Un altro tentativo di costruire il ponte sullo Stretto di Messina

Il governo ha approvato «salvo intese» un decreto-legge per riprendere un progetto complesso e costoso, di cui si discute da decenni

ponte stretto di messina
Il rendering del progetto del ponte sullo Stretto (ANSA/FRANCESCO SAYA)

Giovedì il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto per ricostituire la società Stretto di Messina SPA, creata nel 1981 per costruire il ponte sullo Stretto di Messina e messa in liquidazione nel 2013. È un primo passaggio indispensabile per tornare a proporre e finanziare il progetto di un’opera pubblica complessa e costosa di cui si parla da decenni e che ciclicamente torna al centro del dibattito pubblico.

«È una giornata storica», ha commentato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Ma già in questo primo passaggio istituzionale c’è stato qualche problema: il decreto, infatti, è stato approvato «salvo intese», una formula utilizzata per sottolineare che non è ancora definitivo. Il testo del decreto non è stato reso disponibile dopo il Consiglio dei ministri perché sono necessari approfondimenti tecnici.

In sostanza, il decreto assegna al ministero dell’Economia e delle Finanze il ruolo di azionista di maggioranza della società Stretto di Messina SPA, con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a cui sono attribuite funzioni di controllo, di vigilanza tecnica e operativa.

L’idea è di ripartire dal progetto abbandonato nel 2012: quello con due piloni, uno in Sicilia e uno in Calabria, e senza sostegni nel mezzo, a campata unica come si dice tecnicamente. La struttura sarebbe unica al mondo: sul lato siciliano, vicino al paese di Ganzirri, dovrebbe sorgere sulla terraferma un pilone alto più della Tour Eiffel, quasi 400 metri. All’altro capo dello stretto, un pilone identico dovrebbe fornire il secondo sostegno al ponte, formando un unico arco lungo circa 3,3 chilometri.

Il ponte avrebbe 6 carreggiate, tre per senso di marcia, dovrebbe sostenere un traffico di 6.000 veicoli all’ora e ci sarebbero anche due binari ferroviari al centro, per far passare 200 treni al giorno. È lo stesso progetto di cui si discusse moltissimo durante la campagna elettorale del 2001, quando Silvio Berlusconi promise che avrebbe ripreso i lavori e che avrebbe terminato il ponte entro il 2012. «Questa volta non ci fermeranno. È un’altra promessa agli italiani che siamo finalmente in grado di mantenere», ha commentato proprio Berlusconi giovedì sera, dopo l’approvazione del decreto.

Nel 2005 il consorzio Eurolink, composto tra gli altri dalla società Impregilo, vinse l’appalto per costruire il ponte e nel 2006 furono firmati gli ultimi accordi: il progetto era arrivato alla fase più avanzata della sua lunga storia. Da quel momento, però, il progetto si fermò.

La ragione dei problemi sono i notevoli ostacoli che la costruzione del ponte presenta ancora oggi: le difficoltà tecniche, il fatto che la zona tra Calabria e Sicilia sia sismica, i dubbi sulla sua utilità economica e i costi, stimati in più di otto miliardi di euro. Come molti avevano previsto, questi problemi bloccarono ogni ulteriore progresso. Il progetto fu sospeso dal governo di Romano Prodi entrato in carica nel 2006, poi ci fu un altro tentativo nel 2008 con l’ultimo governo Berlusconi, ma nel 2012 il governo tecnico di Mario Monti bloccò tutto in una maniera che all’epoca sembrò definitiva. Nel 2013 la società Stretto di Messina SPA fu messa in liquidazione.

Tra gli approfondimenti tecnici che i ministeri dovranno fare c’è la verifica dei contenziosi accumulati negli anni tra lo Stato e la società Stretto di Messina. Inoltre servirà approfondire eventuali problemi legati al rispetto delle regole sulla concorrenza, perché all’epoca l’azienda fu scelta attraverso una gara, e assegnarle nuovamente il progetto senza un nuovo bando potrebbe essere rischioso.

Anche per questi motivi il governo non sembra volersi esporre più di tanto su questo progetto, sostenuto più che altro da Lega e Forza Italia: Fratelli d’Italia e la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mantengono invece un profilo più basso, tanto che dopo il Consiglio dei ministri non è stato organizzato nessun incontro con la stampa, sebbene fossero stati approvati anche altri provvedimenti piuttosto sostanziosi, come la proposta di legge sulla riforma fiscale.