Un’opera realizzata per il ponte sullo Stretto c’è già da oltre dieci anni

È la “variante di Cannitello”, una deviazione della ferrovia sulla costa calabrese pensata per far spazio a un pilone mai costruito

di Riccardo Congiu

La galleria della variante di Cannitello
La galleria della variante di Cannitello
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La ferrovia che collega Salerno a Reggio Calabria passa anche da Villa San Giovanni, un comune costiero di circa 13mila abitanti famoso soprattutto perché si trova nel punto della Calabria più vicino a Messina, da cui si prende il traghetto per attraversare lo stretto. Il comune comprende anche la frazione di Cannitello, dove i binari procedono praticamente affacciati sul mare: fatta eccezione per un breve tratto, una rientranza di poco più di un chilometro costruita per deviare il percorso della linea, e completata nel 2012. L’opera è nota come “variante di Cannitello”, costò 26 milioni di euro ed era una delle opere cosiddette «propedeutiche» al ponte sullo Stretto di Messina, l’unica realizzata.

Com’è noto, però, il ponte sullo Stretto non è stato costruito. È un progetto di cui si parla ciclicamente da decenni, ancora in queste ultime settimane dopo che il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha fatto capire più volte di volerlo concretizzare una volta per tutte. Nell’ultimo Consiglio dei ministri, questa settimana, è stato approvato un decreto «salvo intese» per riprendere il vecchio progetto da dove era rimasto, ma il testo del decreto non è stato reso immediatamente disponibile perché «sono necessari gli ultimi approfondimenti tecnici».

Salvini non è il primo a provarci. Già in passato vari governi tentarono di avviare un progetto per costruire il ponte senza successo: Silvio Berlusconi fu quello che ci andò più vicino – pur con pochi risultati concreti – durante il suo ultimo governo, prima che nel 2012 il governo di Mario Monti bloccasse tutto. L’unica traccia degli sforzi di quegli anni è proprio l’ingombrante variante di Cannitello, che avrebbe dovuto fare spazio al pilone (o “torre”) est del ponte, sul versante calabrese.

Nelle previsioni il pilone avrebbe dovuto essere enorme, in acciaio, alto 399 metri e pesante 55mila tonnellate, e ne avrebbero dovuto costruire uno identico sulla sponda siciliana, vicino al paese di Ganzirri. Per fare un paragone, la Tour Eiffel di Parigi è alta 312 metri e pesa 10mila tonnellate. Prima che venisse costruita la variante, la ferrovia passava più vicino alla costa, proprio nella zona in cui si ipotizzava di costruire il pilone del ponte, perciò la ferrovia venne presa e spostata verso l’entroterra, perché altrimenti sarebbe stata di intralcio.

La linea rossa, lunga poco più di un chilometro, indica idealmente il vecchio percorso della ferrovia a Cannitello (screenshot da Google Maps)

A vederla dall’alto, con le immagini satellitari, la curvatura imposta a quel tratto di ferrovia può sembrare poca cosa, ma per gli abitanti del posto fa una bella differenza: ha un impatto estetico non trascurabile sul paesaggio, perché i binari sono stati inseriti in una galleria di cemento che svetta da una piccola altura sulle case che si affacciano sulla costa. Chi guarda in quella direzione dalla spiaggia si trova questa galleria che ostruisce la vista dell’Aspromonte, il massiccio che fa parte dell’Appennino calabro. Ma il problema principale della variante è che si trova lì da più di dieci anni senza uno scopo, almeno per ora.

«Qui a Villa si parla di “ecomostro”», dice la sindaca di Villa San Giovanni, Giuseppina Caminiti. «È uno scatolare di cemento». Caminiti è stata eletta lo scorso anno con una lista civica, e prima di lei in città aveva sempre governato il centrodestra, la parte politica che storicamente, a livello nazionale, è stata più a favore della costruzione del ponte sullo Stretto.

