Cosa ha causato l’alluvione in Emilia-Romagna

Non solo le piogge intense, ma anche gli effetti della siccità e problemi agli argini, che in parte potrebbero essere legati alle tane degli animali selvatici

Una strada allagata a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, il 3 maggio 2023 (ANSA / MAX CAVALLARI)
Una strada allagata a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, il 3 maggio 2023 (ANSA / MAX CAVALLARI)
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Le piogge che tra il 2 e il 3 maggio hanno interessato l’Emilia-Romagna e in particolare le province di Bologna e Ravenna, che in alcune aree hanno superato i massimi storici di precipitazioni, hanno causato estesi allagamenti, oltre alla morte di due persone. In molti punti gli argini dei fiumi non hanno trattenuto l’acqua, provocando inondazioni di campi e strade. I danni sono quindi in parte legati a problemi delle strutture di contenimento dei corsi d’acqua, di cui in Italia si discute ogni volta che avviene un’alluvione a seguito di piogge intense. Tuttavia in questo caso specifico c’entra anche la siccità che da più di un anno riguarda il Nord Italia, Emilia-Romagna compresa: dopo una prolungata carenza d’acqua il suolo è infatti meno in grado di assorbire le precipitazioni.

Secondo le misure di Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia, in vari punti lungo il corso del torrente Senio e del fiume Lamone sono stati registrati livelli d’acqua «prossimi al massimo misurabile dagli strumenti esistenti». Per quanto riguarda la quantità di pioggia registrata in 24 ore, nella stazione di San Ruffillo, in provincia di Bologna, sono stati misurati 129 millimetri con tempo di ritorno di 284 anni (in idrologia si usa il tempo di ritorno, il tempo medio intercorrente tra il verificarsi di due eventi successivi di entità uguale o superiore, per esprimere una probabilità); a Madonna dei Fornelli, sull’Appennino, 132 millimetri con tempo di ritorno di 107 anni; a Monte Romano, in provincia di Ravenna e nel bacino del Lamone, 135 millimetri con tempo di ritorno di 47 anni. Sono tutte località che si trovano in zone collinari o pedecollinari.

Luca Brocca, dirigente dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IRPI), ha spiegato al Resto del Carlino: «A monte delle zone in cui ci sono stati gli allagamenti è piovuto molto, oltre 200 millimetri di pioggia nell’arco di un giorno e mezzo. Con questi quantitativi, c’è da aspettarsi problemi ovunque, eccetto che in Liguria, Veneto e Friuli Venezia Giulia, dove le piogge sono più frequenti e il terreno è abituato a riceverle». È controintuitivo, ma la siccità rende il suolo «più rigido, al punto che la pioggia non si infiltra più facilmente, come è accaduto recentemente anche nelle Marche»: l’acqua impiega più tempo per essere assorbita e quindi quando piove molto o ci sono esondazioni è più facile avere vasti allagamenti.

La prima causa diretta delle alluvioni sono le piogge intense, la seconda è appunto la secchezza del terreno causata dalla siccità e la terza è lo stato dei corsi d’acqua e delle strutture che li circondano a partire dagli argini. «Non è possibile che con due giorni di pioggia si arrivi a questo. Gli argini non devono crollare così», ha detto Stefano Orlandini, professore di Costruzioni idrauliche del dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia, intervistato da Repubblica.

Orlandini è stato interpellato in particolare sulla possibilità che gli argini non fossero pronti a reggere la forza della piena a causa delle tane scavate dagli istrici, animali selvatici coperti dai caratteristici aculei e grandi all’incirca come i tassi. Sui giornali si è dato un certo spazio a questa ipotesi dopo che ne aveva parlato con il Corriere della Sera Daniele Bassi, il sindaco di Massa Lombarda, un comune di 10mila abitanti che a dispetto del nome si trova in provincia di Ravenna. Per la precisione Bassi ha citato gli istrici in riferimento a una specifica rottura di argini: quelli del torrente Sillaro nel territorio del suo comune, che secondo alcuni «tecnici» con cui il sindaco si è confrontato sarebbero stati danneggiati dalle tane degli istrici «più ampie e profonde rispetto a quelle scavate da altri animali».

In realtà al momento non si sa in che misura le attività degli istrici o di altri animali abbiano una relazione con i danni dell’alluvione. Comunque già nel 2014, in occasione di un’altra alluvione in Emilia-Romagna, si era parlato dei danni agli argini causati da animali selvatici, principalmente nutrie, e nel 2015 Orlandini aveva dedicato uno studio al rapporto tra il collasso degli argini in quell’occasione e la presenza di tane e cunicoli di animali selvatici. «Da allora l’attenzione degli enti preposti è aumentata, in qualche caso sono anche stati scongiurati dei disastri. Ma su tanti chilometri di tratti arginati non si può pensare di avere sempre una sorveglianza capillare. E d’altra parte la soluzione non può verosimilmente essere rappresentata dall’abbattimento degli animali: la presenza delle nuove specie va preservata negli ecosistemi, dobbiamo trovare il modo di conviverci».

Orlandini suggerisce piuttosto che gli argini andrebbero costruiti in modo diverso e in particolare fatti più spessi, perché una tana fa meno danni se l’argine è più imponente e quindi robusto.

Servirebbero però anche altre tipologie di interventi per gestire meglio i territori vicini ai fiumi, limitando le conseguenze della crisi climatica causata dalle attività umane. Come spiega il rapporto Analisi del rischio. I cambiamenti climatici in Italia, pubblicato nel 2020 dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC):

I dati disponibili sull’Italia in merito alle precipitazioni suggeriscono che le condizioni di rischio geologico, idrologico e idraulico risultino esacerbate in conseguenza di un aumento del numero degli eventi di precipitazione estrema (caratteristica attesa dagli studi di cambiamento climatico) e una crescente urbanizzazione del territorio che ha portato, da un lato, a un incremento dei deflussi e ad una riduzione della capacità di smaltimento da parte degli alvei (tombamenti, riduzione dell’estensione delle aree golenali, ecc.), dall’altro lato, a un aumento dell’esposizione al rischio.

L’aumento della frequenza di eventi estremi di pioggia riguarda l’Europa in generale e in Italia il Nord, Pianura Padana compresa. Per ricondurre un singolo evento meteorologico come le piogge dei giorni scorsi in Emilia-Romagna al cambiamento climatico servirebbe uno studio apposito, non così semplice e immediato da fare (e nemmeno così utile visto che tutto sommato si parla di un fenomeno limitato nel tempo e nello spazio), ma sappiamo che eventi simili sono diventati più probabili. Inoltre uno studio ha mostrato un collegamento tra la siccità del 2022, che ha contribuito ai danni di questa alluvione, e il cambiamento climatico.

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