Lo sfruttamento dei rider si regge anche sui “bot”

Sono programmi a pagamento usati da “caporali digitali” per aggirare l'algoritmo, ottenere più consegne e smistarle a gruppi di rider alle loro dipendenze

di Angelo Mastrandrea

(Mauro Scrobogna/LaPresse)
(Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Luigi Serilli è stato il primo rider di Glovo a Rieti. Cominciò a lavorare il 27 novembre 2019, il giorno in cui la multinazionale spagnola inaugurò il servizio di consegna del cibo a domicilio in città. Qualche giorno prima aveva scaricato sul suo cellulare Glovo Courier, l’app che organizza le consegne per i fattorini, si era registrato e l’azienda gli aveva attivato l’account personale. La mattina del 27 novembre aprì il programma, entrò con il riconoscimento facciale e rimase in attesa. Quando sull’app arrivò la prima proposta di consegna, con il percorso e il compenso previsti, accettò e partì con la sua bicicletta.

All’inizio il lavoro andava bene. Il lunedì e il giovedì, a partire dalle due del pomeriggio, l’app apriva gli slot, cioè le fasce orarie che i rider potevano prenotare in base a una graduatoria basata sull’anzianità di servizio, sull’assenza di richiami o recensioni negative e sulla disponibilità rispetto alle offerte ricevute nelle cosiddette «ore diamante», quelle serali del fine settimana. Serilli non aveva problemi a selezionare i turni che preferiva. Poi, già durante il primo lockdown per la pandemia da coronavirus nella primavera del 2020, quando la domanda di cibo da asporto aumentò e con lei anche il numero dei fattorini, si accorse che spesso molte fasce orarie erano già state occupate da qualcun altro, nonostante il ranking alto che gli avrebbe dovuto garantire una priorità nella scelta.

È accaduto quando alcuni rider «disonesti», come li definisce, hanno iniziato a usare un programma che si aggancia a Glovo Courier e prenota in maniera automatica le fasce orarie prima che lo facciano gli altri.

– Leggi anche: Come funzionano gli algoritmi dei rider

Tra le compagnie della cosiddetta gig economy, l’economia basata su chi lavora in maniera saltuaria e flessibile, solo Just Eat ha assunto con un regolare contratto i suoi 4mila rider. Le altre considerano i fattorini come lavoratori autonomi, che gli algoritmi mettono in competizione fra loro. Questo sistema ha fatto nascere diversi sistemi di sfruttamento: dai bot, programmi a pagamento che consentono di aggirare l’algoritmo e ottenere più consegne, a servizi di dubbia legalità che creano account falsi per i migranti senza documenti, passando per i “caporali digitali” che prendono gli ordini con i bot e li smistano ai rider che lavorano al loro servizio.

Il bot si scarica a pagamento da alcuni siti internet. Generalmente con questo termine si intende un software automatizzato e programmato per eseguire determinate azioni online. Una volta installato consente di scavalcare il sistema di assegnazione dei turni basato sulla graduatoria, anche detta ranking reputazionale, accaparrandosi gli orari migliori. In questo modo molti rider prendono tutte le consegne e ottengono l’ulteriore risultato di guadagnare punti nel ranking reputazionale.

Chi non ha un bot è costretto ad accontentarsi degli slot rimasti. In questo modo per quelli che Serilli definisce «rider onesti» si innesca una spirale negativa: le consegne diminuiscono e il ranking reputazionale si abbassa, e perdendo punti in graduatoria si abbassano anche le probabilità di lavorare. Acquistare un bot costa in media tra i 40 e i 50 euro, poi è necessario fare un abbonamento mensile, versando in genere attorno ai 10 euro. Qualcuno offre la possibilità di un abbonamento annuale, tra gli 80 e i 100 euro. A detta dei rider sentiti dal Post il bot conviene nonostante i costi, perché di fatto permette di lavorare di più. Se non ti abboni invece rimani escluso.

«Non mi sono piegato a questo sistema e per questo non riesco più a ottenere un numero di consegne sufficiente a guadagnarmi da vivere», dice Serilli, che agli inizi lavorava per Glovo anche sette giorni su sette e ora deve accontentarsi di non più di due ore alla settimana. Per questo ha scaricato anche la app Deliveroo Rider, dell’omonima compagnia inglese di consegne.

Deliveroo non applica la graduatoria ai rider. Ha cambiato dopo che il 31 dicembre 2020 il tribunale del lavoro di Bologna, accogliendo un ricorso presentato da vari sindacati, ha giudicato l’assegnazione delle consegne in base a un punteggio come un comportamento discriminatorio nei confronti dei rider. Ora Deliveroo utilizza un sistema aperto, fondato sul cosiddetto free login. In sostanza i rider ricevono le proposte di consegna ogni volta che si collegano alla app, senza doversi mettere in coda per prenotare i turni di lavoro.