Pietro Idone, un abitante della frazione di Cannitello che ha la casa a pochi passi dalla galleria, la chiama «il catafalco funebre del ponte». Dice che «fa abbastanza orrore vederlo, ricoperto com’è dal catrame che lo protegge». Da ex segretario locale del WWF, Idone era uno degli attivisti ambientalisti che in passato si opponevano alla costruzione del ponte sullo Stretto. Oggi invece il malcontento è più diffuso, anche tra chi un tempo era a favore: «Finché aleggiava l’idea del ponte la variante aveva un senso», dice la sindaca Caminiti, «era percepita come un male necessario. Ma oggi si staglia sul panorama dello Stretto a perenne memoria di un investimento inutile».

Sulle pagine Facebook degli abitanti di Villa San Giovanni girano anche “meme” che prendono in giro la variante, come questo

Nel progetto del ponte, insieme ai fondi per la costruzione della variante ne erano stati previsti altri, circa 14 milioni di euro, per opere volte al “mascheramento” della galleria e alla riqualificazione del lungomare sottostante: in sostanza era previsto un parco terrazzato che scendesse dall’altura dove si trova la galleria fino alle case sul mare, con piste ciclabili e una serie di altri miglioramenti in tutta l’area. Nel 2012, quando il governo di Mario Monti decise di non costruire il ponte, l’investimento per gli interventi di mascheramento scese a 7 milioni di euro.

Nonostante questi fondi fossero stanziati, però, per due anni non si mosse nulla e i lavori non vennero commissionati. Nel 2014 poi Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture del governo di Enrico Letta, affidò i lavori a Rete Ferroviaria Italiana (RFI), la società dello stato che gestisce le ferrovie: iniziarono però solo quattro anni dopo, nel 2018. «Sarebbero dovuti terminare entro febbraio-marzo del 2022», dice Caminiti. «Ma ad oggi per il mascheramento non è stato fatto nulla. È stato completato solo il 30 per cento circa dei lavori di riqualificazione del lungomare, ma parliamo di interventi molto modesti», come il rifacimento del marciapiede e l’inserimento di una ringhiera.

«La variante Villa l’ha subita, perché il ponte si dava per fatto» dice con una certa amarezza Caminiti. E in effetti l’opinione del centrodestra locale è sempre stata quella, nonostante non ci fosse alcuna avvisaglia di una ripresa del progetto e nonostante l’unico lavoro concreto realizzato fosse proprio la variante di Cannitello. Domenica Catalfamo, fino al 2021 assessora regionale alle Infrastrutture nella giunta guidata da Forza Italia e attualmente dirigente del settore viabilità e trasporti per la città metropolitana di Reggio Calabria, parla della variante come parte di un progetto molto più grande e ancora in divenire: «Per mascherare la struttura si farà un parco naturale, sotto al quale ci sarà il centro direzionale a servizio del ponte, con un’area di servizio e un parcheggio sotterraneo».

Il centro direzionale del ponte sullo Stretto è un’idea presente più che altro nei rendering del progetto che circolarono negli anni, ma non è mai stato fatto niente di concreto per realizzarlo e non si sa nemmeno di preciso dove si sarebbe dovuto collocare. La stessa Catalfamo riconosce che allo stato attuale la variante serve a poco, e anche per questo sostiene che non fare il ponte «sarebbe un danno». Le associazioni ambientaliste e contro la costruzione del ponte (la più impegnata fu “No ponte”) sostengono invece che la variante fosse più che altro un modo per far vedere che qualcosa in quegli anni si stava muovendo.

La galleria della variante di Cannitello

A Villa San Giovanni il progetto del ponte sullo Stretto ha una dimensione più concreta rispetto al resto del paese, dove è percepito perlopiù come una delle tante promesse elettorali mai mantenute. Prima del recente decreto-legge, negli ultimi mesi Salvini aveva ripetuto in molte occasioni una frase precisa, quasi meccanicamente, cioè che «costa di più non farlo che farlo», il ponte: così anche i politici locali hanno ricominciato a sostenere che la variante di Cannitello potrà tornare utile.

