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  • Mercoledì 24 maggio 2023

Perché li chiamiamo “angeli del fango”

L'espressione diventò popolare sulla stampa dopo l'alluvione di Firenze nel 1966, per riferirsi ai giovani che puliscono le cose e danno una mano nelle emergenze

Lavoro dei volontari a Firenze, 4 novembre 1966 (ANSA)
Lavoro dei volontari a Firenze, 4 novembre 1966 (ANSA)
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«Chi viene, anche il più cinico, anche il più torpido, capisce subito (…) che d’ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare dei sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù (…) oggi ha dato (…) un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango». Così scriveva il giornalista Giovanni Grazzini in un articolo sul Corriere della Sera del 10 novembre del 1966. Probabilmente Grazzini fu il primo a utilizzare l’espressione “angeli del fango” con la quale, da lì in poi e ancora oggi, sulla stampa si descrivono i volontari e le volontarie, spesso giovani, che partecipano alle operazioni di pulizia delle città dal fango dopo un’alluvione.

Nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 1966 a Firenze ci fu un’alluvione in cui morirono 35 persone. All’alba, dopo giorni di piogge ininterrotte, l’Arno ruppe gli argini. Molti quartieri della città e il centro storico furono allagati, con l’acqua che superò in alcune zone i cinque metri. Oltre ai cittadini era in pericolo anche il patrimonio artistico e sebbene in quegli stessi giorni ci fossero state alluvioni anche nel Nord Italia che causarono a loro volta decine di morti, fu Firenze a fare notizia, soprattutto all’estero: anche Ted Kennedy, fratello di John Fitzgerald e Robert e allora senatore degli Stati Uniti, fece un appello per aiutare la città.

Nei giorni successivi all’alluvione moltissime persone si misero in viaggio per Firenze, dall’Italia e da tutto il mondo: dall’Unione Sovietica, dalla Francia, dalla Germania, dal Regno Unito. In totale almeno da una trentina di paesi. Erano soprattutto giovani studenti, ma non solo, e alcuni di loro si trovavano già in Italia per fare l’università. Molti facevano parte degli scout e alcuni divennero poi famosi. Erano comunque a migliaia e lavorarono per tentare di mettere al sicuro le opere d’arte ricoperte di fango nei magazzini degli Uffizi, che erano stati allagati, ma anche per pulire e sgomberare le abitazioni, le cantine e i negozi.

L’espressione “angeli del fango” ebbe grande fortuna già allora, e la presenza in città di volontari venne documentata da fotografie e da un famoso film del 1966 realizzato da Franco Zeffirelli e intitolato Per Firenze, nel quale ai giovani arrivati in città dal resto del mondo veniva dato molto spazio.

Non è chiaro quanti fossero gli “angeli del fango” a Firenze. In occasione del raduno più partecipato e organizzato nel quarantennale dell’alluvione erano circa 2mila. Nel 2016 all’Università di Firenze è nato il Centro di documentazione sulle alluvioni di Firenze (CEDAF) dedicato alla ricerca, al recupero e all’elaborazione dell’informazione bibliografica e documentale relativa all’alluvione del 1966. Ci si può trovare anche un elenco ufficiale degli “angeli del fango” costruito tramite autodichiarazioni e che, attualmente, ne conta 685. Nell’elenco sono stati inclusi tutti coloro che «raggiunsero Firenze da ogni parte della Toscana, d’Italia, d’Europa e del mondo» o coloro che «nelle aree alluvionate e in quelle limitrofe erano tra quelli che si adoperarono per aiutare non solo se stessi ma tutti quelli che avevano bisogno di aiuto». Tra gli “angeli del fango” di Firenze c’erano anche persone diventate poi conosciute in vari ambiti, come Pier Luigi Bersani, Francesco De Gregori, Giuliano Pisapia, Antonello Venditti e altri ancora.

– Leggi anche: Cosa c’è da fare dopo un’alluvione

Da Firenze in poi “angeli del fango” è diventata l’espressione per chiamare in modo generico le persone, in prevalenza giovani, che aiutano ad affrontare l’emergenza in caso di alluvioni. Ma in certi casi nell’espressione sono stati inclusi anche vigili del fuoco e militari. Già nel 1966 a Firenze l’espressione indicava piuttosto le ragazze e i ragazzi che erano arrivati da fuori città, e venne anzi rifiutata dalla comunità locale per indicare gli abitanti, che diedero a loro volta un contributo decisivo nei giorni successivi all’alluvione.

Spesso i giovani arrivati a Firenze, negli anni in cui si cominciava a viaggiare in tutto il mondo, sono poi stati associati ai successivi movimenti di contestazione. Ne è un esempio il film di Marco Tullio Giordana La meglio gioventù, anche se non è affatto evidente il legame con la controcultura degli anni Sessanta e Settanta. E spesso, anche in anni più recenti, i cosiddetti “angeli del fango” sono stati frequentemente descritti dalla stampa nazionale come una sorta di rivelazione di qualcosa, di un simbolo o di una promessa. Ma anche in questo caso, per quanto suggestivo possa essere il collegamento, c’è chi ritiene che i cosiddetti “angeli del fango” andrebbero più che altro considerati per quello che sono e per il lavoro materiale che fanno.

Come scrisse Adriano Sofri, a proposito dell’alluvione di Genova del 2014: «Non sono il punto iniziale né il punto oltre la caduta della meglio gioventù, che può esserci ogni volta di nuovo, quando ne abbia l’occasione, o la necessità. I ragazzi del fango (e quelli che non sono più ragazzi e con loro si infangano e si confondono) non sono una promessa (…) sono un fatto. La meglio gioventù con le sue vanghe precarie».