziani del quartiere Corvetto (Comunità di Sant’Egidio)
Corvetto ha circa 30mila abitanti ma non esistono molti dati affidabili per capire quanti vivano in condizioni precarie: nelle case popolari c’è un certo ricambio e le persone che le occupano abusivamente sono praticamente invisibili. Sono frequenti i casi di case affittate a una persona dove magari dormono in 8: possono essere muratori che lavorano nei vari cantieri di Milano oppure cugini e amici arrivati senza documenti che vanno ad abitare con l’unica persona che conoscono in città. A Natale la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato tre pranzi gratuiti: dalle case popolari sono scese circa 400 persone.
Accanto a Sant’Egidio operano molte altre cooperative: c’è La Strada, attiva da più di quarant’anni, che segue giovani, anziani e famiglie in difficoltà, Casapace, che gestisce una scuola di italiano, e molte altre. Il magazine Vita ha contato in tutto il Municipio 4 – quello di cui fa parte il Corvetto, oltre ad altri quartieri più piccoli della periferia sudest – 123 fra associazioni di volontariato e promozione sociale iscritte al Registro Nazionale Terzo Settore (RUNTS). Molte di loro sono attive proprio in Corvetto. Negli anni sono nati diversi progetti anche piuttosto creativi, come alcuni per l’autogestione delle case popolari: al posto di appoggiarsi completamente all’amministrazione pubblica, i condomini si organizzano ed eleggono un rappresentante che fa le veci dell’amministratore di condominio, più o meno.
In via dei Panigarola, a pochi passi da piazza Rosa, uno dei condomini è “amministrato” ormai da 7 anni da Katia Montinaro. Salentina, impiegata, vive qui da vent’anni. Nel suo palazzo c’è «un mix sociale di italiani e immigrati», racconta, regolari e abusivi. Lei tratta tutti allo stesso modo, anche perché col tempo si è accorta che diversi dei suoi vicini abusivi sono costretti a farlo «per necessità: vanno a fare i colloqui ma nessuno li assume regolarmente».
Per la destra e per alcune associazioni di residenti vicine ai loro partiti, il problema dell’abusivismo è alla base delle condizioni precarie di queste zone del quartiere. Già nel 2014 la Lega chiese una specie di censimento «casa per casa, piano per piano per vedere chi ha diritto e chi se ne deve andare». Il centrosinistra invece accusa ALER, la società controllata dalla Regione (quindi dalla destra) che gestisce la gran parte delle case popolari di Corvetto, di investire troppo poco e di tenere parecchie case sfitte o in cattive condizioni.
ALER ha fatto sapere al Post che dei 2.647 alloggi che gestisce in Corvetto 275 sono occupati abusivamente (circa uno su dieci, quindi). Non è chiaro, invece, quanti ce ne siano liberi e sfitti: secondo una stima citata da Majorino sono circa 400, ma la cifra esatta non è disponibile. ALER ricorda comunque che fra 2023 e 2024 ne ha sistemati in tutto 126, mentre nel 2025 prevede di ristrutturarne altri 50.
Katia Montinaro dice che dopo un primo momento di confronto, in cui spiega agli inquilini abusivi per esempio come si fa la raccolta differenziata, anche con loro «si crea un rapporto di rispetto e amicizia: sanno chi sono e mi chiamano per qualsiasi cosa di cui hanno bisogno». Nemmeno a Montinaro piace l’immagine superficiale di Corvetto che legge sui giornali. Al contempo, però, dice di non sentirsi sicura ad uscire la sera. «Si vedono in giro tante persone che delinquono, che spacciano: non me la sento».

Uno scorcio di via Mompiani, a pochi passi da piazza Rosa (Il Post)
Nell’isolato fatto interamente di case popolari, che misura circa 400mila metri quadrati, è anche l’urbanistica a impedire soluzioni semplici. Di sera le famiglie rimangono a casa, le scuole e le associazioni culturali sono chiuse, non ci sono aree verdi disponibili e i bar sono pochi. Molte persone rimangono per strada, senza molto da fare. Da qualche mese alcuni gruppi si radunano intorno a baracchini, spesso abusivi, che vendono cibo e alcool.
In origine il quartiere non era stato pensato così: in via Osimo ci sono ancora alcune strutture progettate dal noto architetto milanese Arrigo Arrighetti, con appartamenti popolari al primo piano e file di negozi al pianoterra, quasi tutti chiusi da tempo perché di soldi ne girano pochi (resiste soltanto una pizzeria da asporto).

Una delle strutture progettate da Arrighetti in via Osimo (Il Post)
In questi anni anche il Comune ha provato a fare la sua parte: oltre alle riqualificazioni urbanistiche ha un piano per abbattere alcune case popolari, come quelle di via Barzoni 11, anche loro vicino a piazzale Rosa, per ricostruirle da capo, ospitando le 40 famiglie che oggi abitano negli edifici da abbattere più alcune altre. Durante il secondo mandato dell’amministrazione di Beppe Sala inoltre sono stati inaugurati i nuovi uffici del Comune – che però sono fuori dall’isolato delle case popolari, appena più a nord – e lo studentato del Politecnico.
A metà del secondo mandato di Sala rimangono comunque alcune questioni urbanistiche irrisolte: per esempio cosa fare del vecchio mercato comunale, situato accanto alle case popolari, e del cavalcavia della tangenziale che le separa dagli edifici residenziali a nordest, di cui ormai da anni si discute l’abbattimento.

Il vecchio mercato comunale del Corvetto (Il Post)
Al momento, poi, non esiste un piano complessivo per riqualificare il quartiere nel suo complesso: anche perché ci vorrebbero un sacco di soldi che anche un Comune ricco come Milano non ha e quindi non può stanziare. Soprattutto visto che la gestione di gran parte delle case popolari è della Regione.
Dal canto suo il governo regionale insiste nel dire che a Corvetto esista soprattutto un problema di sicurezza. ALER ha fatto sapere al Post che «nel corso degli ultimi anni e mediante i finanziamenti regionali il quartiere è stato interamente oggetto di posa di telecamere per la videosorveglianza (79) che sono quindi stati installate in tutti i civici presenti nel quartiere stesso, a servizio delle Forze dell’ordine. Inoltre, da ottobre è stato avviato un nuovo servizio di sicurezza e vigilanza, grazie ai finanziamenti regionali del Piano Antiabusivismo, con la presenza di una guardia armata attiva 7 giorni su 7 nelle ore serali e notturne».
Per Majorino e più in generale per il Partito Democratico, cioè il partito che di fatto governa la città dal 2011, Corvetto ha invece bisogno «sia di più educatori sia di più polizia, non basta una risposta senza l’altra».