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  • Giovedì 6 aprile 2023

L’ultimo paese al mondo senza una Nazionale di calcio

Sono le Isole Marshall, dove però c'è chi sta provando a cambiare le cose, non solo per ragioni calcistiche

di Gabriele Gargantini

(Marshall Islands Soccer Federation)
(Marshall Islands Soccer Federation)
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Tra i 193 paesi membri delle Nazioni Unite, le Isole Marshall sono l’unico a non avere una Nazionale di calcio. Ci sono paesi le cui federazioni non fanno parte della FIFA, l’organo che governa il calcio mondiale, o di altri organi continentali, ma che hanno o hanno avuto una Nazionale di calcio in qualche forma. E ci sono perfino territori che per le Nazioni Unite sono parte di altri stati e che la FIFA riconosce invece come federazioni autonome, per esempio le Isole Faroe, Hong Kong o il Galles. Le Isole Marshall, un piccolo stato insulare dell’Oceania, invece no: una Nazionale di calcio, maschile o femminile, maggiore o giovanile, non ce l’hanno, e nessuno mai ha giocato una partita di calcio in rappresentanza del paese.

Ma c’è chi sta provando a cambiare le cose. Alla fine del 2020 è stata fondata la Marshall Islands Soccer Federation, una federazione calcistica nazionale che davanti a sé ha un bel po’ di problemi da risolvere. L’assenza di una squadra nazionale, così come di una qualsiasi altra squadra che giochi a calcio in una delle tante isole del paese, è senz’altro uno di questi; tuttavia non sembra essere neanche quello più complicato.

C’è infatti un problema imparagonabile per gravità e drammaticità, cioè la crisi climatica che minaccia l’esistenza stessa del paese. Da questo punto di vista la Marshall Islands Soccer Federation (MISF) sostiene che il calcio – chiamato “the world game”, il gioco del mondo, nella “vicina” Australia – possa servire per far conoscere al resto del mondo dove sono e cosa sono le Isole Marshall, e perché rischiano di sparire.

Le Isole Marshall stanno più o meno a metà tra l’Australia e le Hawaii. Il territorio dello stato è formato da oltre mille isole, atolli e isolette che sono parte di due arcipelaghi principali: Ratak e Ralik, i cui nomi significano “alba” e “tramonto”. Si trovano poco a nord dell’equatore e appena a ovest rispetto alla linea internazionale del cambio data, che passa per l’Oceano Pacifico ed è l’antimeridiano del meridiano di Greenwich.

La superficie complessiva delle isole dello stato è di 181 chilometri quadrati (poco più del Liechtenstein) e più del 97 per cento del territorio è acquatico. Gli abitanti sono poco più di 40mila, la maggior parte dei quali vive nella capitale Majuro, in un’area di meno di 10 chilometri quadrati. Il reddito medio annuo è inferiore ai 10mila euro.

Una parte di Majuro (Jamison Logan / Wikimedia)

Si ritiene che le prime isole di Ratak e Ralik iniziarono a essere popolate non meno di duemila anni fa da esploratori micronesiani che le chiamarono Ad jolet jen Anij, regali divini”. I navigatori europei arrivarono solo diversi secoli più tardi: il primo fu probabilmente Ferdinando Magellano nel Sedicesimo secolo, anche se le isole hanno preso il nome da John Marshall, navigatore britannico che passò di lì a fine Settecento.

Negli ultimi secoli le Isole Marshall sono state territorio spagnolo, tedesco, giapponese e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, statunitense. Siccome erano così isolate gli Stati Uniti ci fecero per anni decine di test per sperimentare gli ordigni nucleari: per le conseguenze che ebbero sono noti soprattutto quelli fatti all’atollo di Bikini. Nel 1979 le Isole Marshall ottennero l’indipendenza, pur rimanendo culturalmente e politicamente legate agli Stati Uniti.

Il fungo atomico sopra l’atollo di Bikini, nel 1946 (Keystone/Getty Images)

Oltre che per la crisi climatica e per l’innalzamento degli oceani che minaccia gran parte del territorio (appena sopra il livello del mare) di recente delle Isole Marshall si è parlato quando anche lì ci furono due focolai di coronavirus, nell’agosto del 2022.

Le Isole Marshall esportano tonno e olio di cocco e sono famose perché permettono alle barche, a condizioni piuttosto vantaggiose, di battere la loro bandiera “di comodo”, come vengono chiamate quelle di Stati specializzati nella registrazione delle navi commerciali. Dal punto di vista amministrativo, le Isole Marshall sono una repubblica parlamentare, fanno parte delle Nazioni Unite dal 1991. Del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, fanno invece parte dal 2006. Atleti marshallesi hanno partecipato a ognuna delle ultime quattro olimpiadi estive: alle più recenti, quelle di Tokyo, c’erano due nuotatori. Nessuno di loro ha mai ottenuto una medaglia.

