La “nevicata del secolo”, quarant’anni fa
Nel 1985 investì tutta Italia nel pieno di un freddo eccezionale: viene ancora ricordata con una certa nostalgia

Il 13 gennaio del 1985, una domenica, le temperature in buona parte del Centro e del Nord Italia erano sotto lo zero, e nel giro di poche ore città, strade e campagne cominciarono a essere ricoperte da decine di centimetri di neve. Fu l’inizio di una nevicata che durò per giorni e che, insieme alle altre eccezionali nevicate di quel mese, fu ricordata come «la grande nevicata del 1985», o «la nevicata del secolo».
All’inizio di gennaio c’erano state forti nevicate in Sardegna, in Toscana e nel Lazio, così come in Calabria, in Basilicata e in Campania, che poi arrivarono in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Trentino. Non furono le singole nevicate più abbondanti nella storia recente italiana, ma sono ricordate ancora oggi come un evento storico e probabilmente irripetibile sia per la loro diffusione, sia perché coinvolsero decine di milioni di persone in un periodo di grande cambiamento per l’Italia, allora guidata dal primo governo del socialista Bettino Craxi.
Ci furono enormi disagi alla circolazione, soprattutto nelle città meno abituate a gestire la neve. Fabbriche e scuole vennero chiuse e migliaia di famiglie rimasero isolate, mentre centinaia di volontari si riversarono nelle strade per spalare la neve assieme a operai e soldati. Al contempo per molte persone fu un’occasione per usare sci o slittini in città e godersi un paesaggio raro, se non mai visto.

Una persona sugli sci in piazza San Pietro nel gennaio del 1985 (ROBERTO KOCH/ CONTRASTO)
Il dicembre del 1984 era stato insolitamente mite, poi attorno al Natale delle correnti di origine balcanica portarono il freddo anche in Italia. Come ha spiegato il meteorologo Giulio Betti, a fine anno subentrò un fenomeno noto come sudden stratospheric warming, che per semplificare molto portò «uno ‘tsunami’ d’aria artica» verso l’Europa a partire da un flusso d’aria molto calda nel vortice polare: fu così che iniziò «ufficialmente una delle più intense ondate di freddo del ventesimo secolo», dice Betti, a cui seguì «l’evento dell’evento, la più duratura e copiosa nevicata del ventesimo secolo» sulla pianura Padana.
Le prime nevicate eccezionali furono soprattutto al Centro e al Sud tra il 4 e il 9 gennaio. Nevicò lungo la costa nord della Sicilia, papa Giovanni Paolo II lesse l’Angelus dell’Epifania al cospetto di una piazza San Pietro innevata e, sempre a causa della neve, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) fu rinviata un’attesa udienza del processo contro Raffaele Cutolo e la Nuova camorra organizzata. Intanto per una serie di successivi fenomeni meteorologici arrivò il gelo al Centro e al Nord. A Firenze si registrarono -23 °C, a Piacenza -22 °C e a Vicenza -20 °C; il 10 gennaio a Milano la minima fu di -14 °C, la massima di -6,5 °C.
Tra il 13 e il 14 gennaio cominciò infine a nevicare. Nel giro di tre giorni nelle province di Trento, Varese, Como e Belluno cadde più di un metro di neve, anche in pianura; a Piacenza e Brescia si arrivò attorno ai 90 centimetri, come a Milano, dove smisero di circolare tutti i mezzi pubblici tranne la metropolitana.

Un’auto ricoperta di neve a Milano nel gennaio del 1985 (AFFER/ RCS/CONTRASTO)
«Milano è in una morsa», titolava in quei giorni in prima pagina il quotidiano milanese Il Giorno. Stampa Sera, l’edizione serale della Stampa di Torino, che oggi non esiste più, parlava di una «città al rallentatore per la neve», con tremila uomini e 500 mezzi impegnati nelle operazioni per rimuoverla. Con temperature così basse ghiacciarono i tratti di diversi fiumi, tra cui Po e Adige, così come molte tubature dell’acqua.
Gli ospedali si riempirono di persone coinvolte negli incidenti stradali oppure ferite dopo essere scivolate sul ghiaccio, hanno raccontato nel libro La nevicata del secolo. L’Italia nel 1985 il giornalista Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri, docente di Storia moderna all’Università Federico II di Napoli. Porti e aeroporti erano impraticabili, e gli snodi ferroviari bloccati dal ghiaccio; i prezzi delle verdure iniziarono a salire, mentre cominciarono a scarseggiare le medicine e il gasolio per il riscaldamento.
In più c’era il rischio della neve depositata su tetti e tettoie. A Milano crollò la copertura del velodromo Vigorelli, che era stato riaperto pochi mesi prima dopo una chiusura di quasi dieci anni. La neve distrusse anche il palazzo dello sport vicino a San Siro, inaugurato nel 1976 e mai più ricostruito.