L’azienda paga a Serilli 3,77 euro lordi per ogni consegna entro i cinque chilometri, con un minimo tariffario di 11 euro lordi l’ora, come prevede il contratto che AssoDelivery, l’associazione di rappresentanza delle imprese di consegna a domicilio, ha firmato con il sindacato Ugl rider a settembre del 2020. Deliveroo lo ha applicato nonostante i sindacati maggiori, Cgil, Cisl e Uil, non lo abbiano riconosciuto: lo definiscono un «accordo pirata», poiché sarebbero stati esclusi dalle trattative.

Una manifestazione di protesta dei rider a Torino, 28 dicembre 2019 (Nicolò Campo/LaPresse)

Inoltre contestano il fatto che i fattorini in bicicletta e in motorino non siano riconosciuti come dipendenti della compagnia, ma come lavoratori autonomi ai quali viene riconosciuta una paga oraria minima. Cgil, Cisl e Uil hanno invece firmato il contratto che ha riconosciuto 4mila rider di Just Eat come lavoratori subordinati, pagati in base al contratto nazionale della logistica, con il diritto alle ferie, ai giorni di malattia retribuiti e al trattamento di fine rapporto.

Un rider milanese, Giuseppe Di Maggio, ha fatto ricorso contro il contratto di AssoDelivery e ha vinto. Il 24 febbraio la Corte di Appello di Milano gli ha riconosciuto il rapporto di subordinazione e ora Deliveroo dovrà retribuirlo per 40 ore alla settimana e pagargli 14 mensilità, calcolate sulla base del contratto nazionale dei lavoratori del commercio. «Ho fatto ricorso contro il contratto perché lo consideravo un cottimo camuffato: mi pagavano per il tempo stimato di consegna, calcolato dall’algoritmo senza tenere conto di fattori variabili come il traffico o il tempo d’attesa davanti al locale», racconta Di Maggio. La Cgil ha vinto in primo grado altri due ricorsi contro il contratto di Deliveroo, a Bologna e Firenze, ma l’azienda continua ad applicarlo ai suoi corrieri.

Nonostante l’utilizzo dei bot sia vietato da Glovo, che in alcune circolari interne li ha definiti «strumenti illegali», e i sindacati abbiano condannato le pratiche digitali così spregiudicate, Serilli dice che «a Rieti li usano tutti». Glovo sostiene di «adottare costantemente azioni mirate a identificare eventuali anomalie nelle prenotazioni degli slot orari in cui un rider si rende disponibile per collaborare», di aver introdotto «il riconoscimento facciale anche per la prenotazione degli slot, che integra quello già attivo durante lo svolgimento di una consegna», e di lavorare «all’identificazione di coloro che hanno usato in modo improprio i nostri sistemi».

«È un fenomeno di concorrenza sleale molto diffuso tra i rider di tutta Italia», dice Mario Grasso, un sindacalista della UilTucs (Unione italiana lavoratori turismo commercio servizi) che ha denunciato diversi casi di fattorini che non sono disposti a pagare per lavorare. «Esistono diverse applicazioni che consentono la prenotazione automatizzata di turni di lavoro, dietro un pagamento mensile o una tantum ad alcuni sviluppatori, che gestiscono i loro business su chat Telegram, su negozi di app o su siti web».

I programmi più diffusi si chiamano Reglov, Glovobot, GlovIp, LaFenice e Sushi Clicker, che è l’app che utilizzano i rider a Rieti. «Sono applicazioni di intermediazione illecita, che hackerano l’applicazione ufficiale permettendo a chi paga di clonare il proprio profilo e di lavorare oltre dieci ore al giorno, sette giorni su sette, creando una corsia preferenziale per gli abbonati a scapito dei loro colleghi», dice Angelo Avelli di Deliverance, un sindacato informale di fattorini che ha denunciato quello che definiscono «caporalato digitale» e ha organizzato diverse proteste, le ultime a Modena il 24 aprile e a Bergamo, Bologna e Milano il 6 maggio, insieme al sindacato SI Cobas.

I rider hanno contestato anche il governo di Giorgia Meloni. Nel Consiglio dei ministri convocato il primo maggio, giorno della festa dei lavoratori, è stato approvato il cosiddetto decreto Lavoro, che cancella il diritto dei rider di accedere all’algoritmo, previsto da una direttiva europea sulla trasparenza recepita dall’Italia a fine luglio del 2022 con un decreto legislativo proposto dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, del Partito Democratico. In sintesi, le aziende non sono più tenute a comunicare al lavoratore le regole dell’algoritmo che governa la loro attività. La direttiva europea era stata contestata dalle aziende di consegna a domicilio.