Le Isole Marshall alle Olimpiadi di Tokyo, nel 2021 (Maja Hitij/Getty Images)

Lo sport delle isole Marshall è perlopiù individuale e le federazioni affiliate al comitato olimpico nazionale sono solo sette. Per via dell’influenza statunitense gli sport di squadra più diffusi sono il baseball e il basket, spesso improvvisati nel poco spazio disponibile. «C’è quasi solo acqua» disse qualche anno fa il presidente del comitato olimpico nazionale, «ed è difficile trovare terra o campi su cui giocare».

(Photo/Rob Griffith,File)

Il calcio sull’isola non ha particolare tradizione o diffusione, ma un minimo di storia sì: già nei primi anni Novanta l’imprenditore australiano Mike Slinger provò a creare un piccolo e precario campionato locale, le cui partite, spesso disputate da un numero variabile di calciatori, si giocarono su un campo da baseball o in un palazzetto coperto di Majuro. Anche prima e dopo gli anni Novanta si trovano sparute tracce di qualcosa di simile a squadre e campionati di calcio, in cui si parla di «tornei ufficiosi sull’isola di Kwajalein» (abitata da circa diecimila persone e dove ha sede una base statunitense) che in genere sono stati organizzati da cittadini statunitensi, con scarsa frequenza.

Una newsletter australiana ha scritto di recente che «nel paese non c’è mai stato un vero interesse per il calcio». Matt Webb, responsabile del marketing della Marshall Islands Soccer Federation, dice invece che il calcio è giocato e anche seguito da molti: «soprattutto la Premier League e la Champions League».

La Marshall Islands Soccer Federation è stata creata il 31 dicembre del 2020 da Shem Livai, un cittadino delle Isole Marshall residente a Majuro, insieme con altri appassionati di calcio. Il fatto che nel nome della federazione il calcio sia soccer anziché football è uno dei tanti segni della forte influenza statunitense sulle isole. Così come negli Stati Uniti, alle Isole Marshall il football è di norma il football americano.

Livai giocò a calcio mentre studiava alle Isole Vergini Statunitensi e, come capita a molti genitori, è tornato ad appassionarsi dopo che Carter, suo figlio, ha iniziato a giocarci a sua volta, con gli amici sulle spiagge dell’isola di Majuro. «Sono un padre entusiasta e intraprendente» ha spiegato Livai «e volevo che mio figlio continuasse a giocare».

(Marshall Islands Soccer Federation)

Negli ultimi tempi la MISF si è concentrata però soprattutto su attività di marketing e promozione: ha trovato un accordo con uno sponsor tecnico e ha fatto un concorso online chiedendo proposte di divise per un’eventuale Nazionale di calcio del paese, a cui hanno partecipato oltre 150 persone. Sul suo profilo Twitter si è da poco compiaciuta perché hanno iniziata a seguirla «quattro federazioni della FIFA».

Alla fine del 2022 la MISF, di cui Livai è anche presidente, ha nominato il suo primo direttore tecnico: il 33enne Lloyd Owers, che è inglese, vive nell’Oxfordshire e nelle Isole Marshall non è mai stato. Dopo aver giocato a livello semi-professionistico Owers è diventato allenatore e istruttore di allenatori ed è stato consulente per la FA, la federazione calcistica inglese. Ha anche un blog, per il quale gli era capitato di occuparsi della Nazionale di calcio di Samoa.

Owers ha ammesso che la vicenda sa un po’ di “Nazionale giamaicana di bob” ma ci tiene a spiegare che seppur in apparenza strampalato, anche questo progetto è mosso da «una sincera ambizione», dalla autentica volontà di far sì che in futuro le Isole Marshall abbiano una Nazionale riconosciuta a livello continentale dalla OFC (la federazione continentale di calcio, il corrispettivo oceanico dell’UEFA) e infine anche dalla FIFA. A proposito di quel che c’è da fare ha detto che adesso «bisogna fare due cose: partire dal basso, dal calcio in spiaggia dei bambini e programmare dall’alto, a livello di federazione, per incontrarsi nel mezzo».

Prima di tutto Owers si sta occupando quindi di come insegnare calcio nelle scuole, ma intanto pensa anche a come si potrebbe costruire una Nazionale, prima maschile e poi magari anche femminile. Ha parlato di telefonate con altri dirigenti o allenatori di squadre oceaniche, che in molti casi hanno problemi comuni con le Isole Marshall.

Intervistato da Football in Oceania ha detto che punta ad andare alle Isole Marshall ad agosto e che non si sente di escludere di andare laggiù a vivere: «Mia moglie è parecchio avventurosa e ci piacciono le sfide, quindi se fosse economicamente possibile, perché no?».

