Erdogan sta cambiando la sua bizzarra politica economica?

Lo farebbero pensare le sue prime mosse dopo la rielezione, a partire dalla nomina di un ministro dell'Economia molto rispettato

(Burak Kara/Getty Images)
(Burak Kara/Getty Images)
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Le ultime decisioni e nomine del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, appena rieletto per un nuovo mandato, stanno facendo sperare molti analisti che la Turchia potrebbe normalizzare le proprie politiche economiche, dopo che negli ultimi anni alcune decisioni controverse di Erdogan soprattutto in politica monetaria avevano provocato un gravissimo aumento dell’inflazione e un forte deprezzamento della lira turca.

In particolare, in questi giorni è stata molto discussa la nomina come ministro dell’Economia di Mehmet Simsek, un economista molto autorevole che aveva già fatto parte del governo turco una quindicina d’anni fa, in uno dei periodi di massima espansione economica del paese. La sua nomina potrebbe riportare le politiche economiche turche su un percorso più ortodosso rispetto a quelle promosse da Erdogan negli ultimi anni.

Erdogan governa il paese da circa 20 anni e da tempo sta portando avanti politiche economiche estremamente controverse e contrarie all’ortodossia riconosciuta dalla maggior parte degli economisti su questioni come l’inflazione e la spesa pubblica: queste politiche sono riuscite a far crescere in modo considerevole l’economia, ma hanno portato a costi sociali che rischiano di diventare insopportabili, e di impoverire la popolazione sul lungo periodo. Ormai da alcuni anni l’inflazione in Turchia è altissima, e negli scorsi mesi aveva superato l’80 per cento.

La maggior parte degli economisti ritiene che la situazione dell’economia turca stia diventando insostenibile, e per questo, poco dopo la sua nomina, Simsek ha detto che «la Turchia non ha altra scelta che tornare alla razionalità» nelle scelte di politica economica. Le probabilità che le cose cambino in meglio dipenderanno molto da quanto margine di manovra avrà davvero Simsek nel definire le politiche economiche della Turchia o se, come alcuni temono, la sua resterà solo una nomina di facciata per rassicurare gli investitori internazionali.

Simsek è già stato in passato un membro del governo di Erdogan, come ministro dell’Economia dal 2009 al 2015 e come vice primo ministro dal 2015 al 2018. Ha gestito le conseguenze della crisi finanziaria del 2008-2009 e ha contribuito a una notevole crescita economica negli anni immediatamente successivi. Poi però qualcosa è cambiato e ha perso autorevolezza e influenza all’interno del governo, fino a che nel 2018 è stato sostituito da Berat Albayrak, il genero di Erdogan. Da allora il presidente ha adottato politiche economiche sempre più controverse.

Tra le varie quella più bizzarra è stata la gestione dei tassi di interesse, in direzione contraria rispetto all’ortodossia economica più diffusa: sono stati ridotti quando invece era necessario aumentarli.

Da tempo la Turchia ha un serio problema di inflazione: il livello generale dei prezzi è aumentato molto dopo la pandemia e le cose si sono aggravate con l’inizio della guerra in Ucraina. La classica risposta a un’inflazione così alta è l’aumento dei tassi di interesse di riferimento, ossia il costo del denaro a cui le banche centrali prestano alle altre banche. L’obiettivo è “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, in cui si vuole consumare di più di quanto il sistema riesca a produrre, con un conseguente aumento dei prezzi.

La Turchia sta al contrario perseguendo una sorta di esperimento economico: Erdogan sta tenendo forzatamente bassi i tassi di interesse perché vuole preservare la crescita economica in ogni modo, anche a costo di far aumentare moltissimo i prezzi. Bassi tassi di interesse invogliano a prendere a prestito denaro per comprare cose o investire. Per esempio le persone comprano più case, così si assumono più operai per costruirle o ristrutturarle, questi a loro volta spenderanno e l’economia cresce. In più, il fatto che la lira turca sia così debole rappresenta un incentivo alle esportazioni: per chi acquista in valuta estera è relativamente meno costoso comprare beni turchi perché può avvantaggiarsi di un cambio favorevole.

Quando l’economia si “surriscalda” i prezzi iniziano ad aumentare molto: di solito è il momento in cui le banche centrali alzano i tassi di interesse per far rallentare l’economia. In Turchia la banca centrale non è indipendente, come dovrebbe essere, ma risponde alle logiche politiche dettate dal presidente Erdogan, che sta di fatto “dopando” l’economia turca per mantenere il consenso: la banca centrale turca ha abbassato i tassi mese dopo mese, andando esattamente nella direzione opposta rispetto a tutte le banche centrali dell’Occidente. Ma in Turchia i banchieri centrali non hanno scelta se non fare quello che viene detto loro dal presidente, altrimenti vengono licenziati.

Dall’autunno del 2021 i tassi di interesse si sono ridotti di dieci punti e la crescita economica è stata sostenuta così: il PIL è cresciuto dell’11 per cento nel 2021, del 5 nel 2022 e del 4 nel primo trimestre di quest’anno. Tutto questo al costo di un’inflazione altissima, che lo scorso anno ha raggiunto il picco dell’86 per cento per poi piano piano ridursi al 44 per cento di aprile.

A causa del fatto che i prezzi aumentano a ritmo molto maggiore dell’aumento dei salari, la popolazione turca è sempre più impoverita e il governo nel tempo ha risposto con alcune misure popolari ma economicamente inopportune allo scopo di riguadagnarne il favore, come l’aumento dei salari e delle pensioni minime e la riduzione dell’età pensionabile. Benché siano in grado di dare sollievo alla popolazione, queste misure hanno effetti temporanei e alla lunga non fanno che peggiorare la situazione, secondo la maggior parte degli economisti.

Una prima mossa di normalizzazione delle politiche economiche potrebbe essere proprio invertire le decisioni sui tassi di interesse: aumentarli consentirebbe all’economia di rallentare e così i prezzi smetterebbero di crescere. La prossima decisione sui tassi sarà annunciata il 22 giugno.

La vera questione riguarda quanto margine di azione avrà il nuovo ministro dell’Economia, ossia se effettivamente farà una concreta inversione di rotta delle politiche economiche oppure se la sua nomina è solo formale e volta a rassicurare gli investitori finanziari, che però hanno bisogno di vedere azioni concrete e non è detto che si lascino rassicurare solo dalla nomina.

Infatti, dalla formazione del governo non si è comunque arrestato un grosso calo del valore della lira turca, che nel giro di 5 anni ha perso l’80 per cento del suo valore contro il dollaro e che nella scorsa settimana ne ha perso ulteriormente. Questo perché gli investitori ritengono che la banca centrale abbia finito le sue riserve di valuta per intervenire sui mercati. La banca ha venduto decine di miliardi di dollari per sostenere la lira turca in vista delle elezioni del mese scorso: una politica che ha aiutato Erdogan a ottenere un terzo mandato come presidente, ma che ha esaurito le casse della banca.

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