Quelli che vedono i suoni

O ascoltano i colori, per esempio: è una condizione non patologica nota come “sinestesia”, l’insorgenza di una sensazione indotta da uno stimolo diretto a un altro senso

sinestesia
(AP Photo/Andrew Medichini)
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Passeggiare di sera lungo il marciapiede di una strada trafficata è un’esperienza associata, con molta probabilità e per la maggior parte delle persone, alla percezione di stimoli comuni come il suono del clacson di una macchina o il colore della luce di un lampione. Ma per alcune persone la percezione è diversa, più dettagliata: osservano la luce blu del lampione, per esempio, e sentono un sapore di liquirizia in bocca. È un fenomeno psichico noto come “sinestesia”, che si verifica quando uno stimolo di un certo tipo – uditivo, visivo, olfattivo, tattile o gustativo – provoca un’esperienza percepita tramite un senso non correlato a quello stimolo.

Le stime della prevalenza della sinestesia, a cui peraltro corrisponde l’omonima figura retorica che unisce parole riferite a sensi diversi (“verde tiepido”, per esempio), variano notevolmente. Secondo alcuni studi interessa una persona su 2.000, più le donne che gli uomini, e secondo altri è ancora più frequente: una persona su 200. Questa variabilità dipende in parte dalle differenze nei criteri di definizione del fenomeno e in parte dalla specificità di ciascuno studio: alcuni si concentrano su determinate sinestesie e non altre (ne esistono decine di varianti, a seconda della combinazione di sensi coinvolti).

Ma un altro motivo per cui la sinestesia è un fenomeno difficile da definire con precisione è il fatto che i processi che lo inducono interessano, in una certa misura, qualsiasi persona. Gli studi degli ultimi decenni sul funzionamento delle percezioni sensoriali indicano che i diversi organi di senso, per quanto autonomi, producono un insieme di informazioni che si integrano, si combinano e si influenzano a vicenda in molti modi. La nostra percezione del sapore, per esempio, è il risultato di un processo che coinvolge i recettori olfattivi e le papille gustative, ma anche la vista, il tatto e l’udito: è la ragione per cui per molte persone il sapore di una certa pietanza può cambiare, per esempio, a seconda che sia servita su un piatto nero e squadrato o su un altro celeste e circolare.

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Si parla di sinestesia in senso proprio, non come esperienza comune, quando uno stimolo induce sia una percezione associata al senso direttamente stimolato, sia un’altra che apparentemente c’entra poco o niente. È una condizione che può verificarsi a seguito di danni cerebrali, per esempio, o essere indotta tramite l’uso di sostanze o tramite ipnosi. Ma per alcune persone è un’esperienza del tutto abituale, non riconducibile ad altri eventi o azioni particolari.

A chi sperimenta questa condizione può capitare, per esempio, di ascoltare un suono e – anche senza vederne la sorgente – percepire uno stimolo visivo chiaro e definito. Oppure – come in uno dei casi più conosciuti e studiati, la sinestesia grafema-colore – può capitare di percepire in un insieme di lettere o numeri sia il colore con cui sono effettivamente stampati, sia un altro diverso specificamente associato a ciascuna lettera o numero.

L’associazione tra il lampione e la liquirizia è una delle molte sinestesie che capitano abitualmente alla storica statunitense ed esperta di storia dell’alimentazione Julia Skinner, che ne ha scritto sulla rivista Atlanta.

Una delle prime attestazioni storiche di una condizione riconducibile alla sinestesia risale al Settecento. Nel suo Saggio sull’origine del linguaggio, del 1772, il filosofo tedesco Johann Gottfried Herder scrisse che alcune persone associavano «immediatamente» un certo fenomeno a una sensazione con cui non aveva alcuna relazione, o un certo colore a un certo suono. Descrisse con altre parole quella che oggi è generalmente definita “cromestesia”, l’associazione tra colori e percezioni sensoriali di vario tipo (uditivo, olfattivo, gustativo).

Il fisiologo francese Alfred Vulpian fu poi uno dei primi a utilizzare la parola “sinestesia” in ambito medico, nel 1860, riferendosi a casi di tosse e starnuti provocati da stimoli sensoriali apparentemente non correlati, come la luce. Dopo una ventina d’anni due studiosi svizzeri, Eugen Bleuler e Karl Bernhard Lehmann, documentarono sei diversi tipi di sinestesia, tra cui «sensazioni di luce, colore e forma suscitate tramite l’udito», «sensazioni sonore tramite la vista» e «sensazioni cromatiche tramite percezioni gustative».

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Uno degli studi recenti più citati sulla sinestesia fu condotto nel 2001 da due neuroscienziati dell’Università della California, Vilayanur S. Ramachandran ed Edward Hubbard, secondo i quali l’origine della sinestesia potrebbe essere in parte genetica. Secondo la loro ipotesi, l’inclinazione di alcune persone – più diffusa tra artisti e poeti – a percepire collegamenti tra sensazioni apparentemente non correlate sarebbe determinata da una «iperconnettività» tra diverse aree del cervello.

Come disse allo Smithsonian il neurologo statunitense della George Washington University Richard Cytowic, che ci siano molteplici connessioni incrociate tra le varie parti del cervello è una condizione che riguarda qualsiasi cervello: «Semplicemente, in quello di chi ha sinestesie, ce ne sono di più». Le ricerche sulla sinestesia sono spesso citate anche in relazione al cosiddetto effetto bouba/kiki, un esperimento psicologico condotto da Ramachandran e Hubbard, tra gli altri, e originariamente attribuito allo psicologo tedesco Wolfgang Köhler, che studiò questo effetto negli anni Venti.

L’esperimento prevede di mostrare due figure geometriche affiancate, una tondeggiante e l’altra spigolosa, e chiedere ai partecipanti a quale delle due figure abbinerebbero la parola “bouba” e a quale la parola “kiki”, due parole che non significano niente. La grandissima maggioranza delle persone associa “bouba” alla figura tondeggiante e “kiki” a quella più spigolosa, come confermato anche da Ramachandran e Hubbard, che utilizzarono questo esperimento per il loro studio del 2001. Lo condussero sia su un gruppo di studenti americani che su un gruppo di studenti indiani di lingua tamil, provando che la lingua parlata non era un fattore rilevante.

Sia negli studi che se ne occupano che nei documenti storici in cui è citata o descritta, la sinestesia è generalmente intesa come una condizione rara, spesso difficile da definire, ma non un disturbo. Il fatto che sia una sorta di variante estrema di un processo normale di «elaborazione multisensoriale» delle informazioni, come disse al sito Live Science il neuroscienziato e psicologo statunitense David Brang, lo rende inoltre un fenomeno utile da studiare per comprendere meglio il funzionamento del cervello in generale e quello delle persone più creative in particolare.