L’attuale ministra del Lavoro, Marina Calderone, all’epoca era presidente dei consulenti del lavoro e aveva scritto al ministro Orlando chiedendo la «revisione immediata» del decreto legislativo perché avrebbe provocato un «enorme aggravio di obblighi burocratici a carico delle imprese nella gestione dei rapporti di lavoro».

Secondo gli attivisti di Deliverance il sistema di caporalato è molto diffuso nelle città del Nord, dove a lavorare come rider sono soprattutto migranti arrivati da poco in Italia. Il “caporale” prenota il maggior numero possibile di consegne attraverso il bot, si presenta nei luoghi di raduno, si identifica con il riconoscimento facciale e distribuisce le consegne ad altri fattorini, in genere suoi connazionali, trattenendo una parte del guadagno. In questo modo, ogni caporale ha alle sue dipendenze un piccolo gruppo di rider ignoti alle aziende. «Ormai se vuoi lavorare a Milano devi farlo in un gruppo perché se sei da solo e non hai neppure un bot prendi un terzo degli ordini», dice Di Maggio. Il sistema dei bot funziona però solo con Glovo, mentre con Deliveroo e Uber Eats, che a sua volta utilizza il free login, c’è un altro problema di cui si sa ancora poco: gli account falsi.

Il fenomeno è emerso la sera di venerdì 24 marzo del 2023. Quel giorno Carabinieri e Polizia locale hanno controllato 823 rider in 225 luoghi di consegna in tutta Italia. 92 di questi, l’11,2 per cento del totale, lavoravano con account non intestati a loro. A Milano, su 92 rider controllati tra i Navigli e Porta Genova, 18 avevano un’identità fittizia. I controlli hanno riguardato una piccola parte dei rider, che secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) nel 2021 erano 570mila. Per gli attivisti di Deliverance la percentuale dei fattorini che lavorano sotto falsa identità sarebbe più alta: «Almeno il 30 per cento dei corrieri paga un pizzo che oscilla dal 20 all’80 per cento del compenso lordo mensile, si tratta di un mercato sommerso che va dalla compravendita di profili fittizi, offerti da sedicenti società di servizi informatici, a colleghi o ex colleghi caporali che sfruttano i rider più fragili».

«Monitorando le chat dei rider, abbiamo notato che molti migranti appena arrivati in Italia cercano un account falso in affitto», spiega Avelli. Su chat e social network ci sono profili di dubbia autenticità che chiedono soldi promettendo account falsi, rivolti soprattutto a migranti irregolari, che hanno necessità di lavorare ma hanno problemi a fornire la propria identità. Mentre cercava lavoro come rider a Milano, Alberto (nome di fantasia) ha trovato su Facebook, tra le risposte a un post, un messaggio sgrammaticato che recitava:

Ciao, è la soluzione ai tuoi problemi con Deliveroo, Uber Eats, Glovo. Tecnico Uber specializzato in noleggio conto, creazione account, sblocca l’account, attiva il tuo account e il tuo bot per ottenere ordini più pagati e guadagni migliori, certificazione di ispezione, programma Vtc disponibile, conta per vendita. Mettiti in contatto con lui per il suo processo su Instagram. Cyberplug01 è il suo nome utente su Instagram.

Cyberplug01 ha due profili, entrambi molto equivoci: in quello “ufficiale” c’è la foto di un giovane con la barba, davanti a un computer, e la descrizione dell’account rimanda a un indirizzo telefonico olandese. Il secondo è dedicato a servizi di spionaggio e cybersicurezza. Contattato via WhatsApp, risponde da un numero californiano. Alla domanda se può creare un profilo su Glovo, risponde che «quello è il mio lavoro», e lo stesso accade se gli si domanda di Deliveroo e Uber. Non si capisce se sia una persona vera, un bot o semplicemente una truffa, ma chiede 108 euro per attivare l’account e dice che si può pagare attraverso la piattaforma PayPal e anche in bitcoin. Bisogna fornire inoltre nome, cognome e una mail.

«I migranti che non hanno i documenti in regola si fanno attivare l’account a pagamento per poter lavorare e in più sono costretti a lasciare a chi ha attivato l’account tra il 20 e il 40 per cento di quello che guadagnano», dice Alberto. È il costo dell’intermediazione e della gestione del profilo abusivo, che spesso appartiene a vecchi lavoratori, ai quali è stato clonato l’account, oppure a credenziali registrate all’estero. Il sindacalista Mario Grasso conferma che la creazione e gestione di profili falsi, come promette Cyberplug01, è molto diffusa, nonostante le app delle aziende di consegna del cibo prevedano il riconoscimento facciale proprio per evitare furti di identità. Secondo un gruppo di rider torinesi che si sono rivolti al tribunale per vedere riconosciuto come dipendente il loro rapporto di lavoro con Glovo, «basta una semplice fotografia per sbloccare l’account».