Un uomo cammina su un marciapiede accanto a un cartello con la scritta: “pericolo valanga”, Milano, gennaio 1985 (BORSOTTI/ RCS/ CONTRASTO)
«Non sapevo più a che santo votarmi», ha raccontato al Giorno Gianpaolo Colizzi, allora presidente dell’AMSA, l’azienda che gestisce i rifiuti urbani a Milano. I mezzi erano adatti a gestire quantità inferiori di neve e ghiaccio, il sale non bastava e «anche la segatura aveva prezzi assurdi». Così il sindaco di Milano, Carlo Tognoli, chiese l’intervento dell’esercito, e Colizzi i carri armati. I soldati intervennero anche in altre città. Per liberare le strade dalla neve e dal fango si diedero da fare un po’ tutti.
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Prima di allora in Italia c’erano stati un gelo eccezionale nel febbraio del 1956 e singole nevicate più abbondanti sia tra il 1940 e il 1941 che tra il 1946 e il 1947. Quello del 1985 tuttavia fu un evento straordinario non solo per la sua intensità, ma anche per la sua estensione. Inoltre, nelle parole del meteorologo Luca Mercalli, accadde in «un’Italia in pieno sviluppo tecnologico e demografico», in cui ogni giorno milioni di persone dovevano spostarsi in treno o in auto per lavoro o – dato il periodo – per il rientro dalle vacanze. Secondo Mercalli insomma non fu «nulla di nuovo se confrontato con nevicate ben più imponenti cadute su un mondo rurale molto più lento e fatalista».

Un gruppo di persone spala la neve durante la nevicata a Milano (BORSOTTI/ RCS/ CONTRASTO)
La gestione dell’emergenza fu affidata al ministro dei Trasporti Claudio Signorile e a quello della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti. La complessità della situazione comunque accentuò le divisioni tra il Sud, poco attrezzato per eventi simili, e il Nord, più preparato ma comunque in grosse difficoltà.
Tra le lamentele della popolazione e le accuse di inefficienza contro le amministrazioni locali il 16 gennaio se ne discusse in parlamento, dove Signorile sottolineò «il carattere eccezionale, realmente eccezionale, delle precipitazioni e delle condizioni meteorologiche». Il sistema aveva «funzionato nel miglior modo possibile, date le circostanze», disse.

Una fila di tram bloccati durante la nevicata a Milano (AFFER/ RCS/CONTRASTO)
L’eccezionalità delle nevicate del 1985 sta anche nel fatto che furono il primo evento meteorologico di questo tipo a essere ampiamente documentato con le macchine fotografiche e le cineprese di migliaia di persone in tutta Italia, ma soprattutto, e con ogni probabilità, l’ultimo di questa portata.
Alla fine degli anni Ottanta si cominciò a parlare sempre più spesso di riscaldamento globale, ma tranne che nella comunità scientifica al tempo non c’era la percezione del suo reale impatto sul clima e sui fenomeni meteorologici. Oggi invece chiunque viva nella pianura Padana si rende conto facilmente che le nevicate sono sempre più rare e di certo non così abbondanti.
Per Greco e Palmieri in questo senso la nevicata del 1985 «è molto più legata al dopo che al prima». Viene percepita «quasi come una leggenda, un racconto fantastico che narra di un mondo che non esiste più», dice Betti, e forse è per questo che esercita ancora così tanto fascino su chi se la ricorda, nonostante i grandi disagi di allora. Sembrano confermarlo molti commenti che si possono leggere in questi giorni sui giornali. Il ricordo di Settimo Gottardo, che nel 1985 era sindaco di Padova, «è quello di una spontanea, grande festa popolare». Per L’Eco di Bergamo è stata «una magia lunga 40 anni».