In Iran sono state eseguite le condanne a morte di tre uomini arrestati durante le proteste dello scorso autunno

Saleh Mirhashemi (Mizan News Agency via AP)
Saleh Mirhashemi (Mizan News Agency via AP)

Venerdì in Iran sono state eseguite le condanne a morte di tre uomini: Majid Kazemi, 30 anni, Saleh Mirhashemi, 36 anni, e Saeed Yaqoubi, 37 anni. I tre erano stati arrestati e condannati per aver partecipato a una protesta contro il governo il 16 novembre a Isfahan durante la quale erano morti un poliziotto e due membri del Basij, i paramilitari detti anche “garanti della morale”. Il reato per cui sono stati condannati Kazemi, Mirhashemi e Yaquobi è definito moharebeh, che in farsi (la lingua iraniana) significa più o meno «fare la guerra a Dio», o «inimicizia contro Dio»: da decenni il regime iraniano lo usa per mantenere un controllo autoritario sulla popolazione, ed è lo stesso per cui sono state condannate a morte centinaia di persone per le proteste nel paese che erano iniziate lo scorso settembre, dopo la morte di Mahsa Amini.

Secondo le testimonianze raccolte dall’organizzazione internazionale per la tutela dei diritti umani Amnesty International i tre sarebbero stati condannati senza un giusto processo, torturati e costretti a confessare i reati di cui erano accusati. Sono le prime persone condannate a morte dal regime iraniano per reati legati alle proteste nel paese dopo quattro mesi, le ultime due sentenze di questo tipo erano state eseguite il 7 gennaio. Le Nazioni Unite hanno recentemente espresso preoccupazione per il numero di persone condannate a morte quest’anno in Iran, che sarebbero più di 200, soprattutto per reati legati all’uso o allo spaccio di sostanze stupefacenti.