Di fare un ponte sullo Stretto di Messina si parla fin dai tempi delle guerre puniche, ma la sua storia contemporanea si può far iniziare nel 1981, quando il governo di Arnaldo Forlani creò la società Stretto di Messina Spa, a cui fu affidato il compito di realizzare l’opera. Per vent’anni non se ne fece nulla, e la Stretto di Messina Spa continuò ad aggiornare i suoi progetti nel sostanziale disinteresse dell’opinione pubblica. Poi arrivò Silvio Berlusconi.

– Leggi anche: Breve storia del ponte di Messina

Con lui il progetto ripartì, ma piuttosto lentamente: nel 2006 l’appalto venne affidato al consorzio Eurolink, ma il successivo governo di Romano Prodi, di centrosinistra, bloccò l’iter. Berlusconi tornò al governo nel 2008 e lo riprese, finché alla fine del 2012 Monti, che presiedeva un governo tecnico, decise di mandare in liquidazione la Stretto di Messina Spa: l’Italia stava attraversando una grave crisi economica e Monti era stato chiamato al governo proprio per sistemare i conti pubblici. Si ritenne che spendere 300 milioni di euro per la liquidazione fosse più conveniente che portare avanti fino in fondo il progetto, sull’effettiva fattibilità del quale peraltro rimanevano molti dubbi.

Silvio Berlusconi dietro a un plastico del ponte alla trasmissione televisiva “Porta a Porta”, nel 2004 (MARCO MERLINI/LAPRESSE)

La stima iniziale dei costi per costruire il ponte era di 4 miliardi di euro, ma stando a documenti pubblicati dalla Camera dei deputati questa stima si alzò progressivamente dopo il 2001 e nel 2012 arrivò a superare gli 8 miliardi e mezzo di euro. Il punto è che la realizzazione del ponte era in una fase troppo preliminare per fare stime accurate, e con ogni probabilità andando avanti con il progetto i costi sarebbero aumentati ancora.

In questi anni i politici favorevoli al ponte sullo Stretto hanno spesso sostenuto che l’abbandono del progetto fosse uno spreco dei molti lavori preliminari realizzati. Fino al 2012 per il ponte furono spesi circa 340 milioni di euro, che oltre ai 26 per la variante di Cannitello comprendevano i vari studi di fattibilità, tra cui carotaggi per studiare il suolo, l’affidamento dei progetti a studi di architettura (tra i quali poi ne fu selezionato uno solo) e la gestione della Stretto di Messina Spa.

Gli studi di fattibilità furono così lunghi e costosi perché il progetto di un ponte sullo Stretto è davvero molto ambizioso, e sarebbe per molti versi unico al mondo, tra le altre cose perché lo Stretto di Messina è una delle zone sismicamente più attive del mar Mediterraneo: il progetto doveva quindi essere a prova di terremoti e prevedere un eventuale spostamento della Sicilia dovuto a quei movimenti, che per quanto minimo sarebbe stato comunque significativo per un’opera architettonica come un grande ponte con la campata unica più lunga al mondo, cioè senza elementi portanti tra i due piloni sulla terraferma.

In ogni caso non fu mai nemmeno approvato il “progetto esecutivo” del ponte, che nel caso di grandi opere pubbliche viene dopo il “progetto definitivo” e determina nel dettaglio i lavori da realizzare e il costo previsto, a un livello di definizione tale da consentire di identificare forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo di tutti gli elementi.

La realizzazione della variante di Cannitello cominciò il 23 dicembre del 2009, quando non solo non era stato approvato il progetto esecutivo, ma nemmeno quello definitivo: in sostanza, fu costruita senza che nemmeno si sapesse con certezza dove sarebbe stato costruito il pilone est del ponte (non si sa neanche oggi). La costa di Cannitello peraltro deve fare i conti da anni con una forte erosione a cui finora non si sono trovati rimedi, non esattamente il terreno ideale per un pilone alto più della Tour Eiffel.

La variante causò proteste all’epoca e le causa ancora oggi per i mancati lavori di mascheramento dell’opera. «Non ci hanno messo sopra neanche un disegno, nemmeno una piantina accanto», dice Pietro Idone. Per il momento RFI non ha comunicato la data in cui prevede di concluderli.