Alle Isole Marshall, intanto, Livai si sta muovendo per organizzare un torneo a sei squadre, e dice di aver ricevuto mail e chiamate di persone che si dicono interessate. Intervistato da ESPN ha spiegato però che non vuole «fare le cose di fretta, perché il progetto ha bisogno di solide basi». Alle attività di promozione e alle successive attenzioni mediatiche serve che seguano finanziamenti e donazioni, ed è complicata anche solo la logistica necessaria per far arrivare palloni o divise alle isole.

Per quanto riguarda invece l’obiettivo ultimo, la Nazionale, la prima cosa da fare è trovare i calciatori, anche andandoli a cercare fuori dall’Oceania. Visti i rapporti con gli Stati Uniti, che permettono ai cittadini delle Isole Marshall di trasferirsi negli Stati Uniti senza necessità di un visto, molti marshalliani vivono lì: il problema sarà scovare quelli che giocano a calcio, convincerli a farlo per le Isole Marshall e pagare le trasferte.

Una grande mano nel reclutamento di calciatori potrebbe darla il più famoso videogioco manageriale di calcio, Football Manager, che ha informazioni molto dettagliate su centinaia di migliaia di veri calciatori. Non essendo la federazione affiliata alla FIFA, al momento le Isole Marshall non sono contemplate dal gioco, ma uno dei responsabili ha detto a ESPN che già ora in Football Manager ci sono nazionalità di paesi senza federazioni affiliate alla FIFA e che quindi si potrebbe fare anche con le Isole Marshall.

Di risultati, com’è comprensibile, non si parla. Le Isole Marshall vogliono una squadra, eventuali gol o addirittura vittorie sono ancora una prospettiva lontanissima. Sarebbe un buon risultato una sconfitta simile al 31-0 che le Samoa Americane subirono nel 2001 contro l’Australia (raccontata in un documentario del 2014 e in un film in uscita a settembre, entrambi intitolati Next Goal Wins).

Per essere riconosciuta dall’OFC, la MISF dovrà invece arrivare a rispettare certi requisiti, presentare un piano dettagliato ed essere nel caso accettata attraverso un voto delle altre federazioni, alcune delle quali sono presenti come affiliate sebbene poi le loro Nazionali non partecipino nemmeno alle qualificazioni dei tornei continentali. Solo in seguito (e nel migliore dei casi è comunque questione di anni) la MISF potrebbe chiedere, da federazione di uno stato sovrano riconosciuto, di entrare nella FIFA, la quale richiede a sua volta la presenza di infrastrutture adeguate nel paese.

Un notevole contributo a quello che Livai spera possa essere un «effetto domino» per arrivare a una Nazionale di calcio potrebbe darlo l’imminente completamento del Majuro Track and Field Stadium, uno stadio da circa duemila posti che dovrebbe essere pronto per luglio, quando Majuro ospiterà i decimi Giochi della Micronesia, il più importante evento sportivo mai organizzato alle Isole Marshall.

Secondo il Marshall Islands Journal lo stadio è costato 6 milioni di dollari, ed è stato realizzato anche grazie a fondi forniti dal governo di Taiwan: le Isole Marshall sono tra i pochi stati che ancora hanno rapporti ufficiali con l’isola rivendicata dalla Cina. È in costruzione in un’area “sottratta al mare” e parte della sua struttura è stata progettata per poter proteggere la terra dall’innalzamento dell’acqua e dalle mareggiate.

Lo stadio in costruzione (Marshall Islands Soccer Federation)

Se i test nucleari e la gestione delle relative scorie sono uno dei grandi problemi del passato, quello del presente è la crisi climatica. Si prevede che entro il 2050 diversi atolli delle Isole Marshall diventeranno inabitabili, e che già nel 2030 una rilevante parte di Majuro potrebbe essere sott’acqua.

Il Guardian ha raccontato di recente che per il timore che certi luoghi siano sommersi, abbandonati e dimenticati, sempre più genitori stanno dando ai figli nomi di quei luoghi, per far sì che in qualche modo vengano ricordati anche nei prossimi decenni. Il titolo di uno dei libri del più noto giornalista dell’isola è Nuclear past, Unclear future.

Livai ha detto che gli allagamenti «un tempo erano una volta l’anno mentre ora sono ogni luna piena». Nei suoi piani, la federazione calcistica delle Isole Marshall deve essere un modo per attirare l’attenzione sui problemi più urgenti del paese, che sempre più persone stanno lasciando: nel 2011 gli abitanti erano 53mila, nel 2021 erano 43mila. Non servirebbe a molto smettere di essere l’ultimo paese senza Nazionale di calcio per diventare la prima Nazionale di calcio senza un paese in cui giocare.