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  • Lunedì 13 gennaio 2025

Perché l’Isis non ha rivendicato l’attacco a New Orleans

Ma ha detto di averlo apprezzato: nell'auto dell'attentatore era stata trovata una bandiera del gruppo terroristico

Un poliziotto sorveglia una manifestazione in memoria delle vittime dell'attacco di New Orleans, 2 gennaio 2025 (Michael DeMocker/Getty Images)
Un poliziotto sorveglia una manifestazione in memoria delle vittime dell'attacco di New Orleans, 2 gennaio 2025 (Michael DeMocker/Getty Images)
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Lo Stato Islamico non ha rivendicato l’attacco a New Orleans del 1° gennaio, ma lo ha approvato in modo distaccato e generico con un editoriale pubblicato nove giorni dopo sul suo bollettino settimanale, che si chiama al Naba. Lo stesso editoriale prende le distanze dall’attentatore, il texano Shamsud-Din Bahar Jabbar, e lo chiama con espressioni neutre come «un americano influenzato dalla propaganda dello Stato Islamico», «un uomo sulla quarantina» o anche soltanto «l’uomo», invece che usare le espressioni che adotta in questi casi come il mujahid, che in arabo vuol dire il combattente della guerra santa, oppure «il martire» o «il leone», tutti termini che di solito abbondano nei comunicati successivi a un attacco.

Può essere che al gruppo terroristico non piacesse Jabbar, che nelle due ore precedenti l’attentato aveva pubblicato cinque video sulla sua pagina Facebook, non più disponibile, nei quali confessava che avrebbe voluto convocare la sua famiglia per una riunione con il pretesto di festeggiare il nuovo anno e poi sterminarla. Poi l’uomo diceva di avere cambiato idea e di avere scelto di fare l’attentato. 

Jabbar, ex militare specialista di informatica rimasto senza lavoro, divorziato e con problemi finanziari, da tempo dava segni di instabilità secondo alcuni conoscenti. Nei video pubblicati prima dell’attacco racconta di avere scelto di unirsi allo Stato Islamico a causa di un sogno. 

Al furgone con il quale ha fatto l’attentato a New Orleans Jabbar aveva legato una bandiera dello Stato Islamico, disegnata male a quel che si vede dalle immagini. Alle tre del mattino del 1° gennaio il texano aveva guidato contro i pedoni a Bourbon Street, una via storica del quartiere francese, poi era sceso e aveva cominciato a sparare. Aveva ucciso quattordici persone e ne aveva ferite trentacinque prima di essere ucciso dai poliziotti. 

(AP Photo/Gerald Herbert)

Nell’editoriale lo Stato Islamico dice che la casella nella quale riceve i messaggi da tutti gli attentatori sparsi per il mondo che agiscono in suo nome è sempre piena (è un linguaggio figurato, non esiste una singola casella di posta elettronica dello Stato Islamico da contattare), ma che non tutti gli attacchi sono rivendicati dal gruppo. Esistono dei criteri e degli standard minimi, sostiene l’editoriale, ma non spiega quali siano. 

Spesso negli attacchi l’attentatore o gli attentatori sono in grado di fornire allo Stato Islamico video girati prima o durante l’attacco che nessun altro può avere. A volte lo Stato Islamico rivendica gli attentati dopo alcuni giorni, soprattutto se l’attentatore è ancora vivo e in fuga. A volte non rivendica del tutto, per motivi che sono noti soltanto al gruppo terroristico. 

A dispetto della mancata rivendicazione ufficiale, lo Stato Islamico sostiene di avere apprezzato l’attacco a New Orleans e in particolare l’uso da parte dell’attentatore di occhiali con telecamere incorporate, che permettono di registrare e di trasmettere in diretta quello che vede chi li indossa. Ma, si rammarica il gruppo, gli occhiali indossati da Jabbar non hanno trasmesso in diretta l’attacco. 

L’editoriale prosegue spiegando che il sistema di propaganda dello Stato Islamico è in grado di convincere alcune persone a fare attentati un po’ ovunque e che questi attentati hanno costi irrisori, a differenza di altre grandi operazioni terroristiche che possono costare più di centomila dollari.